“Il Padrino” di Mario Puzo: la morte è l’unico potere non sindacabile
Parto da una tesi: non esiste un sentimento o un’istituzione umana che sia positiva in assoluto.

Quindi nemmeno l’amore e l’amicizia, i cui termini, come si sa, hanno la comune origine sanscrita: kama = passione.
Forse è la passione il vero problema?
Questa è la domanda che mi pongo leggendo le prime pagine de “Il Padrino” di Mario Puzo (Mondadori – Agostini), che si potrebbe anche intitolare il “Super-Amico”. A pagina 34 si dice che: “L’amicizia è tutto. L’amicizia è più del talento. È più del governo. È quasi uguale alla famiglia.” Cioè: alla tua casa, alla stirpe a cui appartieni.
L’amico è un familiare adottato. Il Don ama i suoi figli, ma quasi come loro ama e protegge due persone che ha tolto dalla strada quand’erano poco più che infanti: Tom Hagen, il “Consigliori”, che tale diventa andando, pur avendo un DNA non siculo, ma tedesco-irlandese; ed il vanesio e artisticamente dotato Johnny Fontane. Entrambi erano allo sbando quando furono raccolti dalla famiglia del Don, salvati e fatti entrare nel “famulo” corleonesco.
Una frase significativa, a cui bisogna porre attenzione: “… Sai quegli esploratori artici che lasciano provviste segrete disseminate lungo la strada verso il Polo Nord, per il caso che un giorno possano averne bisogno? Ecco, quelli sono i favori di mio padre. Un giorno o l’altro busserà…” etc… etc… Supplicare il potere per avere un vantaggio, prima o poi ti costerà qualcosa, poco o tanto che sia dovrai renderlo. A meno che tu non muoia prima.
A pagina 41, una frase interessante, detta da una donna: “Ah, gli uomini sentono l’amicizia più di noi donne…” Sarà poi vero? Forse che le donne tengano a sentimenti più collegati al loro habitus (non so perché, ma esito a definirlo istinto) materno?
E del sentimento patriottico, che ne facciamo? Meglio glissare. Basti solo dire che il Don afferma che Michael, il figlio eroe di guerra, “ha compiuto quei miracoli per degli stranieri.” (pagina 13).
Il Don chiede a Santino e al Consigliori se è il caso di entrare nel traffico dell’eroina. Il figlio nicchia, il Consigliori, previdente, dice: “Se noi ne restiamo fuori, qualcun altro ci entrerà…” e aggiunge: “… Alla fine ci darebbero addosso per toglierci quello che abbiamo. È proprio come per le nazioni. Se si armano, noi dobbiamo armarci.” (pagina 70).
Paulie Gatto era affiliato alla famiglia del Don. “Clemenza era al corrente che Paulie Gatto arrotondava le entrate con piccoli affari personali, assolutamente contrari agli affari di famiglia, ma persino questo era indice del valore dell’uomo. L’infrazione dei regolamenti era considerata come un atto di coraggio e di intraprendenza, come quello di un buon cavallo da corsa insofferente alle briglie.” (pagina 100). La disobbedienza deve essere cieca ed assoluta, ma non per questo totale. Ci possono essere delle piccole eccezioni, senza mai esagerare però.
Il capitano Marc McCluskey “era un buon agente, un coraggioso. I giovani teppisti che terrorizzavano agli angoli delle strade, se la filavano quando lo vedevano avvicinarsi e alla fine scomparirono definitivamente dalla zona. Era un poliziotto molto duro e molto serio.” (pagina 141).
Ma “Nel frattempo doveva mantenere una grossa famiglia… Gli allibratori del suo territorio per essere protetti pagavano… McCluskey stesso riteneva che non ci fosse nulla di male in questi lavori puliti…” (pagina 142). Era corrotto soltanto al fine di mandare i propri figli all’università e per farli crescere in una più che rispettabile agiatezza. Fu eliminato non perché era corrotto, ma perché aveva fatto uno sgarro imperdonabile alla famiglia del Don.
“Nel rione, ora Vito Corleone era un ‘uomo di rispetto’, e ritenuto un membro della mafia siciliana. Un giorno un tale… si recò da lui e volontariamente gli versò venti dollari… per amicizia.” (pagina 214). Nel corso degli anni successivi Vito Corleone visse la vita completamente soddisfacente di modesto uomo di affari, interamente dedito a rafforzare la sua impresa commerciale in una dinamica economia in espansione.” (pagina 215).
“Persino da giovane Vito Corleone fu ‘conosciuto’ come ragionevole. Si preoccupava che gli altri avessero la loro parte di profitto.” (pagina 216).
