Life After Death: l’incontro con Vettore Fausto, inventore della quinquereme veneziana #4

“[…] dico che tutti i letterati uomini gli hanno ad avere un grande obbligo. Ché non si potrà più dire a niun di loro, come per addietro si solea: Va’ e stati nello scrittoio e nelle tue lettere, quando si ragionerà d’altro, che di libri e di calamai…Cardinale Pietro Bembo ‒ storiografo della Repubblica di Venezia e bibliotecario della Biblioteca Marciana, maggio 1529

Dragut verso l’isola di Poveglia

La serata a Zaklopatica con Carlo Sciarrelli si è protratta sino all’alba, davanti ai piani costruttivi del progetto 106* “Dragut”. Da lui viene il suggerimento di recarmi da Vettore Fausto: letterato veneziano, erudito doctor grecista, latinista, con cattedra presso la Schola di San Marco a Venezia, matematico e architetto navale. Questa sua dote per il disegno navale, gli è valsa il titolo di proto dell’arsenale nel 1526.

Sono ormai giunto alla Bocca di Malamocco, l’ingresso della Laguna di Venezia riservato alle navi. Imbarcato Nane (Giovanni), il pilota dell’isola di Poveglia – gli abitanti dell’isola, godevano di moltissimi privilegi, tra cui il monopolio per il rimorchio delle navi nel porto di Malamocco, l’esenzione dai dazi, e il diritto di accompagnare il Doge come ala destra del Bucintoro, nel giorno dell’Ascensione ‒ comincia una pericolosa navigazione nei canali, non ancora segnalati dalle bricole, che mi condurranno sino al Lazzaretto Novo, dove passerò la quarantena col Dragut prima di essere ammesso in città.

Lentamente, seguendo le precise indicazioni di Nane, percorriamo il Canal de Malamocco. L’Ottagono, l’isola polveriera meta delle domeniche dei veneziani, ancora non è stato costruito, e, alla mia destra, il Lido di Malamocco è ricco di orti e siepi.

Svoltiamo leggermente a sinistra, e imbocchiamo il canale di Santo Spirito. Dopo meno di mezzo miglio, siamo davanti all’isola di Poveglia, su cui svetta il campanile della chiesa di San Vitale, che Nane non ha perso d’occhio per tutto il tempo, collimandolo con il campanile della successiva isola di Santo Spirito.
Ammaino le vele, e contratto il rimorchio sino all’isola del Lazzaretto Novo.

Il caicio venuto per rimorchiare il Dragut porge una rèsta, lo speciale cavo da rimorchio in fibre di canapa intrecciate.

Non c’è un minuto da perdere, la marea comincia a crescere, e faciliterà la risalita del canale. Con infinita lentezza proseguiamo lungo il canale di Santo Spirito, aiutati dalla corrente montante. Transitiamo davanti al monastero, la cui chiesa ospita opere di Bonifacio, Palma il vecchio, ed un mirabile soffitto dipinto dal Tiziano, che, dividendolo in tre, ha rappresentato il sacrificio di Abramo, la lotta tra Caino e Abele, e il ringraziamento di Davide per la vittoria su Golia. La pala d’altare, sempre opera del Tiziano, rappresenta la discesa dello Spirito Santo.

Le opere nel 1656 verranno completamente asportate e vendute per decreto di Alessandro VII, allo scopo di finanziare la difesa dell’isola Candia (Creta).

Transitiamo di fronte all’isola di San Clemente, originariamente hospitale curato dai frati Agostiniani, che dal 1165 ospitavano i cavalieri di rientro dalla Terra Santa. Nel 1432 l’isola passa ai Canonici Lateranensi, che restaurano la chiesa e ampliano il monastero. Oggi, nel 1543, l’isola accoglie gli illustri ospiti di Venezia, che vi giungono a bordo del Bucintoro.

Lasciata l’isola de Le Grazie alla nostra sinistra, imbocchiamo il largo Canale Orfano, che termina nel Bacino di San Marco, proprio di fronte al Canale dell’Arsenale.

