“Guida galattica per gli autostoppisti” di Douglas Adams: il tempo è un’illusione, l’ora di pranzo una doppia illusione
All’inizio del capitolo 25, una frase rivelatrice, forse la sessantaquattresima dietro fila: “Perché nasciamo?” Seguita dall’inevitabile frase gemella: “Perché moriamo?”

Last but non least: “Perché passiamo tanta parte del tempo concessoci a portare al polso orologi digitali?”
Questo fatto degli orologi digitali deve aver colpito l’anima e l’immaginazione dell’autore, che su questo argomento discettò anche in una pagina precedente.
Quando uscirono m’incuriosirono, questi aggeggi nipponici. Ce n’erano di due versioni. La prima era dotato di un pulsante che andava pigiato quando si voleva sapere quale ora fosse. Pare che a molti piacesse farlo, perché sembrava che si potesse ordinare al tempo. Io scelsi il modello che aveva sempre i dati accesi, comodi all’uso, per cui bastava piegare il polso e alzarlo leggermente e s’individuava l’ora esatta scritta coi numeri, e non c’era più da interpretare le lancette.
Tali oggetti (che in arşân, chissà perché, a volte chiamiamo cancher, a volte anche brótt câncher, in senso affettuoso, però: con spirito analogo, quando rivedi dopo tanto tempo un amicone, gli dici: Veh! T gnesa un câncher! Cme stêt! At ved in forma!), tali oggetti, dicevo, erano magicamente precisi (cme un dî in dal cûl). E, quando era buio, pigiando quel bottoncino, s’illuminavano non d’immenso, ma quasi.
L’azione del libro all’inizio è ambientata sulla Terra, in un isolotto chiamato Gran Bretagna (poteva essere anche Reggio Emilia o Gavassa), tanto poche ore dopo tutto il pianeta, senza distinzione né pietà, viene demolito da una nave aliena, perché dev’essere costruita da quelle parti una superstrada interspaziale, e non ci sono né santi né madonne, e l’operazione richiede pochi, maledetti, secondi.
Dimenticavo: i terrestri avrebbero potuto fare opposizione amministrativa presso L’Ufficio Viabilità di Alfa Centauri, ma nei cinquant’anni a loro disposizione, l’hanno evitato (non lo sapevano neanche, probabilmente), ed è tardi ormai. Unico aspetto positivo della questione: in quei pochissimi istanti non soffriranno o quasi.
Nel frattempo, un alieno, che era da quelle bande da una quindicina d’anni, chiede a un suo amico terrestre di accompagnarlo al pub, e in un modo che non sto qui a spiegare perché non sono certo di aver capito, driffete draffete, come si dice dalle mie parti, riesce a imbucarsi nell’astronave, salvando le pellacce di entrambi.
L’extra si chiama Ford Prefect, il terrestre Arthur Dent.
Sull’astronave i due naufraghi vengono intercettati e catturati subito, e condannati immediatamente a essere espulsi dalla stessa, destinati a morte pressoché certa. Una volta che sono fuori, hanno nei polmoni aria sufficiente per campare mezzo minuto, a meno che un’astronave di passaggio non li salvi per qualche assurdo motivo.
Le probabilità di un tale evento sono discrete (nel senso di precise: un livello di probabilità di due elevato alla potenza di due miliardi settantanove milioni quattrocentosessantamila trecentoquarantasette a uno, ma in diminuzione).
I nostri eroi sono salvati, involontariamente, da un mezzo a Motore a Improbabilità Infinita, “un nuovo meraviglioso modo per coprire distanze interstellari in un nientesimo di secondo, senza star lì a gingillarsi nell’interspazio.”
Il titolo del romanzo si riferisce a una Guida, una specie di ebook vocale, soltanto immaginabile nel 1979, quando fu scritto il libro, che consente al naufrago terrestre di capire a grandi linee cosa gli stia capitando.
Nel capitolo 13 brilla un’altra frase sorprendente, formulata da Marvin, un robot quasi umano, molto vivente e perennemente depresso, che a un certo punto dice: “Curioso che proprio quando si pensa che la vita non possa andare peggio, a un tratto vada peggio.”