“I grandi uomini non sono nati grandi, ma lo diventano e così fu per Vito Corleone.” (pagina 216).
A pagina 253 si dice del rapporto che esiste fra il poliziotto e il delinquente: “Come protetto è ingrato, insolente ed esigente. Come preda è infido, pericoloso e astutissimo. Non appena qualcuno cade nelle grinfie del poliziotto, il meccanismo della società che egli stesso difende mette in moto tutte le risorse per privarlo con l’inganno del suo trofeo.”
Questi protettori sono i politici, i giudici, i Governatori degli Stati e lo stesso Presidente con le loro amnistie. “Dopo un certo tempo il poliziotto impara. Perché non dovrebbe incassare gli onorari che questi gangster pagano?”… “… ma, di solito, rifiuta di accettare il denaro per attività sporche. Ne prende per permettere di operare a un allibratore, da chi detesta le multe per sosta vietata e per eccesso di velocità. Permette, dietro compenso, alle ragazze squillo e alle prostitute di esercitare il loro mestiere. Sono vizi naturali agli esseri umani. Ma di norma non si lascerà corrompere per stupefacenti, rapine a mano armata, violenze carnali, omicidi e perversioni del genere. Secondo lui questi reati minano l’essenza stessa della sua personale autorità e non possono essere favoriti.”
Il Don è un’autorità, perché difficilmente commette errori. “Aveva commesso solo pochi errori nella sua carriera e imparato da ognuno di essi.” L’ultimo, terribile, costa la vita di una delle persone a lui più care.
Ma tutti si aspettano che una serie di eventi tragici, anche quelli procurati dal Don, possano esseri risolti solo da lui. È un’aspettativa che riguarda tanto gli amici che i nemici. Non si sa perché, ma un insieme di fatti portano ad essa, tanto da diventare immediatamente una certezza. Solo la morte potrebbe cambiare la logica degli avvenimenti. Ma il Don, per quanto colpito ripetutamente da colpi di pistola, è sopravvissuto e ora torna a dominare la scena.
Del discorso che il Don fa all’assemblea dei capi dell’intero paese e che assomiglia, prescindendo dal suo terribile senso criminale, per puntualità e vigore a quelli di un Roosevelt (uno dei due), o di un Kennedy (uno dei due o tre), riporto solo un passo, senz’altro il più terribile: “Per quanto si riferisce alle nostre azioni, non c’entriamo con i pezzi da novanta che si prendono la briga di decidere che cosa dovranno fare, che dichiarano guerre che vorrebbero che combattessimo per proteggere quanto possiedono. Chi dice che dobbiamo obbedire a leggi che formulano per il proprio interesse e a nostro danno? E chi sono loro ad immischiarsi quando noi badiamo ai nostri interessi? Sono cosa nostra… Amministriamo il nostro mondo da soli, perché è cosa nostra…” (pagina 296).

La scrittura di Mario Puzo ha un solo difetto: non ne ha alcuno, mancando di ellitticità. L’autore a cui più mi sento di somigliarlo è Zola. Questo paragone mi viene in mente, improvvisamente, a pagina 350, quando una creatura sta venendo al mondo “in questo mondo corrotto”. E questo mondo la rigetterà nelle fiamme dell’inferno.
Le pagine seguenti sono completamente assurde e assurdamente reali e assolutamente naturali. Credo non sia eccessivo definire naturalista lo stile di Puzo. Il suo realismo non è per nulla magico, come quello di Marquez, altro immenso autore a cui ogni tanto collego certe sue descrizioni minute e talune divertenti, anche se dolorose, amenità. Tutto è fin troppo vero: accade ogni volta che il lettore legge la sua narrazione. La sua precisione e compiutezza, che quasi definirei guicciardiniana, nasconde un senso filosofico che, mancando un centinaio di pagine alla fine della lettura, ancora non ho del tutto scoperto. Anche se credo di essere sulla buona strada per farlo.
Nelle pagine 367 e 368, Michael ribadisce il pensiero del padre, del Don: “Mio padre è un uomo d’affari che si sforza a provvedere a moglie e figli e a quegli amici dei quali può aver bisogno un giorno in momenti difficili. Non accetta le regole della società in cui viviamo, perché esse l’avrebbero condannato ad una vita non adatta ad un uomo come lui, ad un uomo dalla forza e dalla personalità straordinarie. Ciò che devi capire è che si considera alla pari con quei grandi come i Presidenti e i Primi Ministri, i Giudici della Corte Suprema e i Governatori degli Stati. Rifiuta di accettare la loro volontà sopra la sua. Rifiuta di vivere sottostando a delle leggi stabilite da altri, che lo condannano ad una vita fallita. Ma il suo fine ultimo è far parte con un certo potere di questa società, dato che essa in realtà non protegge i membri che non hanno una loro forza individuale. Nel contempo opera in base a un codice etico che considera di gran lunga superiore alle strutture legali della società.”