Venezia – ingresso arsenale 1500

Il bacino di San Marco è costellato di navi da carico, galere, galeoni, fregate, vessilli al vento, sullo sfondo di uno sfavillante Palazzo Ducale.

Viriamo verso Oriente, per circumnavigare l’isola di Sant’Elena e la sacca paludosa che la separano dalla città, e San Pietro di Castello, su cui svetta la basilica della città, appena restaurata per volere del patriarca Antonio Contarini. [1]

Entrati infine nel Canale di San Nicolò, posso ammirare i lavori di costruzione del Forte di Sant’Andrea, opera dell’architetto veronese Michele Sanmicheli, incaricato dal governo veneziano di salvaguardare l’accesso dal mare ritenuto più pericoloso – quello di Bocca di Lido ‒ sbarrando il passo, con le artiglierie, a una eventuale flotta nemica.[2]

Aggirato il Forte, svoltiamo a sinistra nel Canale di Sant’Erasmo, isola che da sempre ospita gli orti della città, e in poco giungiamo nell’imbocco del Canale Passatore, dove finalmente Dragut può ormeggiare all’Isola del Lazzaretto Novo.

L’odore penetrante del ginepro e del rosmarino che vengono bruciati costantemente per purificare l’aria e le merci si può percepire da kilometri di distanza.

Le alte cinte murarie e gli oltre cento camini che si innalzano dai tesòni – i grandi edifici divisi in cellette dove venivano ospitati marinai, mercanti, viaggiatori – e le due polveriere a forma piramidale, fanno pensare ad un fortilizio militare. In un angolo delle mura, presso i vigneti, la casa del priore del Lazzaretto, grazie alla cui indulgenza, in sale dotate di tutti i lussi e le comodità dell’epoca,  vengono invece ospitati i nobili, i capitani da mar, gli ospiti di riguardo, e in cui grazie alla corruzione, si può ricevere visite di amici e parenti, dar luogo a feste sfarzose e turbolente a base di vino di Cipro mescolato col miele ‒ offerto dai medici in abbondanza per scongiurare i contagi ‒ e… incontri più o meno segreti, lontani dalle orecchie indiscrete della città.

Sul pontile, in compagnia del priore, mi attende il personaggio per cui son giunto fin qui: Vettore Fausto.

Vettore Fausto: Capitano Fadda, benvenuto a Venezia.

C.F.: Illustre dottore, sono davvero lieto di incontrarvi. Confido che la mia missiva da Ragusa vi sia giunta.

Vettore Fausto: Ho ricevuto la vostra richiesta di un incontro, e il Capitan Cristoforo Canal, che ci attende, mi ha anche recapitato una lettera di Carlo Sciarrelli da Trieste, che tanto si è raccomandato per Voi.
Mi auguro che il vostro viaggio e l’arrivo nella Laguna siano stati lieti.

C.F.: Molto, dottore, vi ringrazio della Vostra premura.

Seguo il mio ospite ed il priore in un dedalo di passaggi nascosti, che ci conducono alla casa lontani da sguardi indiscreti.
Non sfuggono tuttavia al mio sguardo le grandi tiede – tettoie – sotto cui son stoccate le merci quarantenate. Balle di cotone, sete, spezie e merci dall’Oriente, e ancora lana e stoccafisso dai porti del Nord Europa.
Giungiamo così nella casa, dai cui piani alti lo sguardo può spaziare verso il mare a Oriente, e verso la laguna e la città a Meridione. Attorno, decine di navi alla fonda, e di navi dismesse trasformate in alloggi per i marinai. Il priore molto discretamente si allontana, lasciandoci soli.

C.F.: Dottore, una moltitudine di uomini alloggiano qui sull’Isola. A quante anime ammonta la popolazione?

Vettore Fausto – Note Studio

Vettore Fausto: Tremila e più persone sono qui accolte, alle quali se aggiungete i serventi, i ministri, la truppa, et inoltre sacerdoti, medici, chirurghi, farmacisti, levatrici e quanto insomma occorra ad una intera popolazione, da otto a novemila persone sono qui nutrite per mano della Repubblica.

