Riflessioni sullo stupro: quando i complici sono troppi (e forse ci sei anche tu)
Non scorderò mai quel viso: ha gli occhi chiari e un naso enorme; è paffuto, senza dei veri lineamenti. È il volto di una ragazza che conosco, o che conoscevo. Ricordo che ogni singola parola che diceva trasudava scherno e disprezzo nei miei confronti.

Non c’era un reale motivo per il quale non potessimo andare d’accordo: era solamente una sua cosa, un suo limite, o comunque lo si voglia chiamare; non sapeva essere gentile con me. Immagino che in altri contesti lo si chiamerebbe bullismo, perché la profonda mancanza di empatia tra adolescenti è quello: una forma di bullismo. Io, dal mio punto di vista, lo definisco come il primo passo verso lo stupro.
Sia chiaro: non pretendo di convincere nessuno e non attribuisco alcuna universalità a quello che sto per scrivere; si tratta di una mia opinione e di un mio sentimento, davanti al quale ho chiuso gli occhi fin troppo spesso ma che oggi vorrei condividere con voi. È facile prendersela con uno stupratore e attribuire a lui tutta la colpa: la verità è che, in alcuni casi, lui è solo la punta dell’iceberg, quasi una conseguenza inevitabile di qualcosa che era già stato preparato dal destino.
Il punto è questo: una parte di colpa è mia, o almeno l’ho pensata così fino a un anno fa. La motivazione è semplice: sono stata io a permettere a chi mi ha fatto del male di avvicinarsi a me, a volte persino arrivando a pensare che senza di lui la mia vita non avrebbe più avuto motivo di esistere.
È stata colpa mia, sotto alcuni aspetti, ma il nocciolo della questione è questo: non è mai colpa della vittima, non è stata colpa mia. E questa è stata la prima lezione da imparare, una lezione faticosa che si interiorizza solo a poco a poco.
La seconda è stata anche più complicata: il colpevole è uno, ma le motivazioni sono tante. Con motivazioni intendo le risposte a tutti quei perché che continui a chiederti per anni, ritrovandoti sempre in un vicolo cieco. Ecco, oggi vorrei parlarvi delle motivazioni.
Partiamo con ordine e facciamo tutti un respiro profondo.
La maggior parte di violenze, come ormai saprete, non sono perpetrate da sconosciuti che ci seguono di notte in vicoli poco illuminati (anche perché ormai chi rischia più di infilarsi in una stradina secondaria da sola?), ma da persone che conosciamo e di cui ci fidiamo.
La maggior parte di violenze, come troppe di noi ben sanno, giocano con la mente e l’autostima di chi è insicuro, sensibile o ha qualche ferita pregressa causata dalla propria situazione familiare.
La maggior parte di violenze, insomma, danneggia prima la mente e poi il corpo. E danneggia la prima in modo molto serio.

Il problema è che le vittime diventano tali perché sono predisposte a diventarlo e, anche se non andrò a citare studi o ricerche che lo provano, ci sono delle basi che supportano questa teoria. Per evitare qualunque fraintendimento: se permetti a qualcuno di controllare la tua mente e farti sentire senza valore, la colpa non è tua.
Però non è neppure completamente sua, perché ci sono mille fattori che ti hanno portata a non avere stima di te. Dove sta la colpa, allora? È qui che entrano in gioco le famose motivazioni di cui vi parlavo.
Questo tipo specifico di stupro, detta nel modo più sintetico e sincero possibile, è un gran casino. Voler capire cosa pensava lo stupratore è un po’ come aprire il vaso di Pandora, perché è inutile cercare di rispondere alla domanda: «Perché lo ha fatto?». Ha molto più senso cercare di rispondere alla domanda: «Perché ci è riuscito?». Motivazioni. Sono la chiave di tutto.
Se permettiamo a qualcuno che ci fa male ripetutamente di restarci comunque accanto, c’è chiaramente qualcosa che non va nel nostro modo di vedere le relazioni affettive: c’è una carenza di autostima, probabilmente una situazione familiare da cui riceviamo poco supporto, delle cerchie di amicizie molto deboli.
Ogni vittima è diversa, quindi c’è chi si butta a capofitto in una relazione nociva perché non ha una figura paterna adeguata, chi lo fa perché è tremendamente sola e chi perché ha un’autostima fatta a brandelli. Concentriamoci su quest’ultimo punto.
Quali sono le motivazioni che portano una donna a accettare una relazione dalla quale riceve solo umiliazioni e dolore? Probabilmente perché pensa di non poter aspirare a nient’altro. Pensa di non valere abbastanza e che se fosse una persona migliore il suo compagno la tratterebbe meglio.
Tutto questo senso di inadeguatezza e inferiorità, mescolato alla certezza di essere dalla parte del torto, deriva da ferite che magari non ci hanno spezzato il cuore, ma che di sicuro hanno lasciato segni profondi nella nostra psiche.
Parliamo quindi di chi ci sta intorno. Di compagni di classe, di genitori, di conoscenti, degli sconosciuti che incontriamo al supermercato. Parliamo di tutte quelle persone che attraverso atti di ostilità, di bullismo e di violenza psicologica ci rendono potenziali vittime perché minano la nostra autostima e il nostro amor proprio, mettendo in discussione il nostro valore o negandolo. Parliamo soprattutto di bullismo che agisce sulla mente, di parole che fanno male e di disprezzo gratuito. Parliamo di chi contribuisce a stuprarci senza neppure esserne consapevole.
Il senso di questo post non è lanciare un’accusa né trovare un colpevole alternativo, bensì dire «Basta». Non bisogna dirlo allo stupro e agli uomini in generale, ma a tutti quei fenomeni che mettono le donne nelle condizioni di non saper reagire a uno stupro.

Diciamo «Basta» alle famiglie che non ascoltano i propri figli, a tutti coloro che non riescono a instaurare un dialogo con chi gli sta intorno, a chi perpetra atti di bullismo nelle scuole, a ogni singolo individuo che mina, in qualunque misura, la dignità altrui.
Diciamo «Basta» a chi fa sì che una donna finisca con l’accettare una relazione malsana e pericolosa. Diciamo «Basta», ma diciamolo sul serio, perché a un attento e onesto esame di coscienza sono sicura che tutti ci ritroveremo colpevoli di aver vittimizzato qualcuno. E chissà che questo non abbia influenzato la vita di quel qualcuno più di quanto noi immaginiamo.
Quel volto paffuto con gli occhi chiari ha di certo influenzato la mia, di vita, e non credo che quella ragazza sappia quanto ha contribuito a far sì che finissi tra le mani di un compagno sbagliato che ha cambiato completamente la mia vita.
Quindi diventiamo più consapevoli delle nostre azioni e delle potenziali conseguenze di queste.
Diciamo «No» in modo coerente e intelligente allo stupro. Perché la prevenzione parte dal modo in cui noi trattiamo gli altri ogni singolo giorno in ogni singolo momento e dalla dignità che siamo disposti a riconoscere loro.
Written by Giulia Mastrantoni
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