Neon Ghènesis Sandàlion: l’intervista all’archeologa Viviana Pinna
“In Sardegna la civiltà nuragica è oggetto di processi di rielaborazione, mitizzazione sino a giungere alla vera e propria falsificazione da parte di appassionati, giornalisti, politici che hanno una conoscenza molto approssimativa degli studi e delle teorie archeologiche. Assistiamo ogni giorno alla nascita, o meglio, alla creazione, di miti e leggende legati alla storia della Sardegna.” ‒ Viviana Pinna
Tredicesima intervista della rubrica made in Oubliette “Neon Ghènesis Sandàlion”, una breve inchiesta su alcuni argomenti che animano gli appassionati di archeologia. Si è scelto di dar voce agli archeologi che, da svariati anni, continuano a ricevere ingiustificabili accuse sul loro eccelso e gravoso operato quale il riportare alla luce un passato non scritto ma da scrivere ed, in taluni casi, da riscrivere.
La nota “fantarcheologia” (“fantamania” od “archeomania”) ha prodotto il disagio di intralciare la divulgazione archeologica “teorizzando” con il sensazionalismo, figlio di quest’epoca di neoliberalismo, veri e propri libri di fantasia senza alcun riscontro con le fonti, con la realtà e con l’investigazione della metodologia scientifica. E se è pur vero che, talune volte, un testo di fantascienza è stato precursore di conoscenze future, in questo caso ci troviamo di fronte a “tesi” che si librano nei territori dell’immaginazione con ambizione di storica realtà; tali e quali a quell’Icaro che, con ali di cera, tentò di avvicinarsi al Sole ed in un primo momento sentì la gloria della sua impresa.
“Neon Ghènesis Sandàlion“, da tradursi con “La Sardegna della nuova nascita”, è quell’attimo che viene dopo la caduta di Icaro, è quel padre, il grande architetto Dedalo, che soccorre il figlio dal mare in cui è sprofondato, cura le ferite e perdona ogni suo azzardo.
Perché il peccato è un nostro dovere di figli, ma ancor più il riconoscerlo per un miglioramento personale e sociale. Citando Jean Jacques Rousseau: “Si deve arrossire per il peccato commesso e non per la sua riparazione.”
Lo scorso sabato abbiamo potuto leggere le riflessioni dell’archeologo Giuseppe Maisola, ha preceduto l’archeologo Nicola Sanna, l’archeologo Matteo Tatti, l’archeologa Anna Depalmas, l’archeologo Mauro Perra, l’archeologo Nicola Dessì, l’archeologo Roberto Sirigu, l’archeologo Alessandro Usai, l’archeologo Carlo Tronchetti, l’archeologa subacquea Anna Ardu, l’archeologo Alfonso Stiglitz, e l’archeologo Rubens D’Oriano.
Viviana Pinna consegue Laurea di I livello in Beni storico-artistici e archeologici, Laurea Magistrale in Archeologia e Scienze dell’Antichità, Diploma di Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici, con curriculum Archeologia Preistorica e Protostorica presso l’Università degli Studi di Sassari; con tesi su analisi territoriale e studio di materiali.
Ha preso parte a diversi scavi archeologici in Sardegna: Villaggio Nuragico di Iloi, Sedilo (OR); Nuraghe e Villaggio La Prisgiona, Arzachena (OT); Mont’e Prama, Cabras (OR); Villaggio nuragico Lu Brandali, Santa Teresa Gallura (OT); in Toscana nel sito medievale di San Genesio, San Miniato (PI); in Irlanda in diversi siti dell’età del Ferro a Kells (Co Meath); in Spagna nel sito talayotico di Cap de Forma-Minorca, Isole Baleari; prospezione archeologica di superficie nei territori tra Sant’Antioco e Carbonia (CA).