C.F.: Un numero notevole, e notevole appare anche l’organizzazione di siffatto hospitale.

Vettore Fausto: Allo spuntare dell’alba giungono i visitatori, che scorrono l’isola e prendon nota della salute degli uomini, e provvedono al trasferimento dei malati al Lazzaretto Vecchio.  Non molto tempo dopo, sopraggiungono le barche con ogni sorta di beni commestibili, che vengono somministrati dalla Repubblica a ragion di 14 soldi per bocca, e l’acqua viene approvvigionata giornalmente da battelli che giungon con l’acqua tolta dal Sile. Ginepro e rosmarino giungono invece dall’Istria e dalla Dalmazia coi navigli.

C.F.: Un onere assai gravoso per la Repubblica, che alla lunga può costar milioni.

Vettore Fausto: E la Repubblica è anche in grave crisi. Il Turco Solimano è giunto alle porte d’Ungheria, domina sulle Sirti, su l’Egitto e sul Mar Nero, e tesse trame con gli uschocchi di Segna e di Lagosta.

Abbassa la voce.

Vettore Fausto: Avete saputo della lettera all’Arciduca Ferdinando?

C.F.: Ho saputo durante il mio viaggio. Monsieur de La Vallette me ne ha informato.

Vettore Fausto: Ebbene Capitano, istessa lettera giunse anche al Doge. Tre anni fa fu stipulata la pace con il sultano Solimano il Magnifico, che costò a Venezia la gravosa cessione delle roccaforti di Malvasia e Napoli di Romania (Nauplia) e il pagamento di 30.000 ducati in due rate annuali[3]. Le abili trattative dell’ambasciatore Alvise Badoer non furono sufficienti, perché la disponibilità veneziana alla trattativa è nota ai Turchi, informati dai due segretari della Cancelleria, Costantino e Nicolò Cavazza, complici di Agostino Abondio e Giovanni Francesco Valier, assoldati dall’ambasciatore francese a Venezia Guglielmo Pellicier.

C.F.: Ma il Doge non ha preso provvedimenti col Senato?

Vettore Fausto: Il Doge è ormai vecchio, e versa in tali precarie condizioni di salute da non poter presiedere agli obbligatori compiti di governo, tanto da suscitare nei Consigli sovrani il proposito di sostituirlo, ipotesi da lui subita con sospetto e amarezza. Il Senato tiene pronto come suo successore il diplomatico e saggio giurista Francesco Donà. I tempi ancora non son maturi per muovere contro i turchi. Venezia necessita di mantenere una relativa pace con Solimano, e vede di buon grado gli infedeli che mercanteggiano nei suoi possedimenti. La crisi che imperversa sulla Serenissima, ci porta inoltre a dover attendere.

C.F.: Il Senato è invece favorevole a muovere contro i turchi?

Vettore Fausto: Venezia sarebbe disposta a muovere in battaglia con una Lega Santa, se venisse ricostituita, i capitani da Mar spingono per questo, ma ciò avverrà temo solo dopo che il Concilio di Trento[4] voluto lo scorso anno da Papa Paolo III dipanerà questa matassa. Finora siamo in una situazione di stallo. Il 6 luglio, nella bolla Etsi cunctis, l’inizio del Concilio è stato prorogato a dopo la cessazione delle ostilità tra Carlo V, la Francia e il papato. Nel frattempo nell’Arsenale si lavora a un nuovo galeone, e sto studiando un nuovo allestimento del ponte e dei banchi di remaggio per le galee.

C.F.: Sicché non siete solo un letterato. Vi interessate anche di architettura navale?

Vettore Fausto: Naturalmente. Pur essendo occupato dall’insegnamento pubblico e dagli impegni derivanti dalla scuola privata che tengo nella mia casa, tengo a continuare i miei studi di matematica e ingegneria, che mi hanno condotto alla costruzione e al varo della “quinquereme” Faustina.

C.F.: Che impresa affascinante! Parlatemene!

