“Nella stanza di Emily” di Benedetta Centovalli: alla scoperta della vita della Dickinson
“Emily Dickinson non aveva pietà di sé, né nostalgia, né malinconia, né desiderio di un destino diverso. Non piange sulla sua vita, la sua è una condizione che si riscatta in scelta volontaria, lei abita il luogo segreto e protetto delle proprie visioni. Anche da questo nasce la grandezza senza tempo dei suoi versi”.
E poi un’editor di successo abbraccia la scrittura.
È già capitato diverse volte, e succederà ancora, purtroppo. Non ho invece ricordi precisi di clamorose virate in senso opposto: cioè di affermati scrittori che diventano importanti editor.
E mi chiedo, in quale delle due direzioni c’è un avanzamento di carriera?
Non credo che ci sia differenza gerarchica, e i due mestieri andrebbero mescolati insieme, mescolati e non shakerati, per parafrasare il grande eroe di Ian Fleming. Un buon libro deve essere un ottimo cocktail, come, per restare nella metafora del nostro agente segreto, Vodka e Martini miscelati insieme per dare un gusto univoco, autonomo, lontano da ognuno dei due elementi da soli, ma dentro la loro risultante.
Specifico questo per dire quanto sia fondamentale, e per certi versi ingrato, il lavoro dell’editor. Che deve vivere una storia non sua, entrare in punta di piedi dentro sentimenti non suoi, per abitarli fino a farli diventare suoi. Un lavoro sottile, tra tecnica e anima sulla rotta che un altro ha tracciato. Difficile? Difficilissimo.
Così quando all’inizio ho detto che “purtroppo” gli editor fanno gli scrittori alludevo, passatemi una provocazione del tutto ironica, che abbiamo più bisogno di buoni editor che di scrittori.
Con Nella stanza di Emily (Mattioli 1885 – 2020) Benedetta Centovalli affronta questo salto di corsia letterario al prezzo di un forte travaglio interiore. Lei, che nelle sue note biografiche si definisce “Editor con il gusto e la passione di sperimentare”, dichiara apertamente questo dualismo alla Stevenson con un bellissimo passaggio all’inizio del libro: “Così queste pagine nascono anche dal bisogno di chiarire a me stessa le ragioni di un mestiere molto amato, controverso al punto da rubarmi con il passare del tempo la vita offrendomi però in cambio la possibilità di trasferirla o ritrovarla nelle storie degli altri, nei libri degli altri. Quella vita che avevo soffocato ogni giorno per non farla morire davvero l’avevo alla fine nascosta dentro le pagine di storie non mie. In fondo non era andata tanto male. In fondo quei libri e quelle storie mi raccontavano. In fondo i libri che avevo scelto e pubblicato erano la mia lettera al mondo”.
Grazie a questa “invasione di campo” della nostra editor abbiamo un bel libro, stilisticamente ineccepibile, con una scrittura chiara, quasi solare, che ci porta a viaggiare negli Stati Uniti come nei grandi film. La mano felice del doppio ruolo si sente nel racconto in prima persona che ti coinvolge direttamente, senza sbavature. Senza rami secchi narrativi. E le escursioni, fuori dalla cronistoria del viaggio, quasi da manuale, assumono sempre un valore di ricerca, di approfondimento non fine a se stesso.
Nel libro Nella stanza di Emily il personaggio principale, che fa pensare direttamente alla voce dell’autrice, affronta un lungo percorso per andare a visitare la casa di Emily Dickinson. È un lungo percorso interiore, essenziale. Come assecondare una irresistibile attrazione magnetica per vedere, sentire sulla pelle, l’atmosfera di quella casa. Facendo anche fotografie col telefonino per cercare un rapporto diretto con tanti dettagli, come il letto, la serra o il suo scrittoio: tutte foto che accompagnano piacevolmente il libro, in un viaggio che alla fine è di formazione. Perché la stanza della grande scrittrice è un traguardo, ma è anche un luogo fisico dell’anima culturale da cui attingere emozioni.
L’autrice riporta spesso versi della Dickinson. Versi che ci accompagnano come una colonna sonora, versi che bucano le pagine:
“Una parola è morta
quando è pronunciata,
così dice qualcuno.
