Riflessioni sullo stupro: il tempo, le rose e le scelte
Oggi parliamo di rose, ma anche un po’ di tempo e di scelte. Il titolo giusto per questo post sarebbe “Riflessioni sulle relazioni: Il tempo, le rose e le scelte,” ma vorrei condividere con voi un pensiero applicabile anche (e soprattutto?) alle relazioni post-stupro, quindi lasciamo invariato il titolo di questa rubrica e andiamo avanti.

Avete presente quel simpatico aforisma di Antoine De Saint Exupery? “Non è la tua rosa a essere importante. Lo è il tempo che hai dedicato a prenderti cura di essa.” Non so quante volte l’ho letta su Facebook, generalmente in relazione alla fine di un amore.
Come l’abbiamo interpretata male, quella povera frase! Tutte le rose sono importanti, tutte. Così come il nostro tempo è sempre importante, che sia utilizzato per prenderci cura di qualcuno o per non pensare, per staccare la famosa spina.
Tutto è importante.
Di solito, dopo quest’affermazione, si aggiunge “e niente è indispensabile,” ma non sono d’accordo. Il problema è che ci siamo convinti che le rose sono tutte più o meno uguali, che diventano speciali solo quando si trasformano in un “investimento.”
Il tempo, la presenza, i momenti condivisi, il supporto, l’affetto, i messaggi, le cene, le serate, le vacanze, i regali, i fiori, le feste in famiglia, le ricorrenze, le battute incomprensibili per chiunque altro… la rosa diventa tanto più speciale quanto più le dedichiamo del tempo.
Con il tempo costruiamo sempre più cose attorno alla nostra rosa. La rendiamo unica, la rendiamo indispensabile alla nostra sopravvivenza. Insomma, siamo noi a dare “unicità” alla nostra rosa, perché lei in sé era solo una rosa. Invece non è affatto così: la rosa era speciale a prescindere. La rosa è diventata la nostra rosa e si è trasformata in un “investimento” proprio perché era speciale. Abbiamo iniziato a darle tempo, attenzioni, cure, supporto, affetto, regali e baci proprio perché quella rosa, quella in particolare, era speciale.
Le rotture sono atroci. C’è la perdita, più o meno improvvisa, con cui fare i conti. Ci sono le “motivazioni,” più o meno vero, più o meno personali, più o meno atroci, da digerire. E poi ci sono gli “accessori”: la perdita della famiglia “acquisita” (se si aveva un rapporto con i genitori della propria ex metà), la ripetizione di un pattern di perdite che per alcuni di noi è particolarmente difficile da spezzare, i vari piccoli graffi aggiuntivi legati alla modalità con cui la storia è terminata.
Allora ci si fa forza, o ci si dice di farsi forza, e si inizia a cercare di razionalizzare: si inizia con il dire che la rosa è rimpiazzabile, che se ne troverà una migliore, poi si passa a esaminare quanto la rosa sia stata stronza e infine si decide che una rosa vale l’altra, ma che quella che abbiamo perso vale comunque un po’ di meno delle potenziali prossime. Quanti sbagli, in questo ragionamento.
La rosa non è rimpiazzabile e non se ne troverà una migliore. Se ne troverà una diversa. Nessuna rosa è sostituibile e non esistono “upgrade.” Esistono solo tante rose diverse.
La rosa non è stronza. È solo incapace. Incapace di restare, di spiegare e di costruire qualcosa insieme.
La rosa non vale meno delle altre. Ha semplicemente perso valore, perché ha mostrato la sua debolezza, ovvero l’incapacità di cui sopra.

