Strage di Bologna: 2 agosto 1980, un rigurgito della strategia della tensione

“Non ho parole, siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia” Sandro Pertini

Strage di Bologna - Photo by Corriere
Strage di Bologna – Photo by Corriere

Simbolo della strage alla stazione ferroviaria di Bologna è un orologio, le cui lancette sono ferme, a imperitura memoria, alle 10:25 del 2 agosto 1980. Data storica, rimasta nella memoria degli italiani e contrassegnata come episodio ed emblema di uno degli atti più cruenti degli ‘anni di piombo’.

La stagione del cosiddetto stragismo sembrava aver esaurito le sue efferate risorse, dopo aver messo in atto gesti eclatanti animati da una violenza pressoché incontrollabile. Invece, con la strage di Bologna si riavviava un focolaio di brutalità, pronto a riemergere da un passato tutto da dimenticare e a riaprire ferite mai rimarginate.

“Vinse il terrorismo e la città non fu più la stessa. Non sono mai riuscito a scriverne…” Francesco Guccini

Oggi, a distanza di quarant’anni, il ricordo è più vivo che mai e pronto a rinfocolarsi soltanto a menzionare la data del feroce episodio.

“Bologna capace di vita, capace di morte…” – Francesco Guccini

Il 2 agosto 1980 era un giorno come tanti che dava l’avvio alle vacanze estive, occasione attesa da molti per staccare dalla quotidianità.

La stazione ferroviaria di Bologna era avvolta da un silenzio surreale, forse anticipatore di quel che sarebbe stato. Un silenzio interrotto solo dal chiacchiericcio delle persone in attesa sulla pensilina dei treni per raggiungere l’una o l’altra località di villeggiatura, pronti a concedersi qualche giorno di riposo lontano dalle fatiche giornaliere.

A spezzare la quiete di quel mattino sonnolento e afoso solo un boato, un fragore improvviso di cui in un primo momento non si comprendeva l’origine.

Fin da subito la tensione era palpabile, ma nell’immediatezza del fatto la responsabilità non veniva attribuita a un attentato di stampo terroristico, semmai al guasto di una caldaia. Anche se, poco dopo, le testimonianze dei sopravvissuti e i primi rilievi sentenziavano la causa del motivo scatenante e la sua ampia dimensione.

Attimi di smarrimento, di sconcerto, poi al rovinoso rimbombo si dava un nome il quale chiariva la sua natura dolosa: in breve prendeva forma l’allarme terrorismo.

A provocare lo scoppio era stato un ordigno a tempo collocato in una valigia abbandonata. 23 chili di esplosivo per demolire la sala d’attesa di seconda classe, il treno in sosta sul primo binario, le auto parcheggiate sul piazzale antistante la stazione, un tunnel situato sotto i binari e il crollo dell’ala ovest della stazione.

In termini umani, il risultato dell’atto criminale sarà una carneficina di ampie proporzioni, tanto che la conta dei morti e dei feriti sarà lunga e difficile da stimare: 85 morti e 200 feriti.

Oltre al corpo di una giovane donna che mai verrà ritrovato: probabilmente posta nelle estreme vicinanze dell’esplosione che ne ha distrutto l’intera persona.

Strage di Bologna - autobus 4030 della linea 37
Strage di Bologna – autobus 4030 della linea 37

Ovviamente, la macchina dei soccorsi si metteva in moto celermente, con l’ausilio anche dei mezzi pubblici in sosta davanti alla stazione; con il bus 4030 della linea 37, anch’esso simbolo della strage, i feriti venivano trasportati negli ospedali cittadini. Mentre, allibiti, coloro che impotenti avevano assistito al trasferimento dei feriti in ospedale e al recupero dei poveri corpi straziati si chiedevano il perché di tanto odio.

Perché uno scoppio tanto violento in una stazione ferroviaria nel bel mezzo della stagione estiva?

Una risposta che non tardava ad arrivare, e portava con sé una sconcertante verità arrivata da lontano, e rimpinguava la lunga lista di eventi che, a partire dagli inizi degli anni ’70, mettevano in discussione la democrazia, pilastro su cui si basa la Costituzione italiana.