Quinquereme faustina

Vettore Fausto: Da anni le flotte, alla continua ricerca di navi sempre più gagliarde, cercavano l’idea per rinnovare la potente nave da battaglia dell’antichità greco-romana, le cui tecniche costruttive erano cadute nell’oblio.

C.F.: Immagino che qui vi siano venute in aiuto la vostra abilità di grecista e latinista, e lo studio dei classici.

Vettore Fausto: È proprio così capitano. Unitamente allo studio della costruzione delle nostre galee e di quelle turchesche. Già nell’agosto del 1525 avevo pronto un modello della nave, che fu mostrato dapprima al Doge e poi al Collegio; le discussioni sulla fattibilità del progetto coinvolsero in seguito anche il Senato e il Consiglio dei dieci, così che soltanto più di un anno dopo, nell’ottobre del 1526, mi fu concesso di utilizzare un “volto serado” (segreto) in Arsenale.

C.F.: Rimango sbalordito da tanto successo, dottore. Come siete riuscito a ottenere i favori dell’intero Consiglio?

Vettore Fausto: Fu grazie alla presenza, nelle supreme magistrature della Repubblica, di influenti patrizi capaci di discernere il concreto vantaggio che poteva derivarne allo Stato. Ma il vero successo in questa impresa lo si è avuto grazie all’abilità delle maestranze dell’Arsenale, con cui tuttavia non è stato facile collaborare.

C.F.: Suppongo che i proti e le maestranze fossero restie alla costruzione di un prototipo sperimentale.

Vettore Fausto : Capitano, voi non potete immaginare il clima di ostilità che ho dovuto subire la dentro.
Pensate, il primo commento che fece un mastro d’ascia fu:
“Ecco, el xè ‘rivà el dottor a dirne come che avemo da costruir le navi”
oppure in costruzione:
“Ma dottore! Noialtri g’avem sempre fatto cussì! Me zio, me pare, me nono…“
Così la nave fu varata in un clima di grande e diffuso scetticismo il 28 aprile 1529. Il 23 maggio successivo, alla presenza del doge Andrea Gritti, del Senato e di una folla malignante e curiosa, la quinquereme fu messa alla prova “in contesa pubblica” con una trireme comandata da Marco Corner del fu Piero da S. Margherita. La gara fu a lungo incerta: le due navi procedevano appaiate e, di quando in quando, la più leggera trireme riusciva a mettere avanti la prua; ma, arrivati in vista del traguardo, come raccontò il caro amico e collega Bembo nelle cronache: “il Fausto messosi per lo mezzo della galea inanimava i suoi galeotti a mostrar la loro virtù, […] in un punto passò la trireme non altramente, che se ella fosse stata uno scoglio, con tanta velocità, che parve a ciascuno cosa maravigliosa“. Sbarcammo vincitori, e fui salutato da amici e sostenitori come prova dell’utilità civile dell’uomo di lettere.

C.F.: Un successo per la cantieristica e per l’umanistica, soprattutto.  Avete continuato a progettare dopo?

Vettore fausto: Il successo e la stima che ottenni con quell’impresa furono grandi, addirittura l’Ariosto mi citò nell’Orlando Furioso[5], ottenni poi la proposta da Lazare de Baïf, nel febbraio del 1530, di recarmi ai servigi del re di Francia, dopo che si erano rivelati infruttuosi i tentativi con Michelangelo.
Ma la routine dell’insegnamento mi entusiasmava sempre meno. Progettai altre navi: nel 1530 per il duca di Ferrara, due brigantini. Nel 1531 un altro brigantino per il duca di Urbino. L’attività teorico-pratica di architetto navale e proto nell’Arsenale, è andata così sostituendosi alla professione delle humanae litterae. Nel settembre del 1532 presentai in Collegio una scrittura, in cui offrivo di modificare cinque galee bastarde, abbandonate in Arsenale per la loro lentezza, in modo da farle diventare quadriremi; il 24 di quello stesso mese il Senato, spinto anche da una appassionata orazione di Bernardo Navagero, deliberò di concedermi una delle galee perché la potessi “conzar… a modo mio”, riservandosi di deliberare sulle altre dopo aver valutato la riuscita o meno di questo primo adattamento. L’esito della prova fu giudicato soddisfacente, e oggi le quadriremi vengono effettivamente costruite a Venezia, sia pure in numero limitato. Nel 1536 annunciai di aver trovato il modo di risparmiare legname nella costruzione delle galee, e il Senato dispose che si sperimentasse la nuova tecnica.