Per sei anni si è occupata della programmazione e coordinamento scientifico e didattico della manifestazione Monumenti Aperti a Telti. Da più di dieci anni svolge la professione di guida turistica nei principali siti archeologici galluresi: Olbia: Pozzo sacro Sa Testa, Nuraghe Riu Mulinu, tomba di Giganti Su Monte ’e s’abe, Museo Archeologico e Mostra Nuragica; Tempio Pausania: Nuraghe Majori; Arzachena: Necropoli Neolitica Li Muri, Tombe di Giganti Li Lolghi, Moru e Coddu ‘Ecchju, Nuraghe e Villaggio La Prisgiona, Nuraghe Albucciu, Tempietto di Malchittu. Da quattro anni si occupa di formazione per guide turistiche, per conto di associazioni private, e in corsi indetti dalla Regione Sardegna. Fa parte di associazioni e di una cooperativa che si occupano di promozione e sviluppo del territorio curandone gli aspetti archeologici, culturali e storici. Si è occupata di catalogazione e studio di reperti prenuragici e nuragici.
A.M.: Quanto la leggenda e l’astrazione hanno mosso gli esseri umani nel definire e creare la storia?
Viviana Pinna: Vi ringrazio di avermi coinvolto in questo progetto che annovera tanti (anche se non tutti) nomi illustri dell’archeologia sarda, mi lusinga la scelta della mia persona che niente ha a che vedere col calibro dei suddetti studiosi, ma sono ben lieta, ogni volta che c’è la possibilità, di prender parte al confronto. Sono consapevole anche del fatto che chiunque parli di archeologia in Sardegna si esponga ad una gogna mediatica non indifferente. Io sono abituata ad esprimere la mia opinione, nel rispetto di quelle altrui, che elaboro sulla base del percorso di studi, esperienze, analisi di dati e confronti. La storia, intesa come studio del passato utilizzando fonti e documenti di qualsiasi materiale, tangibile o intangibile, è stata spesso condizionata da leggende, ma soprattutto da interpretazioni imposte, filtrate e mediate dal momento politico, sociale e culturale in cui si vive, o si è vissuto, e dal messaggio che, spesso, fa comodo far passare per avvalorare ideologie e modi di agire. Oggi siamo consapevoli di alcuni grandi limiti e dobbiamo aprire occhi e mente per non farci influenzare e cercare di trasmettere, lucidamente e limpidamente, i dati di fatto e i fatti concreti, analizzando tutti gli elementi che concorrono a definirli. In realtà potremo, anche, esaminare i fatti che hanno condotto a formulare leggende e miti, in modo da poter, forse, interpretare il perché ha condotto a questi e comprendere meglio il bisogno, la necessità, che ha spinto a tale definizione.
A.M.: I nuraghi. Questi nostri sconosciuti. Quali altre culture presenti nel mondo mostrano le stesse caratteristiche delle nostre antiche costruzioni? Quale potrebbe essere la risposta più accreditata per questi ritrovamenti? Che queste culture siano dipendenti da una cosiddetta madre, che la prima rispetto alla seconda sia stata presa come superiore, oppure una risposta che sia piuttosto di convergenza così che culture diverse e distanti fra loro abbiamo avuto lo stesso bisogno ed abbiamo aderito alla stessa soluzione?
Viviana Pinna: Perché si continua a definirli sconosciuti? Sono sconosciuti a chi non vuole conoscerli! Al giorno d’oggi vi sono svariati metodi per conoscere: andare a vistarli, ad esempio, magari non definendoli “quattro pietre” e non facendosi “spaventare” dal costo, spesso esiguo, di un biglietto che serve a garantirne un agile accesso, un presidio, una valorizzazione, in cambio del quale, sovente, si ha una visita guidata che fa rivivere il monumento. Riscontriamo un grande limite alla conoscenza dato dai programmi scolastici che poco, o nulla, prendono in considerazione questa civiltà, per fortuna spesso ovviato da progetti, come Monumenti Aperti, o dall’offerta didattica che molti insegnati incrementano facendo fare ai ragazzi laboratori, esperienze e percorsi mirati, ma, ahimè, è sempre e solo frutto della volontà e della consapevolezza di, ancora, pochi di questi, ma qualcosa si muove! Altre costruzioni in pietra che possano rassomigliare ai nuraghi ne sono state “avvistate”, ma è una mera somiglianza! Analizzandone la complessità costruttiva, architettonica e la cronologia, le differenze sono svariate! L’utilizzo delle pietre per edificare sarà comune a svariate popolazioni, molte di queste entreranno anche in contatto, molte altre no, ma arriveranno, comunque, a soluzioni simili, ma non uguali, dettate dalle esigenze, di quelle genti, davanti alle necessità che gli si son presentate in un dato momento.