Io dico invece
che incomincia a vivere
proprio quel giorno.”
Durante tutto il viaggio Benedetta Centovalli ci prepara all’incontro con quella casa-museo formandoci su Emily Dickinson. Fa nascere in chi legge quella stessa ossessione che, come prevedibile, non si esaurisce nel pellegrinaggio al luogo “sacro”.
È un viaggio anche di indagine nell’orbita della grande scrittrice americana cercando di comprenderla, più che di avvicinarsi: “Emily Dickinson è una creatura della soglia, ha scelto di abitare uno spazio e un tempo sospesi tra il presente e il futuro, non ha avuto la possibilità di entrare in vita nella Storia ma ha avuto quella di resistere là dove tutto può sempre accadere. I would prefer not to. La soglia tra due mondi, due tempi, due realtà. Una stanza che si apre, una porta che si chiude, una finestra che guarda, Emily che abita il mondo del possibile. «Io vivo nella possibilità –/ una casa più bella della prosa»”.
Oppure quando poco più avanti caricando maggiormente i colori, parla di Emily come: “Sciamanica e intransigente, strega, regina, zingara e mendicante, la sua è una rivolta in bianco, una battaglia condotta dentro di sé, riportando tutto a casa, che non disdegna però gli strali dell’intelligenza e dell’ironia anche per il suo interlocutore-guida”.
Poi nell’ultima parte del libro Benedetta Centovalli introduce per analogia un nuovo personaggio che completa il carico emotivo dell’opera. Racconta di Vivian Maier, la famosa bambinaia fotografa che dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta ha immortalato sulla pellicola fotografica frammenti di vita. Frammenti di vita vera, con tanti autoritratti, bambini e caratterizzazioni di visi e di strade di periferie suburbane delle grandi città americane. Lei è morta in povertà lasciandoci un’immensa opera di grandissimo valore, su cui viene accesa una luce.
Così la nostra scrittrice collega le due donne, due rivoluzionarie a loro modo, forse nell’ombra, accumunate dalle visioni artistiche. Dalle visioni artistiche di quell’occhio sognante e disincantato insieme, di chi ha visto anche la sofferenza: “Emily e Vivian hanno passato la loro vita in ombra, sono state costrette a creare distanze per non essere ferite di nuovo, per difendersi dalle offese e dal dolore. L’ombra le ha protette, l’ombra le ha nascoste alla vista degli altri, l’ombra le ha riscattate. Loro però vedevano tutto”.
Benedetta Centovalli è nata a Firenze e vive a Milano. Editor con il gusto e la passione di sperimentare, ha lavorato con ruoli di responsabilità per quasi trent’anni in alcuni dei laboratori più interessanti della nostra editoria, dedicandosi alla creazione di collane e soprattutto alla scoperta di nuovi talenti letterari.
Nel 2003 ha curato per Rizzoli un’antologia di racconti di narratori italiani, Patrie impure. Italia, autoritratto a più voci. In ambito novecentesco ha curato nel 2009 le Opere complete di Romano Bilenchi (Rizzoli) e una sua biografia per immagini, Un uomo contro (Effigie). Ha introdotto testi di Giorgio Bassani (Utet), Manlio Cancogni (Utet), Alda Merini (Rizzoli). Ha scritto in volumi e riviste tra gli altri di Cristina Campo, Maria Corti, Gina Lagorio e Clara Sereni. Ha collaborato con varie testate e oggi scrive con regolarità su L’Indice dei Libri del Mese. Da anni si dedica alla formazione in ambito editoriale presso l’Università Statale di Milano e di Milano-Bicocca e insegna in Scuole di scrittura e Master di Editoria. È stata visiting professor a Yale, NYU e Princeton. Fa parte del Consiglio scientifico del Centro ricerche e studi autobiografici della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari.
Written by Pier Bruno Cosso
DOpo questa accattivante recensione ho cercato subbito il libro, suamazon, sperando anche in un formato kindle. Ma…nonl’ho trovato…
Federica, sappiamo che è possibile trovarlo in formato digitale. Prova a scrivere alla casa editrice: https://mattioli1885.com/libro/nella-stanza-di-emily/