E, nonostante iniziali depistaggi, le voci cominciavano a prendere forma grazie alle investigazioni che davano il via a un’indagine capillare, la quale individuava fin da subito i responsabili in appartenenti allo schieramento eversivo di destra. Dunque, la matrice fascista del gesto – abietta e vigliacca – era acclarata. E i responsabili erano da indicarsi in aderenti a gruppi neonazisti. In particolare al gruppo dei NAR. Anche se, per screditare la sinistra, qualcuno tendeva ad addossare la colpa dell’attentato a questa parte politica. Ma in questo caso i gruppi di sinistra colpe non ne avevano.

Il movente? Cominciavano a chiedersi gli inquirenti. Quale poteva essere un movente tanto forte da giustificare un gesto aberrante quanto clamoroso come quello di aver fatto saltare in aria un gran numero di innocenti, che nulla chiedevano se non trascorrere in serenità qualche giorno di vacanza? E la motivazione in cui si individuava l’origine del gesto delittuoso era la violenta opposizione all’apparato di governo, tramite un disegno eversivo le cui intenzioni avevano uno scopo raccapricciante: destabilizzare il Paese e il suo impianto democratico.

Dietro cui si nascondeva un’altra ipotesi avanzata dagli investigatori, che si prodigavano per dare un volto e un nome agli assassini: il rinvio a giudizio di esponenti dei NAR per un processo relativo a fatti delittuosi, ancora di stampo terroristico.

Soltanto il giorno prima il giudice istruttore incaricato di un’inchiesta precedente aveva depositato in Procura i nomi dei responsabili di un altro tragico attentato, quello che si era consumato sul treno Italicus nel 1974. Ma perché un rigurgito di quello che veniva definito lo stragismo? Si chiedevano ancora gli inquirenti, prendendo a prestito un’espressione anche un po’ inflazionata che affondava le sue radici negli anni ’70.

“T’ho incrociata alla stazione che inseguivi il tuo profumo, presa in trappola da un tailleur grigio fumo, i giornali in una mano e nell’altra il tuo destino, camminavi fianco a fianco al tuo assassino” Fabrizio De André

Ed è per ricordare, solo per ricordare e commemorare, se possibile, le vittime, senza voler attribuire all’esposizione in questione obiettivi e scopi non attinenti all’informazione, che è necessario fare un passo indietro.

Giuseppe Pinelli - Paolo Brogi - Strage Piazza Fontana
Giuseppe Pinelli – Paolo Brogi – Strage Piazza Fontana

Lì, dove tutto aveva avuto inizio. Ovvero con la strage di Piazza Fontana in Milano (12 dicembre 1969) presso la Banca dell’Agricoltura, episodio che per convenzione ha dato il via allo stragismo. Periodo durante il quale si sono consumati violenti scontri di piazza e atti di terrorismo da parte di gruppi eversivi, nelle cui intenzioni c’era mettere in atto un disegno sovversivo destinato a sovvertire la struttura democratica del Paese.

Considerato figlio di quel ‘68 che ha tanto animato la contestazione socio-politico di quegli anni, la strategia della tensione non si consumava però durante un breve periodo, ma si dilatava in un tempo troppo lungo.

Protagoniste di violenze di piazza erano le organizzazioni extraparlamentari, sia di destra sia di sinistra. Entrambe responsabili di atti terroristici di ampia portata che lasciavano sul terreno un gran numero di morti e feriti.

Il primo scontro armato fra studenti e forze dell’ordine che dava il via allo stragismo in Italia è ricordato come il fatto di Valle Giulia a Roma, presso la facoltà di architettura. Era il 1969 e la stagione del terrorismo non si esauriva con questo iniziale episodio.

Ma, per descrivere il clima di quegli anni è sufficiente ricordare gli atti terroristici più eclatanti, che si affiancavano ad altri considerati minori. Non per ordine di importanza, perché sono stati tutti drammaticamente importanti, ma per il coinvolgimento numerico delle persone e il clamore mediatico che hanno avuto presso i mezzi di comunicazione.