C.F.: Fu in occasione del progetto della quinquereme che inventaste il timone “alla faustina”?

Vettore Fausto: Siete bene informato, capitano. Il timone assiale centrale, come voi lo chiamate, fu da me sperimentato sulla quinquereme, che prese il nome di Faustina, e poi migliorato e riapplicato alle quadriremi.

C.F.: La Faustina è mai scesa in battaglia?

Veduta di Venezia di Jacopo de’ Barbari – 1500

Vettore Fausto: Vorrei che di ciò vi narrasse il Sopracomito[6] Cristoforo da Canal, se mi permettete di introdurlo. La famiglia Da Canal ha conosciuto nel 1514 un rovescio nella sua fortuna. Il commercio marittimo è una attività molto rischiosa e piena di imprevisti. Jacopo, il padre di Cristoforo, è stato obbligato a dichiararsi in fallimento e a causa di ciò, la famiglia ha mutato i suoi interessi verso incarichi di responsabilità nella marina della Serenissima. Cristoforo ha avuto un eccellente mentore nello zio Girolamo, che occupa delle funzioni di rilievo nella Repubblica. Cristoforo a soli 25 anni, ha ottenuto nel 1535 l’incarico di Sopracomito di una nave, una età considerata piuttosto giovane anche per i figli delle famiglie di illustri ammiragli. In possesso di un patrimonio professionale e di un mestiere che è il frutto di almeno sette anni di mare, la dimostrazione del suo valore è emersa nel 1538 nel golfo di Arta, sotto il fuoco dei cannoni turchi.

C.F.: Ne sarei lieto! Prego, fatelo entrare.

Da una porta sul fondo della stanza, entra un uomo riccamente abbigliato, secondo la moda veneziana dell’epoca. Come Giannettino Doria, il suo aspetto mostra un’età più grande dei suoi reali 33 anni. Appena un anno più giovane di me, quest’uomo è un veterano di marina di grande esperienza, a comando di una intera squadra navale.

Cristoforo da Canal: Capitano Fadda, permettetemi di presentarmi. Sono il Capitano Cristoforo da Canal. Al vostro servizio.

C.F.: Capitano da Canal, sono lieto di incontrarvi. La vostra fama vi precede!

Cristoforo da Canal: Anche la vostra, capitano. Nei porti si dice che abbiate incontrato nientemeno che il turco Thurgut Raìs.

C.F.: Così è, capitano. Suppongo che Carlo Sciarrelli vi abbia reso noto il motivo del mio viaggio.

Vettore Fausto: Il capitano Fadda è un collega letterato, interessato alla storia della nostra Repubblica, e alla vostra esperienza riguardo alla Faustina.

Cristoforo da Canal: La Faustina fu inviata in rinforzo alla flotta a Corfù, ma non diede risultati soddisfacenti. Era lenta a prendere abbrivio, e impacciata nella manovra.

C.F.: Capitano, a cosa attribuite questi fattori?

Cristoforo da Canal: Sicuramente alla sua stazza notevole e alla difficoltà di coordinare gli uomini ai remi. La Faustina veniva vogata – perdonatemi il gioco di parole ‒ “alla faustina”, in cui il quarto e il quinto remier, vogavano col viso rivolto a prora, a differenza delle galee vogate alla sensile, dove tutti e tre i remieri son rivolti a poppa.

C.F.: La vedete più adatta ad uno scontro in mare aperto, piuttosto che in acque chiuse?

Cristoforo da Canal: Se può aver spazio per la manovra, sicuramente è una nave potente in acque libere, ma rimane bersaglio facile in acque chiuse. Per questo abbiamo deciso di rinviarla a Venezia, dove è stata poi disarmata.

