“Venerdì Santo”, poesia di Fausto Maria Martini
“Venerdì Santo” di Fausto Maria Martini

Nulla, credi, è più dolce per i nostri
occhi di questo giorno senza sole,
con i monti velati di viole
perché la primavera non si mostri
Venerdì Santo! E ieri sera tu
ti rimendavi quest’abito, tutto
grigio, un abito come a mezzo lutto
per la morte del povero Gesù…
Traevi dalla tua cassa di noce
qualche grigio merletto secolare:
così vestita, accoglierà l’altare
la buona amante con le mani in croce…
Prega per me, prega per te, pel nostro amore,
per nostra cristiana tenerezza,
per la casa malata di tristezza,
e per il grigio Venerdì che muore:
Venerdì Santo, entrato in agonia,
non ha la sua campana che lo pianga…
come un mendico, cui nulla rimanga,
rassegnato si muore sulla via…
Prega, e ricorda nella tua preghiera
tutte le cose che ci lasceranno:
anche il ramo d’olivo che l’altr’anno
ci donò, per la Pasqua, Primavera.
Quante volte l’olivo benedetto
vide noi moribondi nel piacere,
e vide le nostre due anime, in nere
vesti, per noi pregare a capo al letto!
E pregavamo, come se morisse
qualcuno: un poco, sempre, morivamo:
Ma sempre sull’aurora nuova, il ramo
d’olivo i lieti amanti benedisse!
Ora col nuovo tu lo cambierai:
anche devi pregare per gli specchi
velati, per i libri, per i vecchi
abiti che tu più non vestirai…
È sera: un riso labile si perde
sulle tue labbra, mentre t’inginocchi:
io guardo, dietro la veletta, gli occhi…
due perle nere in una rete verde.

Fausto Maria Martini (Roma, 14 aprile 1886 – Roma, 12 aprile 1931) è stato un poeta, drammaturgo e critico letterario italiano, della scuola crepuscolare romana dei primi decenni del Novecento. Si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, ma i suoi interessi erano indirizzati agli studi letterari, alla vita sociale brillante, al giornalismo, al teatro, e soprattutto alla poesia.
Crebbe artisticamente nel gruppo dei giovani poeti romani, il cui esponente di spicco era Sergio Corazzini. Incuriosito e affascinato, ne seguì la poetica crepuscolare nelle sue prime raccolte di versi: Le piccole morte (1906) e Panem nostrum (1907). Dopo la morte prematura di Corazzini per etisia nel 1907, assieme agli amici Gino Calza-Bini e Alberto Tarchiani decise d’intraprendere un avventuroso viaggio negli Stati Uniti, imbarcandosi su un vapore spagnolo.
«La poesia è sentirsi morire», affermava Martini in Si sbarca a New York (1930), un anno prima di morire, teorizzando così l’identificazione della poesia tanto con la vita, quanto con la morte. Per essere esatti, così egli immaginava di sentirsi rispondere dall’amico Corazzini alla sua domanda appassionata: «Sergio, che cos’è la poesia? È questo sconfinato amore del mondo e della vita? È questo tremore di esser vivi onde siamo malati a vent’anni?»
(Fonte biografia: Wikipedia)