La strage di Piazza Fontana, di cui già si è parlato. Anche in questo caso l’atto terroristico è stato un gesto messo in atto contro innocenti, bersaglio di forze reazionarie che durante la stagione dei cosiddetti ‘anni di piombo’ hanno fatto prevalere la forza sulla ragione.

Altro fatto gravissimo, a seguito della strage di Piazza Fontana, è stata la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, il quale ‘volava’ giù dal quarto piano della questura di Milano durante un interrogatorio. Morte avvolta ancora dal mistero.

Da non dimenticare la strage di Piazza della Loggia a Brescia, causata dall’esplosione di una bomba che vedeva soccombere fra le macerie 8 persone e oltre 100 feriti: era il 28 maggio 1974.

A seguire poi, sempre nel 1974, un episodio analogo, anch’esso di portata terroristica micidiale. Ancora una bomba, piazzata sul treno Italicus che di morti ne provocava 12 e di feriti, anche in questo caso, oltre 100. Episodi questi da etichettarsi a matrice fascista.

Sul finire degli anni ’70 si assisteva a una crescita impazzita di agguati, uccisioni, e ferimenti la cui matrice non era di facile identificazione, perché eventi organizzati da gruppi di uno o dell’altro schieramento in connivenza con elementi della malavita organizzata. E i cui personaggi avevano una provenienza oscura ed erano pronti a ordire trame ancora più oscure.

Strage di Bologna
Strage di Bologna

Uomini delle istituzioni, del mondo dell’industria, giornalisti, e in qualche caso semplici cittadini che si sentivano in dovere di denunciare persone vicine a gruppi sovversivi furono vittime di gambizzazioni o addirittura di morte.

Episodi finiti in un dimenticatoio che ha visto persone che hanno rappresentato l’espressione di un paese democratico in lotta con un nemico dal volto sconosciuto piegarsi a volontà altrui.

Una città fra le più colpite da atti di vero e proprio terrore è stata Genova, coinvolta in numerosi attentati che vedevano cadere sotto i colpi del terrorismo molti appartenenti alle istituzioni. Colpiti da gente senza scrupoli, o forse manipolata da un potere occulto, e non animati da un’ideologia vera e propria, semmai da una violenza bruta e fine a se stessa. Eventi, le cui trame sono rimaste in parte oscure. Ma questa è un’altra storia…

Da definirsi come un vero e proprio attacco al ‘cuore dello stato’ è stato il rapimento di Aldo Moro, figura istituzionale fra le più importanti dello scenario politico dell’epoca. Dopo 55 giorni di prigionia è stato ucciso per mano del gruppo eversivo delle Brigate Rosse.

Poi, grazie a leggi e metodi investigativi efficaci, anche se discutibili, ma che hanno dato risultati concreti, il fenomeno terrorismo è andato scemando. Collaborazionismo e pentitismo hanno fatto la loro parte per stroncare la violenza, strumenti di cui molti appartenenti a gruppi eversivi hanno usufruito in cambio di sconti di pena.

Anche perché, probabilmente, l’idea utopica che la lotta armata potesse essere strumento per risolvere conflitti sociali e politici di vecchia data andava perdendo credito. E si faceva presupposto per neutralizzare il clima di terrore che ha visto l’Italia soggiacere al peso di eventi che l’hanno sopraffatta.

“Qualcuno era comunista per Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica, eccetera, eccetera, eccetera…” Giorgio Gaber

Ma, per tornare alla strage di Bologna, focus su cui si concentra questa esposizione, il boato che investiva la sala d’attesa di seconda classe era agghiacciante, tanto che la paura serpeggiava come uno spettro fra coloro che miracolosamente erano rimasti in piedi, pochi per la verità. Soltanto fumo e macerie erano i protagonisti di ciò che rimaneva della stazione ferroviaria, luogo simbolo di ogni città.

L’indagine per identificare i responsabili della strage non seguiva un iter semplice, semmai era un’indagine viziata da più di un depistaggio, messo in atto fin da subito, al fine di coprire i responsabili e insabbiare l’intera inchiesta. Erano molte le rivendicazioni telefoniche che raggiungevano le redazioni delle principali testate giornalistiche, le quali attribuivano all’una o all’altra fazione politica la responsabilità del tragico fatto, grazie a ipotesi fantasiose. Rivendicazioni poi smentite perché ritenute false dagli inquirenti.