C.F.: Immagino che fosse poi dispendioso l’arruolamento di tanti uomini per una nave siffatta.

Cristoforo da Canal: Venezia comincia ad affrontare la crisi dei commerci a causa della perdita di territori, e delle continue e gravose spese militari, oltre che della carenza di rematori. Nel 1538 ricevetti l’ordine di ritirarmi mentre mi trovavo sotto il fuoco delle artiglierie turche, alla testa della flotta di Vincenzo Capello nel canale d’accesso al golfo di Arta, durante una incursione volta ad attaccare il castello di Prevesa. Quando tornai a Venezia, proposi ‒ in qualità di Sopracomito ‒ al Senato di reclutare i rematori della flotta tra i condannati invece che tra gli uomini liberi, sia volontari che arruolati, che fino ad allora avevano tradizionalmente fornito gli equipaggi. Tale proposta fu bocciata per ben tre volte dal Senato[7].

C.F.: Capitano, non è arrischiato ai fini della disciplina di avere solo forzati sulle navi?

Cristoforo da Canal: Il problema della disciplina con degli uomini liberi a bordo non è un affare da poco, capitano. Hanno denaro, vendono le loro razioni di pane e soprattutto bevono a profusione durante le soste negli scali. In più a bordo occorre fare attenzione a non frammischiare le etnie, per evitare una infinita serie di scontri e di diatribe. Inoltre il loro comportamento in battaglia non è sempre scontato ed a Venezia è sempre più frequente vedere una galera lasciare il Lido con equipaggi ridotti per poi completarli durante il viaggio. Il tentativo di dare una nuova spinta con rematori tratti dalla terraferma, resistenti alle fatiche ma assolutamente digiuni di vita di mare, non ha avuto fortuna, ad eccezione della gente proveniente dal lago di Garda. Molte di queste persone, spossate dai primi giorni di navigazione in Adriatico, alla prima sosta tecnica in uno scalo della costa dalmata, ne approfittano per fuggire, senza far più rientro. Dopo ulteriori tentativi, effettuati attingendo ai vari empori sparsi nel Mediterraneo, il problema come vi dicevo, è divenuto pressante e quasi disperato di fronte al crescere della minaccia turca. Tutto questo mi ha portato a prendere in considerazione la possibilità di utilizzare gli schiavi, acquistati o frutto di operazioni di guerra, ma solo da un anno abbiamo in effetti deciso di attingere a piene mani dal serbatoio degli uomini legalmente condannati dai Tribunali della Repubblica, nella considerazione che è meglio utilizzare dei carcerati per il bene comune, piuttosto che farli marcire inutilmente in fondo ad una prigione. Questa nuova situazione impone il provvedimento di non frammischiare le ciurme di uomini liberi e di condannati. Da un punto di vista organizzativo le galee “forzate” sono decisamente migliori da un punto di vista disciplinare ‒ trattandosi di rematori incatenati ai banchi ‒ ma occorre necessariamente un maggior numero di soldati per il loro controllo; provvedimento che peraltro va incontro alla reiterate richieste dei Comandanti, che da tempo e sistematicamente si lamentano di non avere abbastanza uomini armati sulle loro navi.

C.F.: Comandante, voi parlate con una chiarezza ed una competenza che non posso fare a meno di ammirare. Avete mai pensato di scrivere?

Interviene in sua vece Vettore Fausto.