A Miscoso, montagna reggiana, dicono: Ol pègg l è dedrê a l’ùsc; mentre nella limitrofa Val Tassobio, dicono: Al mâl e la môrta, i ên scûš addrê a la pôrta. Come si vede, tutto il cosmo è paese.
Sulla nuova astronave, Ford incontra un suo semicugino, un certo Zaphod Beeb, che ha ovviamente un paio di teste, e lo presenta ad Arthur che dice, inaspettatamente, che ha già avuto occasione di incontrarlo. Dove? In una serata, da qualche parte, lui stava cercando di rimorchiare una ragazza e questo Zaphod, che in quell’occasione di faceva chiamare Phil e aveva una testa sola, si avvicinò alla tipa e le disse: “Ehi, bambola, questo tizio non ti sta seccando? Perché invece non parli con me? Io vengo da un altro pianeta.” La smorfiosa accetta questa corte sfacciata e molla Arthur per seguire il nuovo e più brioso spasimante. Il bello è che, sulla astronave, ora c’è anche lei, che di nome fa Tricia McMillan. Quasi assolutamente improbabile, ma vero!
Mi piace la descrizione di Zaphod: “Lui la vita la aggrediva con un misto di ingenua incompetenza e di eccezionale talento, e spesso era difficile capire dove finiva l’una e cominciava l’altra.”

È lui che definisce la prossima meta dell’astronave: “Quello è il pianeta più improbabile che sia mai esistito.”
A rallegrare l’atmosfera è un tipo strano: “Salve gente! Sono Eddie, il computer di bordo, e mi sento in forma pazzesca, ragazzi, e so che qualunque cosa mi chiederete fra poco, mi divertirò un sacco a rispondere.”
C’è ancora un momento drammatico! Se fossimo nell’Enterprise, ora suonerebbe un Allarme rosso! Allarme rosso! Qualcuno sta parlando loro da quel subdolo pianeta semimorto e, purtroppo, sta per colpirli con dei missili vilissimi. “La nave fece un brutto scarto e si capovolse, sbatacchiando i passeggeri contro le pareti della cabina.” Mancano circa venti secondi all’impatto.
Passa un po’ di tempo e l’attesa sta diventando sempre più spasmodica. “E qui casca l’asino, naturalmente”. Infatti, ho la conferma di quello che sto pensando non dico dalla prima pagina, ma forse dalla trentesima.
“Ad Arthur a un tratto venne un’idea, si alzò faticosamente in piedi.
Perché nessuno ha attivato il Motore a Improbabilità Infinita?”
Zaphod gli dà del pazzo. “Arthur si arrampicò sull’oggetto che segnava il punto di incontro fra la paratia curva e il soffitto.”
Anche stavolta, driffete draffete, Arthur e C. salvano la pellaccia “a un Fattore d’Improbabilità di otto milioni settecentosessantasettemila centoventotto a uno” – precisa Eddie.
Il 10 febbraio 1996 il computer Deep Blue vinse una partita a scacchi contro il campione del mondo degli umani, Garry Kasparov, che però si aggiudicò il torneo per 4 a 2. L’anno dopo, il torneo fu vinto da Deeper Blue, per 3,5 a 2,5. Dopo pochi anni, Kasparov perse molto del suo smalto, della sua autostima, nonché il titolo mondiale. Sia fra gli umani che fra i computer esistono vari livelli d’esperienza e d’intelligenza, d’ingenuità e d’ignoranza.
Pensiero Profondo è il computer più eccezionale che sia mai esistito. Paragonato a lui, Gargantucervello Miliardo di Maximegalon, in grado di contare gli atomi di una stella in un millisecondo, è un pallottoliere. Il Pensatore della Stella Googleplex, capace di contare la traiettoria di una singola particella durante una tempesta di sabbia di Dengragabd Beta, trattasi di calcolatore tascabile.
Eppure, anche Pensiero Profondo è convinto che egli non sarà mai il numero uno degli elaboratori. Prima o poi qualcun altro lo supererà, come Deeper Blue batté Kasparov, che aveva sconfitto il suo fratellino minore. E sarà lui a costruirlo. A Pixuntum dicono: crisci figli crisci puorci, ma anche: quannu su muortu tinni fai nu tianu (tianu è il tegame): questa si chiama cannibalismo ed evoluzione della razza.