Ma il problema non sono i pensieri che vi elencavo, che vengono formulati come difesa da parte della rosa che è stata lasciata. Il problema è il ragionamento della rosa lasciante. Il problema è che lasciamo andare rose che vanno benissimo, nell’illusione che siamo (o eravamo) innamorati dello sforzo che stavamo facendo, più che della rosa in sé.
Ormai ci siamo abituati a pensare che l’amore vero sia qualcosa di completamente non-egoistico, di assolutamente slegato dalla voglia di non stare più da soli e di dipendente solo e solamente dal fatto che è vero amore.
Sono tutti pensieri sbagliati: l’amore è egoistico per sua natura, perché amiamo qualcuno che ci fa stare bene, che ci dà emozioni positive e che rende la nostra vita migliore. Altrimenti, a parte i casi da crocerossina e da infatuazione per il bello e dannato, non ci innamoriamo neanche per sbaglio.
Anzi, escludiamo la rosa in questione dalla nostra lista dei potenziali compagni di vita. L’amore è un sentimento che non può prescindere da un po’ di sano egoismo. È anche legato al non voler più stare da soli: le relazioni casuali, le storielle da una notte e via, e le infatuazioni possono essere tutto ciò che possiamo concederci in alcune fasi della vita.
Ma poi arrivano le fasi in cui vogliamo tornare a casa e trovare qualcuno che ci abbracci, che ascolti quello che abbiamo da dire e che si faccia carico insieme a noi di fare la lavatrice, preparare la cena e riordinare l’armadio. Insomma, vogliamo qualcuno che divida emozioni e azioni pratiche con noi. Il vero amore, insomma, o quello che pensiamo essere vero amore, non esiste.
L’amore è una scelta quotidiana, costante. L’amore è decidere che la nostra rosa è speciale, dedicarle del tempo per renderla ancora più speciale e poi ricordare queste scelte. L’amore è non perdere di vista il perché le cose sono iniziate, il come sono evolute e il fatto che possono continuare a cambiare. Insieme alla nostra rosa. L’amore è memoria, non perfezione. L’amore è egoismo condiviso, non un sentimento ultraterreno. L’amore è una decisione, non un fenomeno inspiegabile.
Quando leggo la famosa frase sulla rosa, penso a tutte queste cose. Quando vengo lasciata, penso a tutte queste cose. Quando so di coppie che attraversano un momento delicato, penso a tutte queste cose. Le rose devono essere compatibili, è vero, e devono anche avere una fortuna incredibile, ma le rose devono anche e soprattutto ricordarsi perché si sono scelte.
Qualche ora fa stavo parlando con un caro amico, uno di quegli uomini che in amore non è fortunato, e mi ha detto qualcosa di sconvolgente: “Se finisce non è amore.” Non so se abbia ragione, ma di una cosa sono certa: amore è restare. Non perché ci siano sentimenti puri e inspiegabilmente divini a guidarci, ma perché siamo consapevoli, adulti e in grado di restare.

Ma parliamo del post-stupro, delle relazioni che seguono uno shock e di tutti coloro che dicono: “No, da adesso in poi non muovo più un dito e faccio fare tutto a loro.”
Come mettere in discussione questa scelta? Non si può, è semplicemente impossibile. Però va fatto. Il problema è che tutti, in misura diversa, ci portiamo dietro e dentro qualche trauma, chi uno stupro, chi la perdita di una persona amata, chi dei problemi in famiglia.
Siamo tutti vittime di episodi dolorosi o ingiusti. Se tutti scegliessimo di smettere di colpo di darci da fare, di ricevere senza mai essere i primi a dare, come potremmo sperare di vivere in un mondo di relazioni salutari, stabili?
La maggior parte della popolazione sarebbe sola, isolata. Pochissime coppie avrebbero l’occasione di formarsi. Pochissimi individui potrebbero essere felici. Il problema è che percepiamo molte cose come mistiche, quando invece sono normali: l’amore è normale, dare è normale, stare male è normale.
Non c’è nulla di ultraterreno nell’amore, anche se le sensazioni che ci dà sono incredibili. Non c’è niente di coraggioso, né di saggio, nell’aspettare di ricevere senza essere disposti a dare.
Non ci si può rannicchiare nel dolore e fare sì che l’ingiustizia di questo ci blocchi. Bisogna sempre provare, sempre pensare, sempre andare oltre a quelle che ci sembrano soluzioni ottimali e immediate.
Bisogna normalizzare l’amore, capirlo in ogni sua sfumatura e tenerselo stretto. Bisogna restituire semplicità ai sentimenti positivi e ricominciare a costruire vite felici. Insieme.
Written by Giulia Mastrantoni
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