Della Milizia Marittima

Vettore Fausto: Il suo trattato Della Milizia Marittima, compendio della sua eccezionale esperienza, è consacrato ai miglioramenti da apportare alle galee di Venezia. Nel suo lavoro il capitano Da Canal evoca la sua “galea ideale” e propone tutta una serie di provvedimenti riguardanti la ciurma ed il suo reclutamento, la vita a bordo, l’organizzazione degli arsenali dislocati nei possedimenti della Serenissima, indispensabili per la flotta. Cristoforo è sostenitore delle galee “forzate”, ma, in virtù di una indiscutibile esperienza sugli altri tipi di reclutamento remiero, ne fornisce però un esame sereno e giudizioso. In fin dei conti il trattato del provveditore dell’Armata non è altro che il riassunto di una vita passata sul mare alla testa di flotte importanti e di comandi, esercitati nella più grande lealtà e fedeltà al proprio dovere. È grazie alla sua influenza che questo incontro… non è mai avvenuto, e io… non sono mai stato qui. La notte è scesa, e il capitano Da Canal si imbarcherà con voi per scortarvi segretamente fuori dalla Laguna. L’ingresso del vostro vascello non è stato registrato, e Nane, il pilota, è uno dei nostri uomini più fidati. Potrete riprendere immediatamente il vostro viaggio. In cambio vi chiedo solo un piccolo favore…

Mi trascina in disparte dal giovane capitano.

Vettore Fausto: Sareste così gentile da far recapitare questo plico a mio fratello?[8]

Mi consegna un involto di tela cerata sigillato con ceralacca, cordini e sigilli di piombo, ed un foglietto col nome e la località.

 

Written by Claudio Fadda

 

Bibliografia

Rubin De Cervin G.B.Bateaux et Batelerie de Venise, Edita Lausanne, Paris 1978
Canal E.Archeologia della Laguna di Venezia, Cierre edizioni 2015
Moresco R.Dragut Rais Corsaro Barbaresco, Debatte editore 2014
Gosse P.Storia della Pirateria, Ed. Odoya 2008
Cipolla C.M.Vele e Cannoni, Ed. Il Mulino 2007
Gigante S. – Venezia e i pirati del Mare Adriatico, Dario de Bastiani Editore 2010
Crovato G., Crovato M. – Isole abbandonate della laguna veneziana, San Marco press 2008
Filipponio H. – La Croce di Malta, Edizioni Librarie Italiane, Milano 1967
P. Bembo, Opere, IV, Venezia 1729
Giustiniani P.Storia Veneta, Lib. XIII, Venezia, 1576.
Contarini G.P. Historia delle cose successe dal principio della guerra mossa da Selim Ottomano a’ Venetiani sino al di della gran giornata vittoriosa contra turchi, Alla Minerva, Venezia MDCXLV – Ebook
Grisellini F. Giornale d’Italia: Spettante alla scienza naturale, e principalmente all’ agricoltura, alle arti, ed al commercio, Volume 3, In Venetia appresso Benedetto Milocco in Merceria, 1767 – Ebook

Note

[1] L’attuale basilica di San Marco verrà completata solo nel 1617

[2] Il forte costituì, più che un’opera difensiva vera e propria, una forma di dissuasione da mostrare a visitatori e ambasciatori, soprattutto ottomani. Di fatto, superato il periodo in cui si temeva un attacco dal mare, la fortezza ospitò guarnigioni del tutto rappresentative. Aprì il fuoco una sola volta contro una nave nemica, il 20 aprile 1797, alla vigilia della caduta della Repubblica, quando una potente salva falciò il bastimento francese Le Libérateur d’Italie che tentava di forzare il porto del Lido, provocando la morte del comandante e la resa della nave.

[3] Del 2 ott. 1540, ratificata dal Senato il 20 novembre.

[4] Il primo ad appellarsi a un concilio che dirimesse il suo contrasto con il Papa fu Martin Lutero, già nel 1520: la sua richiesta incontrò subito il sostegno di numerosi tedeschi, soprattutto di Carlo V, che in esso vedeva un formidabile strumento non solo per la riforma della Chiesa, ma anche per accrescere il potere imperiale. Tra i primi fautori bisogna ricordare anche il vescovo di Trento Bernardo Clesio e il cardinale agostiniano Egidio da Viterbo.

A tale idea si oppose invece fermamente papa Clemente VII che, oltre a perseguire una politica filo-francese e ostile a Carlo V, e appoggiata militarmente da Solimano il Magnifico, Barbarossa, Dragut, e gli altri raìs, da un lato vi vedeva i rischi di una ripresa delle dottrine conciliariste, dall’altro temeva di poter essere deposto (in quanto figlio illegittimo). L’idea di un Concilio riprese quota sotto il pontificato del successore di Clemente VII, papa Paolo III.

