Avant-première: “La vera storia di Olli Mäki”, film di Juho Kuosmanen – Un destro finnico sferrato con sobrietà
Il vincitore della sezione Un Certain Regard del 69esimo Festival di Cannes, “Hymyilevä mies” (letteralmente “L’uomo sorridente”), noto internazionalmente come “The Happiest Day in the Life of Olli Mäki”, approda nelle sale italiane a oltre due anni dal debutto.
Per il pubblico nostrano è stato tradotto in maniera fin troppo convenzionale con “La vera storia di Olli Mäki”: presumibilmente, non essendoci alcun cartello in testa o in coda che reciti “tratto da una storia vera”, si è ritenuto prudente rendere ancor più auto-evidente una caratteristica già connaturata al soggetto.
Il film di Juho Kuosmanen, nome che ai più suonerà del tutto ignoto in quanto si tratta di un regista di cui oggi abbiamo ancora un solo lungometraggio (e già però scelto per rappresentare il Paese d’origine agli Oscar), mette a fuoco un arco temporale assai circoscritto, l’estate del 1962, durante la quale il campione di numerosi incontri dilettanteschi di boxe Olli Mäki disputò per la conquista del titolo di campione del mondo dei pesi piuma.
L’avversario da battere era il 28enne Davey Moore (cui, dettaglio significativo da accludere alla visione, rimanevano pochi mesi prima di salire sull’ultimo ring dove avrebbe incontrato la morte): per la prima volta la Finlandia portava a sé niente meno che l’America, nutrendo la speranza di dominare il quadrato in casa propria.
Apostrofato con l’epiteto di “fornaio di Kokkola” (una cittadina provinciale che al tempo contava meno di 20 mila abitanti), Mäki venne affidato a un manager competente e competitivo, deciso a strappare il pugile al paesucolo d’appartenenza per avvicinarlo alla propria città natale, Helsinki, centro ben più ricco di generose opportunità.
Nonostante la tenacia ed il saldo e rassicurante temperamento usati durante gli allenamenti, il coach si dovette scontrare con le resistenze del suo uomo, tutt’altro che avvezzo alle logiche di un business di risonanza internazionale, nonché a tante attenzioni che, lungi dall’essere percepite come abili premure indirizzate alla propria consacrazione sportiva, si riducevano a mere, fastidiose pressioni.
Ancora più difficile si rivelò vincere l’attrazione per Raija, la quale fece breccia nel cuore di Olli proprio nel momento “meno adatto”, quando tutte le energie si sarebbero dovute orientare verso un’unica direzione, un obiettivo quanto più lontano da sentimenti di affetto e pietà.
La ragione per cui Kuosmanen ha mietuto all’esordio un successo di critica così notevole e compatto (Rotten Tomatoes presenta un totale di 50 recensioni positive, così come Metacritic ne include 17 su 17 del medesimo avviso) risiede senza dubbio nella maniera in cui ha declinato il proprio approccio anti-spettacolare alla vicenda.
Al di là della fotografia in bianco e nero (fra tutti, il naturale modello di riferimento è il quasi quarantenne “Toro scatenato”), ciò che ha allontanato gli spettatori dall’usuale rappresentazione coinvolgente e chiassosa di match e, soprattutto, di estese sezioni di training, è stato lo sguardo onesto sull’esperienza di un lottatore che, testardamente, intendeva ritrattare le regole del gioco.
I soli riflettori cui, peraltro malvolentieri, sembrava accostarsi erano quelli impiegati dalla piccola troupe del documentario di cui era stato eletto protagonista (“Mäki Moore maailmanmestaruus”, 1962): chiaramente, la vera luce che ricercava, per rifarsi ai teneri, mai stucchevoli accenti che ricorrono nel film, era in realtà quella di cui splendevano (e splendono, nella sequenza finale che ospita i camei dei veri Olli e Raija) gli occhi dell’amata.
“La vera storia di Olli Mäki” è dunque il convincente risultato di un bilanciamento operato con non comune sapienza fra il versante delle dinamiche private (i dissidi interiori generati dall’attrito fra l’irrinunciabile passione sentimentale e la paura di non corrispondere al paradigma imposto, di deludere cioè le aspettative dei pochi addetti al lavoro come di migliaia di appassionati) e il lato più spiccatamente cronachistico (la meticolosità, la puntualità e l’umiltà usate nello scandagliare le giornate dell’“eroe” anche nei suoi aspetti più intimi e, se si vuole, meno virili).
Voto al film
Written by Raffaele Lazzaroni
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