“Michelangelo ‒ Infinito” di Emanuele Imbucci: l’immenso valore artistico e umano
“Questo film sviluppa il concetto di autorevole finzione, superando il normale livello del documentario d’arte. La mia sfida e il mio intento sono stati quelli di rappresentare attraverso le parole di Michelangelo e Giorgio Vasari quella che è stata la creazione di queste opere d’arte…” ‒ Emanuele Imbucci, regista

A Michelangelo Buonarroti, ritenuto il massimo rappresentante del Rinascimento, è dedicato un docufilm prodotto da Sky e Magnitudo film in collaborazione con i Musei Vaticani: “Michelangelo – Infinito“.
Firmato dal regista Emanuele Imbucci, il film accompagna la platea a visitare l’intera e vasta produzione artistica del Buonarroti, anche attraverso sofisticati effetti digitali che ne esaltano l’immenso valore artistico e umano.
Le figure che guidano lo spettatore a esplorare l’universo michelangiolesco sono due; Giorgio Vasari (Ivano Marescotti), e lo stesso Buonarroti (Enrico Lo Verso), ormai vecchio.
Giorgio Vasari, celebre storico dell’arte, artista e architetto, con voce rassicurante e autorevole al contempo, narra di Michelangelo in maniera appassionata oltre che dettagliata. Il sito da cui Giorgio Vasari presenta il personaggio è un teatro ellittico che ricorda il modello degli spazi anatomici del XVI secolo.
Michelangelo, invece, si trova in una cava di marmo di Carrara, luogo da cui ha fatto estrarre i blocchi di marmo che hanno poi dato vita a diverse delle sue memorabili opere. Ed è attraverso flashback e lontani ricordi, che fa memoria della sua lunga esistenza.
Ovviamente, il luogo dai quali i due personaggi emergono è uno spazio metaforico, oltre che di dimensione fisica.
Ad accompagnare il film è la sensibilità musicale di Matteo Curallo, che aggiunge drammaticità e valenza a ogni opera d’arte.
Altro intervento importante, quale approfondimento della vita umana e artistica del Buonarroti, è affidata alla voce narrante del professor Vincenzo Farinella che illustra la sfida affrontata dall’artista, nel Quattrocento per la realizzazione della Cappella Sistina.
“Il film ha affrontato una sfida incredibile: quella di ricostruire qualcosa che adesso non esiste più, la Cappella Sistina del Quattrocento. Quella che Michelangelo aveva visto nel 1508, quando era arrivato a Roma da Firenze e aveva assunto questa commissione terribile da parte di papa Giulio II: affrescare la volta…” ‒ Vincenzo Farinella
Ciò che emerge con forza dal film è la travagliata esistenza del Buonarroti, sempre in lotta con se stesso e con la propria arte, focus della pellicola e unico oggetto per lui di confronto.
Ma, per apprezzare con maggior consapevolezza la trattazione filmica che racconta dell’artista e della grandiosità dei suoi lavori, è utile fare una narrazione della realtà in cui è vissuto uno di più grandi geni di tutti i tempi.
“… Nulla è inventato, tutto è stato tratto dalle fonti, addirittura la creazione e definizione dei personaggi e i loro monologhi sono stato ricostruiti scrupolosamente…” ‒ Cosetta Lagani, direttrice artistica cinema d’arte Sky

Nato nel 1475 da una famiglia probabilmente di antica origine, forse dai conti di Canossa, notizia peraltro mai confermata, pur dimostrandosi un allievo attento in ogni disciplina, Michelangelo è attirato da tutto ciò che il suo sguardo riesce a percepire. Il padre, Ludovico, rimasto vedovo, comprende l’inclinazione del figlio e decide di mandarlo a bottega dal Ghirlandaio, pittore al vertice della sua parabola creativa.
Ma, a causa di certe asperità insite nel carattere del Buonarroti, l’incontro con il Ghirlandaio non è proficuo, tanto che il giovane si allontana dalla sua bottega. Anche perché la sua predisposizione artistica predilige riferimenti quali Giotto, Masaccio e Donatello.
Ed è a questo punto, che la figura di Lorenzo il Magnifico, nella storia di Firenze, s’impone come simbolo del protagonismo culturale di cui la città è investita. Il fermento creato dal Medici trova la massima espressione nell’accademia neoplatonica, a cui Michelangelo aderisce, e che farà sua per tutta la vita. Lorenzo rivolge la sua attenzione non solo alla letteratura, alla filosofia o alla poesia, ma anche alla musica e alle arti figurative.
Inevitabilmente, il Buonarroti viene introdotto alla corte medicea, dove si dedica alacremente allo studio, dando prova di un’ispirazione già matura in relazione alla sua giovane età. Lorenzo intuisce le potenzialità del ragazzo ma non può vederne realizzati i progetti perché la morte lo coglie d’improvviso nel 1492.
Dopo la morte di Lorenzo, la città di Firenze è investita da una profonda crisi sociale e politica e Piero, il figlio di Lorenzo, viene cacciato dalla popolazione in rivolta.
Confuso, Michelangelo abbandona Firenze e per un breve periodo si reca a Venezia e poi a Bologna, dove può esprimere la sua genialità.
Per un breve periodo sarà Savonarola a prendere le redini di Firenze devastandone gran parte del patrimonio artistico. I suoi seguaci, i cosiddetti piagnoni, accendono un immenso rogo che inghiotte opere d’arte di valore inestimabile e libri considerati profani. L’anno successivo anche il Savonarola subirà la stessa sorte: sarà anch’esso arso vivo.