Ma, forse, in tutto questo bailamme di suggestioni e di dichiarazioni inattendibili, qualcosa di vero c’era: la scoperta di alcune chiamate partite dagli uffici di Firenze del SISMI (Servizi segreti).

A un certo punto dell’inchiesta faceva la sua comparsa anche un’altra ipotesi: la presenza di una ‘pista internazionale’, la quale raccontava di una probabile convivenza fra terrorismo straniero e neofascisti italiani all’estero, in stretta complicità fra loro.

Mentre i responsabili, ma non i mandanti, venivano mandati in giudizio in un processo che iniziava nel 1987. Le accuse rivolte a questi personaggi erano ovviamente gravissime: banda armata e strage, oltre che imputazione di associazione sovversiva. A cui si doveva aggiungere il reato di calunnia aggravata. Oltre ai neofascisti, fra gli indagati figuravano anche esponenti dei servizi segreti deviati e il gran maestro della loggia massonica P2.

I processi si protraevano nottetempo fra numerosi colpi di scena fino al 1995, e si concludevano con la condanna all’ergastolo dei due principali responsabili. Riconosciuti colpevoli fino al 3° grado di giudizio, tuttavia, ombre e dubbi avvolgevano per sempre l’intera vicenda.

Nonostante le condanne esemplari, alcuni dei responsabili, per un gioco di leggi assurde e inefficaci, promulgate ad hoc da coloro che hanno fatto della cosa pubblica un uso a dir poco malsano da cui poter trarre vantaggio, la custodia cautelare non era così prolungata nel tempo.

Erano infatti liberi di scorrazzare e andare in giro per il Paese.

Forse per compiere altri misfatti e ordire nuove trame eversive?

Mentre i parenti delle vittime, condannati a un ergastolo senza fine, rimanevano con l’amaro in bocca di fronte a uno Stato che non ha saputo difendere i suoi cittadini.

Retorica? Polemica sterile? Parole obsolete, trite e ritrite?

Strage di Bologna - 2 agosto 1980
Strage di Bologna – 2 agosto 1980

Forse, ma è narrazione questa che dà la misura di una giustizia che non si può definire giusta, perché non c’è giustezza in rappresentanti delle istituzioni poco attenti a vittime che invece sarebbero state da tutelare.

Come? Si chiede la gente comune, la quale ha assistito al triste spettacolo che ha attraversato il suolo italiano senza poter far nulla per arginare il fenomeno terrorismo all’origine.

Ma non è compito dei cittadini prendere dei provvedimenti in merito. Semmai suggerire leggi opportune e punitive nei confronti di chi si rende responsabile di reati gravi.

Suggerire, ma non attribuire responsabilità a giudici e magistrati che, nel bene e nel male, applicano la legge. Certo, possono interpretarla, e in certi casi la legge andrebbe interpretata tenendo conto anche del dato emotivo insito in un qualsiasi provvedimento giuridico. Ma non sono loro che promulgano le leggi, sono i politici che emanano la legittimità delle norme, e spetta ad essi provvedere al benessere dei cittadini tramite l’opportunità della giurisprudenza.

Mentre, ai familiari delle vittime del terrorismo non resta che dar vita nel 1981 all’associazione per non dimenticare i caduti di tutte le stragi.

Oggi, alla stazione ferroviaria di Bologna è riconoscibile lo squarcio causato dalla bomba, quale testimone di uno dei momenti più tragici vissuti dal Paese. Mentre la sala d’aspetto è stata titolata al padre di una delle vittime e fondatore della stessa associazione.

“La bomba è stata fatta scoppiare: un centinaio di persone muoiono, i loro cadaveri sparsi e ammucchiati in un mare di sangue, che inonda, tra brandelli di carne, banchine e binariPier Paolo Pasolini

 

Written by Carolina Colombi

 

 

Info

Articolo Strage Piazza Fontana

Articolo Libro “Anni difficili” di Franco Rizzi

 

 

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