In altre parole, “Cosa Nostra” è un’enclave racchiuso in un “altro” stato, con cui non necessariamente si deve essere in conflitto. Talvolta però il conflitto è inevitabile.
Gli stessi Stati che appartengono alle Nazioni Unite, pur rifuggendo la guerra come principio, non riescono a farne senza. L’Inghilterra “doveva” far guerra all’Argentina, se voleva mantenere il governo delle isole Falkland. Giova ricordare che questo territorio appartiene alla Gran Bretagna poiché, nel 1833, alcuni suoi accoliti avevano edificato una base navale e, nel 1837, un ufficio di amministrazione coloniale. La guerra del 1982 costò la vita di 255 soldati britannici (649 argentini), il ferimento di 777 soldati britannici (1.068 argentini), 59 prigionieri britannici (11.313 argentini). Nel conflitto perirono 3 cittadini delle isole (britannici, poiché di argentini non ve n’erano). Il conflitto occorso in queste isole, detto per inciso: ricche di petrolio e di gas naturale, fa impallidire, per numero di morti, intensità ed efferatezza, qualsiasi eccidio di mafia, compreso quello descritto nel libro.
Che dire? Abbasso la politica internazionale ed abbasso la criminalità organizzata! Ma questo urlo appartiene all’anima gemente dell’individuo ed è sempre stato deriso dalla Storia. Sempre a pagina 358, Michael afferma: “Che a noi piaccia o no, la famiglia Corleone deve entrare nella legalità. Ma quando avverrà, vorrei che lo facesse con tutto il suo potere; ossia soldi, proprietà e tutto il resto. Vorrei dare ai miei figli un avvenire il più sicuro possibile, prima che si uniscano al destino comune.”
La morte è l’unico potere non sindacabile, neppure da un sindacato della Mafia.
“Il Padrino” è il libro dell’amoralità. Non ha senso dire quanto buono, giusto, virtuoso od onorato sia il Padrino, o quanto sia invece deprecabile, infame o imperdonabile. Come il Principe di Machiavelli, egli conosce il detto che “… Coloro è quali solamente per fortuna diventano, di privati, principi, con poca fatica diventano, ma con assai si mantengono…” ed anche: “e nelle azioni di tutti li uomini, e massime de’ principi, dove non è iudizio da reclamare, si guarda al fine. Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno lodati.”
La verità effettuale è l’unica che conti.
Il segreto è saper cogliere la realtà per quel che è, non per quel che sembra, direbbe Krishnamurti.
È saper decidere, aut aut, direbbe Kierkegaard.
È saper chiudere il gioco al momento opportuno: carpe diem, direbbe Orazio.
Tutta qui la filosofia del Padrino… ed il resto è orpello.
Un paio di difetti ce li ha, Mario Puzo, ed emergono quando non sa tenere a bada il suo spirito barocco e celebrativo. Ma sa farsi perdonare, con la qualità della sua scrittura e col saper rendere narrativo quel che a volte pare un saggio; e viceversa. Anche in questo si sostanzia l’analogia con “Il Principe”.
Vito, Michael, Santino, e tutti gli altri eroi della banda sono uomini reali, come me, e anche per loro esistono delle persone che loro vogliono bene. Kay, la moglie di Michael domanda a quella di Vito, sua suocera, perché mai vada a messa ogni mattina. Dopo una breve pausa, questa risponde: “Per mio marito” – indicò giù verso il pavimento –‘così non finisce laggiù.’ Fece un gesto verso il cielo.”
Michael rivolge un analogo quesito alla stessa Kay: “Ma perché devi andare in chiesa tutte le mattine?”
Il libro termina col sacramento dell’Eucarestia impartito per la prima volta alla moglie del nuovo Don, la quale infine “recitò le opportune preghiere per l’anima di Michael Corleone”.
In cantina, su uno scaffale, silente, mi sta aspettando da anni “Il Siciliano”.
Prima o poi, ma senza fretta, lo leggerò, lo divorerò.
Non so quando, di certo non quest’anno o il prossimo.
Mario Puzo è un tipo che nutre assai, ma ‘riempie’.
Written by Stefano Pioli
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