La svolta fondamentale per Michelangelo è determinata dal suo trasferimento a Roma, dove, inizialmente si fermerà per cinque anni. Qui, gli viene subito riconosciuto l’ingegno che gli appartiene, e gli viene commissionato il Bacco, un blocco di marmo per realizzare un’opera di grandi dimensioni.
Finalmente può lavorare su un enorme blocco di marmo, come è nella sua naturale tendenza; sono, infatti, le ampie forme su cui lavorare che accendono la sua fantasia.
Lo stesso Vasari, a capolavoro ultimato, ne celebrerà la grandiosità.
Il suo incarico successivo prevede la realizzazione di una Pietà.
Terminata l’opera, per Michelangelo è il trionfo.
L’espressione di una giovane madre che tiene in braccio il figlio morto stupisce tutti, anche perché l’opera è frutto di un giovane maestro che si esprime con un codice personale del tutto nuovo.
Nel frattempo Firenze torna a essere crocevia di scambi culturali e centro d’arte: Michelangelo è sollecitato a tornare, il gonfaloniere Pier Soderini lo invita con insistenza a ripresentarsi a Firenze. Ritornato in città gli incarichi per Michelangelo sono adesso numerosi, gli viene affidato un gigantesco blocco di marmo da cui il Buonarroti ne ricava una figura d’uomo con un’espressione forte e accesa. In quell’immagine, il David, i fiorentini vedono la rappresentazione simbolica della loro città e della forza compresa in essa. La grande statua viene infatti collocata in Piazza della Signoria.
È il 1505 quando papa Giulio II chiama Michelangelo a Roma, per assegnargli un progetto architettonico di enorme portata: la propria tomba.
Lo scultore sceglie di andare a Roma, ma a Firenze lascia il celeberrimo Tondo doni, opera pittorica che colpisce per la singolare concezione spaziale e per il risalto scultoreo della vergine e del bambino. Pare essere un’anticipazione di ciò che realizzerà di lì a poco nella Cappella Sistina.
Fra Michelangelo e il papa i rapporti non sono affatto idilliaci. I contrasti sono frequenti, a causa dei loro fraintendimenti; l’artista tornerà a Roma soltanto nel 1507 con l’incarico di un ciclo di affreschi della Cappella Sistina: un impegno che in un primo momento gli provoca angoscia e che avverte come un peso da portare a termine, per la grande mole di lavoro che comprende.
Nonostante Michelangelo privilegi la scultura, rispetto alla pittura, tuttavia ha le qualità per realizzare un’opera pittorica di così elevata portata. E dal 1508 inizia a lavorare alla Cappella Sistina.
Anche se instaura un rapporto di amore e odio con quel progetto; stessa cosa avviene anche con i collaboratori che gli vengono affidati: l’artista, furioso, non ammette errori, solo lui dovrà scontrarsi con quella volta immensa, impegno che lo divora come un fuoco, tanta è la passione che mette nel progetto che non dispone neppure i cartoni preparatori.
Quando, nel 1512, vengono smontate le impalcature, la visione che appare ai presenti è sconvolgente nel vedere ‘sì tanta bellezza’, come dirà il Vasari.
Ma tale lavoro lascia Michelangelo in uno stato di prostrazione sia nello spirito sia nel fisico.
Morto Giulio II, Michelangelo è di nuovo a Firenze per cercare di terminare i lavori per la sagrestia nuova e la Biblioteca Laurenziana.

Ma sarà coinvolto, seppur controvoglia, ad assumersi un nuovo incarico: quello di affrescare nuovamente la Cappella Sistina, con la raffigurazione, questa volta, del Giudizio Universale. Inizia così un lavoro grandioso che lo impegnerà per sette anni. Il risultato sarà una composizione innovativa dove il senso profondo del dramma dell’uomo è sottolineato dalla presenza del figlio di Dio che accentra l’attenzione su di sé.
Quando l’affresco viene presentato suscita ammirazione ma anche polemiche; in seguito si deciderà di coprire le parti scoperte degli ignudi con delle vesti.
Ormai il Buonarroti è un mito, un maestro che ama lavorare da solo e isolato da tutti; sono pochi gli amici che lo seguono, fra questi Vittoria Colonna che ha con l’artista un rapporto intenso e spirituale.
Ormai vecchio Michelangelo mette mano alla Pietà Rondanini: purtroppo rimarrà incompiuta.
È il 1564 quando Michelangelo muore, il suo inseparabile amico Daniele da Volterra così scriverà al Vasari.
“Lavorò tutto il sabato, che fu inanti a lunedì che si ammalò; et la domenica non ricordandosi che fosse domenica, voleva ire a lavorare se non che Antonio gnene ricordò…”
Written by Carolina Colombi