Il fallimento dei colloqui di Ratisbona (1541) segnò un ulteriore passo per la rottura con i protestanti e la convocazione di un concilio fu giudicata improrogabile, per cui con la bolla Initio nostri del 22 maggio 1542, Paolo III indisse il concilio per il 1º ottobre dello stesso anno (Kalendas octobris) a Trento, sede poi confermata nella bolla Etsi cunctis del 6 luglio 1543, con cui si prorogava l’inizio del Concilio a dopo la cessazione delle ostilità ancora in atto. Trento era stata scelta poiché, pur essendo una città italiana, era entro i confini dell’Impero ed era retta da un principe-vescovo.

[5]Fa Vittor Fausto, fa il Tancredi festa
Di rivedermi, e la fanno altri cento
.”
Orlando furioso, XLVI 19, 1

[6] Comandante di galee militari. Ha alle dipendenze un Comito, pilota della nave.

[7] Risultando nel 1542 ancora fermo al grado di Sopracomito, intervenne il Collegio dei Savi nella figura del Savio alle Scritture, perché gli fosse assegnato un comando più alto, riconoscendolo più anziano di altri aspiranti. Il 7 giugno 1545, fu nominato governatore “delle sforzate”, una squadra sperimentale di galere che per alcuni mesi fu costituita dalla sola galera del comandante, in quanto la seconda non andò in mare che nella primavera del 1546. Quando la riforma da lui voluta divenne pienamente operativa nel corso dello stesso anno, alla squadra si aggiunsero altre due navi, e una quinta all’inizio del 1547. I risultati furono talmente buoni che il numero delle galere dei condannati andò gradualmente aumentando finché alla fine del secolo la flotta veneziana era costituita interamente da unità di questo tipo, salvo le “capitane”.

[8] Nell’ottobre del 1539, Vettore Fausto corse un grosso rischio: il 20 di quel mese fu fatto arrestare dai capi dei Dieci con l’accusa di spionaggio, e il 2 novembre correva voce (raccolta da Pietro Aretino e riferita a Gregorio Amaseo) che fosse stato affogato nottetempo perché “tentava de disviar ai primarii dela maistranza del arsenal per condurli al Turcho, dov’el scrivea a un suo fradel, che stantiava in Constantinopoli“. Almeno stavolta, però, la vox populi aveva esagerato. Il 6 dicembre il Fausto era già stato rilasciato, in quanto riconosciuto innocente; l’accusa di intese con la Porta era caduta, ed egli poteva tornare in Arsenale. La probabile ragione della momentanea disgrazia del Fausto venne narrata a Gregorio Amaseo dal bolognese Scipione Bianchini: “era mal capitato per sua insolentia per haver usato stranie parole, come menazando’l stado, che non ge mancharia partidi cum di primi signori del mondo, et che l’havea uno fratello a Constantinopoli, quale teneva avisato dele cose del stato“. A dimostrazione che l’inchiesta dei Dieci aveva fugato ogni sospetto sul suo conto, al Fausto fu concesso un aumento di salario annuo di 200 ducati a partire dal 31 luglio 1540.

Il suo lavoro in Arsenale proseguiva con ritmo intenso: nel 1544 gli furono concessi numerosi “squeri” per le sue costruzioni. Un nuovo momento di frizione con le magistrature della Repubblica si verificò nel 1546. Una lettera cifrata dell’oratore fiorentino a Venezia, scritta nel luglio di quell’anno, informava Cosimo I che il Fausto desiderava lasciare Venezia e passare al servizio del duca; ma non accadde nulla di tutto ciò. Probabilmente subito dopo il Fausto diede inizio alla sua ultima nave, un galeone, di cui non riuscì a completare la costruzione; la nave rimase in Arsenale fino agli anni Sessanta, quando si decise di terminarla.

 

Info

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