“Verso una visione olistica del mondo” di Silvano Negretto: la postfazione de “L’anima sinfonica” di Claudio Borghi

L’anima sinfonica” di Claudio Borghi (Mantova, 1960) è stato pubblicato nel maggio 2017 dalla casa editrice Negretto Editore nella collana “Versi di versi”. Di seguito la postfazione dell’editore Silvano Negretto intitolata “Verso una visione olistica del mondo”.

L’anima sinfonica

Nella concezione del tempo, uno dei concetti nodali nei testi di Claudio Borghi che, oltre ad essere poeta, è anche fisico e filosofo, trovo riferimenti a Bergson: la durata reale non è il cammino circolare e quantitativo dell’orologio, che scandisce solo il tempo strumentale, sempre identico a se stesso, ma la coscienza che nel suo farsi ed esprimersi si conserva e, conservandosi, si arricchisce di esperienze di pensiero, di sentimenti, emozioni, ripensamenti, revisioni, separazioni, riconciliazioni, nel perenne costitutivo carattere della vita, che fluisce riconoscendo sia l’innovazione che la conservazione.

La poesia, col suo linguaggio libero e spontaneamente legato al flusso globale di una coscienza incarnata vivente, è il luogo in cui i diversi livelli di esperienze culturali, pensieri e idee, razionali e consapevoli, diventano un tutt’uno con l’emozione, con l’aspirazione all’Unità, al dialogo con se stessa, interiore e materiale nel contempo, connessa con una universale, unica coscienza vitale. Coscienza intellettuale od emozionale, razionale o pulsionale, filosofica o poetica? Borghi pensa che i concetti determinati e divisivi, le rigide separazioni, a questi livelli, rischiano di diventare pure etichette strumentalmente comode, che non sanno però cogliere la complessità di un corpo-pensiero-linguaggio (quello umano) che vitalmente aspira all’Unità:

Sul prato verrà la notte/ e canterà l’uccello sospeso,/ canterà sul ramo oscillando/ e spiccherà il volo. Il cielo nero/ accoglierà la forma in alto/ rapidamente salita, l’Uno/ sarà la fine del ritmo,/ l’uccello si annullerà,/ rimarrà un respiro di luce,/ un brivido di luce,/ rimarrà la forma dell’Uno/ alto, inconcepibile,/ il verde scomparirà,/ rimarrà solo luce, un brivido di luce. Nell’Uno/ si fermerà il volo spiccato dai rami.

Oltre che a Bergson, i testi di Borghi fanno anche riferimento a Hegel: tutto si conserva nella coscienza e nell’universo mondo non c’è evoluzione, ma un percorso di innovazione connesso con la vita, che sempre si muove e fluisce. Come non ricordare il suggestivo passo sulla nottola di Minerva, che spicca il volo sul far della sera? Non è all’alba, o al pomeriggio, che il pensiero filosofico inizia il suo volo, ma “sul far del crepuscolo”. Quando le cose sono già bell’e fatte, il pensiero cerca di capire e trasformare il proprio volo in conoscenza. La notte non porta solo stupore, come in Hölderlin, ma la conoscenza razionale di tutto il reale. In un percorso a ritroso, da Hegel a Plotino il passo è breve: per Plotino l’Uno è luogo dell’origine e anche del ritorno di ogni cosa, oggetto o essere animato vitale, che si fa cosciente nella poesia del vivere. Il testo di Borghi rimanda, in definitiva, a tutta la tradizione platonica e neoplatonica, che confluisce nell’idealismo hegeliano attraverso Nicola Cusano e Giordano Bruno: sia nel ricorrente concetto o metafora della luce, sia nei suggestivi riferimenti ai simboli primordiali (miticoantropologici) dell’acqua, del fiume o della fiamma, che sempre, nel continuo mutamento, rimangono uguali.

Questi presupposti filosofici sono rielaborati ed espressi da Borghi con aforismi dal ritmo musicalmente trascinante, scandito con una serrata necessità concettuale che ricorda Spinoza e Wittgenstein. Con naturalezza Borghi passa all’esemplificazione della sua teoria (che potrei definire, provvisoriamente, neoromantica) della verità come poesia filosofica, in chiara sintonia, seppur forse involontaria, col pensiero dell’ultimo Heidegger:La verità palpita nell’io senza appagarlo”.

A questo proposito, ritengo illuminanti le considerazioni di Heidegger ne L’origine dell’opera d’arte. Qui il filosofo riprende il termine greco aletheia, ma non nel senso di semplice “svelamento”, bensì come dinamica di nascondimento e non-nascondimento, illuminazione (Lichtung) che si staglia sempre sullo sfondo di un orizzonte di oscurità. La verità delle cose non sta nell’essere “enti-semplicemente presenti”, ma nell’aprirsi alla verità del loro essere, che solo l’artista può intendere, in un’accensione spontanea, forse involontaria, di luce poetica: “La verità attraversa la mente come una colomba imbianca la notte”.

