Le métier de la critique: il tema del camminare nella letteratura
La letteratura offre molte esempi della trattazione del tema del camminare. Sarebbe impossibile ripercorrerla qui per intero.

Solo rapidamente citerò il caso di Aristotele (348 a.C.-322 a.C.), la cui scuola filosofica è chiamata proprio “peripatetica” dal greco peri, ‘intorno’ e patein, ‘passeggiare’: questo nome evoca quella che costituiva l’attività peculiare dello Stagirita e dei suoi allievi, il fare filosofia “passeggiando intorno” al Liceo, la scuola fondata dal filosofo greco.
Saltando attraverso i secoli, nel Novecento, è lo scrittore tedesco Hermann Hesse (1877-1962) ad attribuire importanza al camminare, inteso come un vagabondare, un vagare dell’anima alla ricerca di se stessa, come si può evincere, ad esempio, da uno dei racconti giovanili dell’autore, Pellegrinaggio d’Autunno.
Recentemente, una ricognizione sui significati dell’andare a piedi nelle varie epoche storiche e un superamento della stessa in una visione libera e totalmente sciolta dalle sue implicazioni pratiche, è stata proposta dal filosofo francese Frédéric Gross nel suo libro Andare a piedi. Filosofia del camminare, tradotto in italiano da Garzanti nel 2013.
E, alcune settimane fa, in libreria, l’occhio mi è andato su un recente volumetto a tema: Camminare, un gesto sovversivo di Erling Kagge, versione italiana a cura di Einaudi. Assolutamente da leggere!
Ispirandomi alla letteratura, ma tornando al concreto delle nostre vite, vorrei portare un contributo dalla mia esperienza. Premetto che sono una fissata di questa forma di movimento: ogni sera, tornata a casa, indosso tuta e scarpette ed esco con la radio del cellulare come compagnia.
Mentre passeggio (a tratto piuttosto spedito) posso ripetere tra me e me qualcosa che devo memorizzare, posso programmare, posso ascoltare la musica o, spesso, la trasmissione di Radio uno Zapping o anche le partite di calcio.
Mentre il corpo si allena, la mente si scarica da ogni tensione, complice anche la contemplazione del suggestivo panorama che mi circonda, quello delle colline picene: e alle 19 di sera ogni stagione ha il suo proprio, inimitabile, unico paesaggio!

Anche passeggiare in città può essere un’esperienza piacevole: quando vado a Macerata per i miei impegni, una delle cose che amo fare di più al ritorno è scendere alla stazione di San Benedetto del Tronto e, da lì, andare a piedi fino alla Biblioteca comunale dove adoro fermarmi per ristorarmi un po’ prima di tornare a casa.
Ebbene in questo tragitto, che dura circa venti minuti, ritrovo me stessa: sarà lo scenario del Corso Moretti, teatro della movida sambenedettese; saranno le vetrine dei negozi; il caffè preso al mio bar preferito, l’aria accogliente della biblioteca dove posso sfogliare i quotidiani del giorno, se non ho avuto modo di comprarne uno: ebbene, muovermi a piedi, mi prospetta la possibilità di fare tutte quelle piccole cose comuni di sempre che, però, danno senso e gioia alla mia vita.
Camminare è un’attività sociale, perché posso vedere gli altri che si gustano un aperitivo, salutare il conoscente, parlare al telefono con l’amico che non vedo da tempo, ammirare la città attraversandola. E, sebbene da spettatrice, posso partecipare, vedere quello che va e quello che non va, farmi un’idea e quindi, eventualmente, esprimerla nelle sedi opportune.
Del resto, parte integrante di ogni “spettacolo” è il pubblico o meglio, per affinità etimologica, lo “spettatore”: in latino i sostantivi spectalum, spectator sono connessi con il verbo specto, e tutti questi lemmi afferiscono all’area semantica del guardare, dell’osservare e del contemplare.
Se la contemplazione è l’atto mediante cui il mondo si manifesta all’uomo, mentre andiamo a piedi siamo proprio noi spettatori ad entrare all’interno del mondo stesso.
Ad maiora!
Written by Filomena Gagliardi