A.M.: Addentrandoci nell’etimologia, e leggendo molte opinioni, si è concordi che la radice di nuraghe sia “nur” ma non si è concordi con il significato di questa radice. Due sono le ipotesi madre: una che provenga dai fenici e che vede “nur” con il significato di “luce/fuoco” (e precedentemente dai sumeri “ur/uruk), un’altra invece di sostrato mediterraneo vede la definizione “cumulo di pietre/cavità”. Per quale scuola di pensiero patteggi o hai una strada alternativa da mostrarci?
Viviana Pinna: Non ho mai studiato linguistica, ahimè, ma per effetto visivo, propenderei per il cumulo di pietre/ cavità.
A.M.: Considerando che il problema maggiore che porta alle diverse vie di interpretazione è la mancanza di dati certi ed il cannibalismo di edifici, come possiamo prospettare la ricostruzione della storia se non con il ritrovamento di nuovi dati? Dunque, quanto è importante ricevere finanziamenti per continuare la ricerca?
Viviana Pinna: Il detto che “senza soldi non si canta messa” mi sembra valido sempre e in tutti i settori! La ricerca per andare avanti ha bisogno di finanziamenti, sappiamo bene che i rubinetti per la cultura sono a secco da parecchio tempo, anche se non è una cosa logica e concepibile! Si potrebbe lavorare per individuare introiti alternativi, sensibilizzare alla sponsorizzazione anche da parte di privati, ad esempio. Attorno ai beni culturali si dovrebbero creare attività e circuiti in grado di alimentare questo settore, facendo in modo di portarlo il più possibile vicino all’autosufficienza. Se la ricerca non va avanti è normale che non si progredisca con la definizione dei dati. Quante cassette di materiali giacciono nei magazzini in attesa di essere studiati e interpretati? Non si può sempre e solo aspettare che siano i laureandi a farsi carico di ciò in sede di tesi di laurea! L’analisi, lo studio, il confronto, sono questi i passi che ci fanno andare avanti. Contemporaneamente all’avanzare dello studio della mole di reperti, si potrebbero auspicare anche nuovi scavi archeologici, coadiuvati da nuove tecnologie e dall’ormai noto approccio multidisciplinare in grado di garantire sempre più l’affidabilità dei dati.
A.M.: Nella stele di Nora ritroviamo in “fenicio” il nome della nostra isola. È il più antico ritrovamento in cui si parla di Sardegna oppure ci sono altre iscrizioni più antiche? E soprattutto sappiamo se i paleosardi (o sardi nuragici o come preferisci) si identificavano con questa denominazione?
Viviana Pinna: La stele di Nora sembrerebbe, al momento, il reperto più antico in cui vi sia il nome della nostra isola indicato con le consonanti SRDN, leggendole da destra a sinistra nella, già, nota terza riga. Le interpretazioni su quello che vi è scritto sono diverse, mentre sembrerebbe esservi concordanza sulla sua datazione al IX-VIII sec. a.C. e che l’alfabeto utilizzato sia “fenicio”. Resta da capire se fosse realmente il nome con il quale venisse indicata, nel suo insieme, l’isola e se questa denominazione fosse nota a tutti coloro i quali entravano in contatto con essa, abitanti dell’isola compresi.