La filosofia è dunque, in Borghi, alla maniera in cui la intende Nietzsche, inscindibilmente unita alla vita. Materiale o spirituale non importa: questa è una distinzione, già dopo Hölderlin o Hegel e soprattutto dopo Nietzsche, troppo rigida e semplicistica, perlomeno problematica. Nel contempo, se accettiamo i presupposti di Heidegger, la filosofia diventa verità quando si apre al tutto, ovvero all’essere, che solo nel linguaggio della poesia si rivela, senza mai poter essere definita (come invece accade nel linguaggio della tradizione metafisica e scientifico-tecnologica). La prosa-poesia di Borghi si esprime pienamente, come dice Zena Roncada nella sua stimolante analisi, con la “maschera visionaria”, prevalente nella sua ricerca linguistica, vera suggestiva novità dei suoi testi:

La luce conquistata dalle idee è frutto solo di un’incandescenza del cuore.

Il pensiero si allontana dal problema della vita illudendosi di superarlo.

La filosofia trasforma il tempo pesante in una colomba che vola nell’irreale aria dell’essere. 

La filosofia si è persa nei meandri della perfezione logica e metafisica – impregnando ancora di più la spugna vivente: le verità del pensiero si accendono come nuove stelle nell’universo dell’io, senza sfiorare l’essenza del problema.”

Claudio Borghi – Silvano Negretto

La disperazione, che è al fondo del messaggio biblico (si veda il Qoelet) come in ogni umana coscienza che aspiri alla verità dell’essere, nel nostro poeta si rivela come il frutto di una lunga, sofferta quanto coerente elaborazione, profondamente vissuta. Questa negativa-positiva situazione esistenziale si fonde sorprendentemente, con estrema naturalezza e consequenzialità, con echi quanto mai contemporanei. Perché su questo punto di fondo nulla è cambiato da Socrate o Platone, o meglio dai presocratici fino ad Heidegger e Gadamer, nella storia e nei linguaggi plurali e pur diversificati nelle varie correnti della filosofia occidentale: l’aspirazione del soggetto pensante a cogliere l’Unità del tutto, nella consapevolezza della propria irrimediabile inadeguatezza. Per questo la più alta conquista della parola (concetto, pensiero) coincide col silenzio, e l’essere coincide col nulla:

L’uomo diventa silenzioso come un albero o un animale, guarda il mondo con gli occhi di chi dentro tace.

Nasce il nulla a cuore spento.

L’uomo ritorna al suo stato primitivo, come gli uccelli e le foglie, i cani e le piante.

L’essere non è più la luce essenziale del mondo.

La sostanza si svuota di senso – perde vita – esce dalla filosofia.

L’organismo Uno appassisce e si scolora.”

Singolare l’analisi del rapporto anima-corpo, o spirito-materia, concetti e temi da sempre dibattuti nella cultura occidentale:

Ho paura dello spirito.

Sento che il corpo deve essere portato a Cristo, non l’anima: l’anima è un veicolo, una luce di nascita istantanea, un’illusione di tempo e di cammino: il mondo non deve essere spiritualizzato, ma restituito al corpo – alla materia. Cristo è il corpo. Il corpo-io cerca il corpo-Cristo tramite l’anima.”

La filosofia originaria dei presocratici avrebbe pienamente compreso questi aforismi di Borghi:

L’organismo Uno contiene il movimento vivente e lo slancio universale – il mondo degli animali e degli uomini, delle forme fantastiche armonizzate in sinfonie.

La vita è confine tra nulla e mondo – fusione tra forma e assenza.

L’uomo nasce nella forma definitiva in cui vita e morte nuotano nello stesso mare.

Non c’è eterno ritorno – perché il tempo è illusione.

Cos’è la bianca ondeggiante altalenante sinfonia della vita, marea che nasce da marea, onda che viene dal profondo oscuro balenare di sogni di idee adagiate sul fondo, cos’è quest’anima nata come una musica e destinata a spegnersi nella sua fine? Nulla. Il tutto è una musica già finita.”

Movimento e quiete, forma e assenza, nulla e mondo, vita e morte, anima e corpo: gli opposti, a cui siamo da sempre abituati, si richiamano dialetticamente. Soltanto la ragione, strumentalmente, li separa: ne ha bisogno per vivere quietamente, per sottrarsi all’infinita inquietante paura della morte, ovvero della vita del Tutto.

Scrive Borghi:

L’Uno è solo per l’anima, che al culmine del suo canto nel mondo ritrova il principio, la vita come identità.

La marea sale all’Uno, dove la luce più non brilla – il durare è senza flusso e l’anima si incendia, nel lampo di totale sguardo.

L’universo si riempie dell’io.

L’io si chiude nell’Uno – come in un fiore increato.”