Nel frattempo Egli sta cercando di elaborare la risposta alla Domanda Fondamentale sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto. Gli ci vorranno non più di 7.500.000 anni.
Dopo emetterà la risposta: essa appare a pagina 193, all’ultima riga del capitolo 27 e sarà rilasciata da P. F. con infinita calma e solennità. Non la riporto qui per un semplice motivo. Non servirà a nulla. Lo stesso P. F. non manca di avvertire i suoi interlocutori: “Non vi piacerà davvero.”
Essa, in ogni caso, è la cifra esatta che dà un senso compiuto alla storia narrata.
Il problema, come sempre, è un altro. Solo il Computer Che Verrà sarà in grado di formulare la corretta Domanda Fondamentale. Quella che riguarderà davvero la Vita, l’Universo e Tutto Quanto.
Altri discorsi illuminanti: “Il tuo arrivo sul pianeta ha provocato una notevole eccitazione. Credo che sia già stato classificato come il terzo avvenimento più improbabile nella storia dell’universo.”
“Quali sono i primi due?”
“Oh, probabilmente sono soltanto coincidenze.”
Per ultimo, tre sono gli aspetti che vorrei evidenziare.
Quasi tutti i personaggi del romanzo sono irrimediabilmente depressi, anche i robot. Nemmeno un’insperata sopravvivenza è in grado di recare la felicità che ci si attende in questi casi.
Un senso di oppressione coglie il lettore, ma anche i personaggi stessi, allorché viene descritta la grande capacità di calcolo e d’informazione raggiunta da questi alienati alieni (e dalle loro macchine quasi umane).

Questo spirito informatico è ormai inserito stabilmente nel nostro cervello umano, e nessuno lo potrà ormai più debellare. Il fisico Frank J. Tipler credeva che fosse possibile immaginare che ad ogni stato quantico corrispondesse un’informazione di sé, tale che una macchina, non si sa composta da che (almeno io non l’ho capito), potrebbe riprodurre per sempre ogni istante del cosmo. Sono immaginazioni mentali che danno la balla, come si suol dire. Affascinanti, nondimeno.
Quello che affascina chi ha scritto il romanzo (intuisco) e chi l’ha letto (so) è il concetto di (im)probabilità letteraria.
Lo stesso motivo per cui a Tex Willer possono sparare e tirar frecce quanto pare ai suoi nemici, ma egli non sarà mai colpito a morte. Dylan Dog riuscirà sempre a sparare allo zombie nella testa, con la pistola lanciata all’ultimo istante da Groucho. Paperino riuscirà ad affrontare ogni specie di pericolo senza mai essere scalfito dalla sorte, che lo condanna, irrimediabilmente, alla più assoluta e concepibile bolletta economica.
Vorrei segnalare una frase detta da un poliziotto intergalattico che si riferisce alla mia vita privata e professionale: “… non avete a che fare con dei subnormali mezzecalzette, con gli occhietti porcini e a fronte bassa, incapaci a sostenere una conversazione! Noi siamo due ragazzi intelligenti e ipersensibili che probabilmente vi piacerebbe tantissimo conoscere e frequentare. Io non me ne vado in giro a sparare alla gente per poi vantarmene in qualche squallido bar per ranger spaziali! Io vado in giro a sparare tranquillamente sulla gente, ma poi mi faccio delle paranoie con la mia ragazza!” Io me le faccio tutti i giorni con mia moglie.
È il Motore a Improbabilità Infinita che accompagna, in definitiva, qualsiasi tipo di Scrittura. Ed è a causa sua che il dottor Zivago viene neutralizzato da un infarto. Che al principe Myškin capita quel che gli capita.
È in essa che si attesta l’unica possibilità di esistenza di qualsiasi evento e personaggio. Quest’ultimo assumerà una forma vivente allorquando la sua sorte, in un modo qualsiasi quanto predeterminato, sarà trascritta per l’Eternità.
Ford afferma, nel capitolo 2 “Il tempo è un’illusione. L’ora di pranzo una doppia illusione.”
Qualsiasi Scrittura ha il compito di perpetuare la Bellezza e la Certezza. E come disse il poeta, a thing of beauty is a joy for ever (almeno finché è cosmologicamente possibile).
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Douglas Adams, Guida galattica per gli autostoppisti, Mondadori, 2020