A.M.: La scrittura nuragica. Che il popolo sardo vivesse il presente e non sentisse la necessità di scrivere la sua storia come invece han fatto altri popoli?
Viviana Pinna: Spesso l’assenza della scrittura è stata considerata una discriminante negativa per il popolo che non l’aveva. Questo perché ragioniamo con la mentalità “moderna” del nostro tempo, in cui la comunicazione è una variabile imprescindibile nella nostra quotidianità. La scrittura prevede un codice scritto che tutti quelli ai quali è rivolto, siano in grado di comprendere. Allo stato attuale delle conoscenze sulla popolazione nuragica, non è stato trovato niente del genere, ciò non la rende meno interessante o più arretrata. Molto probabilmente non hanno seriamente sentito questa necessità, come invece l’hanno avuta civiltà coeve, e non perché i nuragici non fossero abbastanza intelligenti o progrediti da arrivarci. Hanno “comunicato” lasciandoci migliaia di monumenti e reperti, di diversi materiali, che raccontano la loro evoluzione.
A.M.: Chi sono gli Shardana?
Viviana Pinna: Gli Shardana o Sherden vengono menzionati in molti documenti egizi a partire dal XIV fino al XI sec. a.C.. Attraverso il mito di questa popolazione si vuole reclamare il possibile protagonismo del popolo sardo tra II e I millennio a.C., ecco quindi l’identificazione tra i Sardi Nuragici e i mitici guerrieri Sherden, facenti parte alla terribile confederazione dei Popoli del Mare che, secondo le interpretazioni di alcuni, misero a ferro e fuoco il Mediterraneo orientale nella fase finale del II millennio a.C. Nel quadro mediterraneo della tarda età del Bronzo, la Sardegna ricopre un ruolo dinamico e attivo, di grande centralità e di rilevante importanza strategica, nel contesto del circuito della trasmissione e della commercializzazione delle risorse metallifere dell’Occidente. Gli Sherden sono connessi all’antichissima nomenclatura della Sardegna; dietro gli antichi e suggestivi nomi dell’Isola, oggi individuiamo la memoria di una storia stratificata di esplorazioni, di commerci e di relazioni che ha unito fortemente le diverse sponde ed acque del Mediterraneo: un mare popolato da uomini che si incontrano e confrontano le proprie esperienze, valutando e ampliando i propri personali (e culturali) confini del mondo. La semplice assonanza del nome non può costituire di per sé una prova. La grande diffusione, nella sfera del Mediterraneo, da Oriente a Occidente della radice “*SERD/SARD”, rilevabile in numerosi toponimi dell’intera area, è da ritenersi poco attendibile. Anche la rassomiglianza tra i bronzetti e i guerrieri riportati nei rilievi del tempio di Medinet Habu non è così rilevante, le navicelle raffigurate sono ben diverse da quelle che si ritrovano nel repertorio della bronzistica nuragica; vi è poi l’elmo cornuto degli Sherden che sulla sua sommità presenta una specie di apicagnolo del tutto ignoto nella produzione sarda. In realtà, nelle raffigurazioni egiziane di epoca ramesside, gli Sherden sono rappresentati in due distinti aspetti: prigionieri con elmo cornuto e disco centrale, barbuti e con orecchini; e guerrieri con elmo cornuto, spesso con disco centrale, testa rasata, senza barba, con spada triangolare o lancia e scudo rotondo. I nuragici vengono rappresentati, sia nelle statue che nei bronzetti, generalmente sbarbati, con capelli lunghi in genere raccolti in elaborate trecce, con elmo cornuto che mai presenta disco centrale e armati di scudo rotondo, lungo arco, spada triangolare o bastone, ma mai con lancia. Tale assimilazione si è fondata solamente sulla esplicitazione delle somiglianze, ritenute esclusive e sull’indifferenza verso le enormi e abbondanti discrepanze.
A.M.: Il problema della divulgazione e la fantarcheologia. Come fermare questo fenomeno e come entrare nelle case dei sardi per sfatare queste “pseudo teorie”?
