iSole aMare: Emma Fenu intervista Pier Bruno Cosso, l’isola come madre che genera e accoglie

La rubrica “iSole aMare” si propone di intervistare isolani che della propria condizione reale e metaforica abbiano fatto cultura, arte e storia ponendosi in comunicazione con il mondo: nessun uomo è un’isola o forse lo siamo tutti, usando ponti levatoi?

Pier Bruno Cosso

Sono l’Isola. Ma sono magica e infinita: non mi puoi cingere tutta.

Non mi puoi spostare, non mi puoi unire alla terraferma, non puoi possedermi. Puoi solo essere accolto, sederti alla mensa del mio corpo di sabbia e granito, mangiare dalla mia bocca le bacche del piacere e della nostalgia, fino a inebriarti, fino ad essere anche tu me. Ed allora ti fermerai per sempre, mi guarderai nelle pupille di basalto immerse nel cielo degli occhi e diverrai pietra.

Sarò la tua Medusa, con filamenti trasparenti danzerò per te negli abissi, ti brucerò di passione e non sarai più libero, nemmeno quando te ne sarai andato lontano, remando fino allo sfinimento, e il mare fra noi sarà un siero diluito con sangue di memoria e con lacrime di speranza.

Tu mi hai toccato, ora ti tendo le mani io.

Tu mi hai baciato, ora cerco il tuo sapore su di me.

Tu mi hai guardato: ora scruto l’orizzonte come una Didone abbandonata.

Tu mi hai annusato: ora raccolgo dalle fauci del maestrale il tuo polline per i miei favi.

Tu mi hai seguito: ora calo un ponte levatoio solo per te.

Tu mi hai atteso, ora ti attendo io.”  – Emma Fenu ‒ “L’isola della passione”

Isole Amare.

Terre Femmine dispensatrici di miele e fiele, con un cuore di granito e basalto e capelli bianchi di sabbia che si spandono nel mare come le serpi di Medusa che, secondo la leggenda, un tempo della Sardegna fu sovrana.

Isole da Amare.

Terre Madri e Spose che squarciano il cuore di nostalgia, tirando il ventre dei propri figli con un cordone ombelicale intrecciato di mito, memoria e identità.

iSole aMare.

Sole che scalda e dà vita oppure che brucia e secca, negando l’acqua.

Mare che culla e nutre oppure che disperde e inghiotte, imponendo l’acqua.

La rubrica “iSole aMare” si propone di intervistare isolani che della propria condizione reale e metaforica abbiano fatto cultura, arte e storia ponendosi in comunicazione con il mondo: nessun uomo è un’isola o forse lo siamo tutti, usando ponti levatoi? A questa domanda implicita i nostri ospiti, attraverso parole, note e colori, saranno invitati a rispondere.

La rubrica è stata inaugurata dal musicista sardo Paolo Fresu, hanno seguito la scrittrice sarda Claudia Zedda e le fondatrici di Libriamoci.

Oggi è il turno di Pier Bruno Cosso, sassarese, informatore medico scientifico e scrittore. Ha pubblicato Il giorno della tartaruga (2013) , Dannato Cuore (2015) e Fotogrammi slegati (2018). I suoi racconti Il cinghiale, Era solo uno schiaffo e Un treno per sono stati premiati e segnalati in diversi concorsi letterari.

 

Isola

Pier Bruno Cosso

Sostantivo; oppure terza persona singolare presente di un verbo. Isola, perché lei si isola. Per scelta, per vocazione. Per prendere le distanze dal magma chiassoso che travolge e inghiottisce quella vita caotica che non sa che può essere isola. Isola, è una delle parole che mi ripeto più spesso da quando sono nato. Isola, isola come meraviglia. Isola, c’è dentro la parola “sola”, come solitudine, al femminile, per essere più complessa e completa. Più mamma che accoglie, piuttosto che assenza. Perché la solitudine non è un vuoto. La solitudine è gioia, dolore, conquista interiore. Ecco, isola! Quel qualcosa in più. Voglio essere isola; sono nato isola.

 

Identità

Se io, esattamente come sono, anziché nascere nella nostra Sardegna, fossi nato a Scampia o a Parigi oppure a Catania o a Stoccolma, sarei la stessa persona? La nostra identità è già nella nostra pancia, quando nasciamo, o ce la regala la terra che ci dà la vita? Io sento dentro di me l’identità che mi ha donato la mia isola. Io ho lo sguardo lungo, lento e agitato come il mare. Ho dentro la sabbia morbida che ruba spazio alle rocce; e il fuoco, il sole e la rabbia dell’incendio doloso. Le piaghe che non faranno mai cicatrici, e il vento. E il vento, che sa un giorno di mirto e un giorno di mare, ma sempre impetuoso. Il vento, che piega gli alberi secolari, è il sapore della nostra identità. Il vento di maestrale sulla spiaggia, che punge la faccia con mille granelli appuntiti. O la pioggia col sole, nei riflessi bagnati di un mattino. Identità ancestrale. Anche la nostra strana lingua pastosa, con il verbo in fondo, è identità ristretta. Perché in questo costrutto arcaico della frase prima si pensa e poi si agisce. Non può cambiare, è la nostra identità.

 

Tradizione

Tradizione penso che sia la coniugazione del concetto di isola e di identità. Non seguiamo la tradizione perché è un’area di confort collaudata e tramandata, ma perché è dentro la nostra identità di essere isola. Sono i nostri valori che segnano la tradizione. I sapori, i profumi della nostra terra seguono la tradizione dei nostri valori, e non viceversa. È la profonda dignità, che non ti puoi mai giocare, perché preferiresti morire. Quella dignità antica che è il gusto stesso delle nostre ricette più classiche. O dei tessuti preziosi, o delle nostre campagne brulle. Orgoglio che viene dall’alba più lontana. Tradizione da assaporare, da vivere: tradizione viva.

 

Innovazione

La tradizione più bella che vedo in Sardegna è nella innovazione. La nostra è un’innovazione forte, che deriva una lunga storia. Il vecchio e il nuovo che in Sardegna si abbracciano. La contraddizione siamo noi. Le nostre aziende di vino, di formaggio o di cultura, che esportano in tutto il mondo, sono innovazione nella tradizione più pura. È nel nostro carattere; nella nostra forza. Come il profilo morbido e armonioso delle nostre durissime rocce levigate dal vento in mille forme strane. Il futuro dei nostri giovani è sapersi inventare sempre qualcosa, quell’estro che sta tra voglia di fare e ispirazione, e che facilmente chiamiamo resilienza.

 

Written by Emma Fenu

 

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Rubrica iSole aMare

 

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