Come non ricordare, qui, il neoplatonismo, di cui molto la teologia cristiana si nutrì, almeno fino alla vittoria storica del realismo aristotelico di Tommaso? Il tempo nasce con l’anima, non esiste in sé, perché il tutto è eterno presente, per l’anima perennemente inquietante quanto insondabile, e al quale le umane, troppo umane parole, solo nella poesia possono pretendere, quanto meno, di alludere tentando di coglierne, invano, il senso ultimo:

Le parole non possono dire la luce, ma queste parole mi segnano l’anima come delle formule – risuonano, moltiplicano significati nel chiuso della sfera dell’io che vive.

Le parole si fanno pensiero, rilucono, riverberano forme, si aprono, si coagulano condensandosi in cose – raccolgono sensi profondi racchiusi in materia.”

L’io comprende il tutto e ne è parte; da qui l’inevitabile, irrisolvibile relazione dialettica tra pensiero filosofico e parola poetica:

I filosofi – che parlano come se possedessero il succo intimo dell’umanità e raccontano l’idea immanente e lo sguardo trascendente che scruta il cuore dell’uomo – non sanno cosa dicono. Si smarriscono nel momento stesso in cui contemplano il loro apparente universo di certezza. 

La filosofia è testimonianza di uno smarrimento.”

Ma, forse proprio per questa relazione, la poesia gode della massima cosciente libertà nella ricerca della verità, che può trovar forma solo nel tempo: “L’io pensante deve fare i conti con l’io vivente – deve attraversare la materia, la sofferenza del cuore, il divenire. Il tempo è la strada necessaria”.

Negretto Editore

L’intuizione spicca il volo ad altezza metafisica, verso una preda mistica, supera di slancio lo strumentalismo pragmatico che, dai Sofisti a Occam all’empirismo inglese, fino a Dewey, occupandosi solo del linguaggio come semplice strumento pratico, ci lascia insoddisfatti, interiormente incompiuti. Quanto è più coinvolgente e convincente la verità della corrente mistica che permea da sempre la teologia cristiana, riassunta nel concetto agostiniano di Dio come eterno presente! La ricerca di nuovi codici linguistici, a partire dalla crisi dei fondamenti di fine Ottocento, ormai da tempo compie incursioni nella fisica, nella matematica e nella biologia. Il marxismo stesso, per quanto filosofia fondata sul materialismo storico-dialettico, non è stato solo una teoria sociale e politica, in quanto ha riconosciuto i limiti delle divisioni rigide tra fisica, matematica, biologia, ecc., ricorrendo talvolta a Goethe o più in generale a intuizioni romantiche o dialettico-hegeliane. Un esempio paradigmatico è la Dialettica della Natura di Engels, da decenni dimenticata, che sul piano filosofico e del linguaggio letterario-poetico neoromantico ha anticipato la crisi dei fondamenti e lo stesso olismo contemporaneo, di cui i maggiori intellettuali non contestano più la profonda verità.

Nel linguaggio mistico degli aforismi di Claudio Borghi si possono ritrovare le categorie letterarie della ricerca amorosa, della lontananza e della vicinanza, il dolore dell’assenza e la gioia del ritrovamento, echi del misticismo spagnolo del siglo de oro o del neoplatonismo italiano rinascimentale, che tuttavia non contraddicono il suo assai professionale realismo sperimentale: lo stesso Borghi ha elaborato col consueto rigore, in ambito fisico-epistemologico, aggiornati rigorosi articoli, pubblicati su prestigiose riviste scientifiche internazionali. Negli anni Settanta, quando Claudio cominciò a scrivere, molto giovane e ancora studente liceale, circolava la tesi di Edgar Snow sulle due culture: umanesimo e scienza sembravano percorrere strade irrimediabilmente parallele, destinate a non incontrarsi mai. Da allora Borghi ha elaborato testi caratterizzati da un linguaggio unitario, innovativo, tentando di cogliere l’indefinibile, attingendo da ambiti culturali in apparenza divergenti, alla ricerca dell’origine, del principio da cui emerge la vita, e con essa il pensiero. Come il misticismo rinascimentale tentava di sottrarsi all’aridità della teologia imbevuta di razionalismo aristotelico, schematico quanto incapace di rivolgersi alla totalità dell’anima umana, così Borghi, dotato e impegnato in studi e letture plurali, tende a lavorare su piani diversi, alla ricerca di un’unità che sa di non poter mai raggiungere, ma che rappresenta, in fondo, quell’energia che stimola misteriosamente quello che Hegel chiamava il pensiero vivente.

La lettura dei testi di Borghi ci porta, come gli uccelli liberi da lui evocati, a cieli luminosamente azzurri, accecanti in quanto aperti al vuoto infinito: il suo originalissimo quanto complesso percorso culturale, poetico e filosofico, scientifico e religioso, ci appare assai vivo e profondamente innovativo; proteso ad una cultura del futuro, in direzione di una ricerca sempre in divenire, fonte di ulteriori stimoli per la poesia e la letteratura contemporanea.

 

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