Viviana Pinna: In Sardegna la civiltà nuragica è oggetto di processi di rielaborazione, mitizzazione sino a giungere alla vera e propria falsificazione da parte di appassionati, giornalisti, politici che hanno una conoscenza molto approssimativa degli studi e delle teorie archeologiche. Assistiamo ogni giorno alla nascita, o meglio, alla creazione, di miti e leggende legati alla storia della Sardegna. E sin quando si tratta di leggende, sappiamo che lo sono e tutto va bene, ma ultimamente ci troviamo davanti ad un proliferare di cultori, più o meno dilettantistici, di storia e archeologia. Spesso tutto ciò è dettato da incertezze interpretative che nel tempo ci sono state in campo archeologico e storico, o ad una limitata comunicazione delle notizie, che però, da un po’ di tempo, si sta cercando di colmare, sia incrementando i momenti di divulgazione, sia impiegando un linguaggio più semplice, meno tecnico e più accessibile a tutti. A volte i “colpi di genio” possono provenire anche da personaggi estranei al mondo scientifico, si devono, però, tenere in considerazione tutti i dati, mi ripeto, e non solo quelli che fanno comodo; e poi serve sempre una grande dose di umiltà, educazione e rispetto, da parte di tutti, nel proporre le cose e non imporle senza avere la bontà di fornire giustificazioni e metodo utilizzato. Il confronto deve essere sempre utile e costruttivo, non distruttivo. Gli attacchi a cui assistiamo sono spesso deplorevoli e di certo non fanno progredire gli studi e le conoscenze.
A.M.: Quali sono le logiche di mercato che portano a ridicolizzare la Sardegna come Atlantide, e perché non si guarda soprattutto a ciò che abbiamo e cioè l’unica isola che presenta un numero così elevato di costruzioni chiamati nuraghi?
Viviana Pinna: La società attuale ha bisogno del passato al fine della propria auto definizione. Solo che la storia viene spesso manipolata, falsificata, adattata all’occorrenza per imporre un’ideologia. L’identità, il senso di appartenenza avviene mediante processi di natura culturale, spesso si tratta di costruzioni simboliche fondate sulla scelta e l’enfatizzazione di alcuni elementi. In questo modo si costruisce un passato in grado di legittimare e supportare la rappresentazione identitaria del presente, si agisce in modo mirato e selettivo rimuovendo elementi sconvenienti a questa ricostruzione. Si fa imponendo una trama e non quindi la registrazione oggettiva dei fatti accaduti, non è la fotografia del passato, o meglio sarebbe una fotografia, come si fa oggi, modificata con Photoshop, intervenendo su quello che non ci piace e smussando a piacere gli angoli che sono più spigolosi al fine delle nostre necessità. Spesso la si fonda su fatti gloriosi, se realmente accaduti o no non ha importanza, su monumenti e miti in grado di stabilire forti sentimenti di radicamento territoriale e appartenenza, su personaggi leggendari e gesta eroiche. Tutto questo è fortemente influenzato da logiche politiche e sociali del presente che devono essere imposte. La “paternità” di Atlantide è contesa da decine e decine di posti al mondo, perché accontentarsi di competere, con evidenze infondate, a confermare cose che non sono, sacrificando una storia vera, unica e molto più affascinante?
A.M.: Salutaci con una citazione…
Viviana Pinna: “The real voyage of discovery consists not in seeking news landscapes but in having news eyes” ‒ Marcel Proust
A.M.: Viviana ti ringrazio per la disponibilità, ho apprezzato le tue argomentazioni che sottolineano il coraggio di andare contro politici e giornalisti per sincera passione della conoscenza. Ti saluto con Carl Gustav Jung: “Pensare è molto difficile. Per questo la maggior parte della gente giudica. La riflessione richiede tempo, perciò chi riflette già per questo non ha modo di esprimere continuamente giudizi.”
Written by Alessia Mocci
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