Life After Death: l’incontro con José Saramago e la linea sottile tra sogno e realtà
È il 17 giugno 2010. È tardi, ma l’aria è calda e afosa. Non riesco a dormire, è da più di due ore che guardo i papaveri rossi sulla mia scrivania. Li ho raccolti stamani. Penso a Morfeo che, secondo il mito, poggiandoli sugli occhi dei dormienti, donava loro sogni popolati da forme umane. In attesa che faccia giorno, ormai senza speranze, cado in un sonno profondissimo.
Apro gli occhi e sono in Portogallo, nella città di Amadora, di fronte ad una orchestra composta da bambini che stanno accordando i loro strumenti, con un’aria estremamente tesa e concentrata, propria di chi non ha molte occasioni per esibirsi.
Ma perché sono qui? Cosa mi vorranno comunicare questi ragazzini? E la Moleskine che ho in mano a cosa mi servirà mai?
Interviene a rispondermi, come se avesse ascoltato i miei pensieri e le mie domande, un uomo attempato, dallo sguardo dolce ma curioso, nascosto da spesse lenti che incorniciano un volto dall’aria pensierosa e impaziente. Riconosco subito, in questo bonario signore, la figura di José Saramago!
“Li vede, signorina, questi ragazzi? Provengono dai quartieri più degradati della città. Sono stati riuniti e hanno imparato a suonare strumenti che, prima d’ora, non avevano mai neanche visto da vicino!”
Scossa dall’incredulità e muta dalla contentezza, avanzo una risposta al celebre scrittore: “Oh, signor Saramago! Mi vorrebbe dire che anche lei è qui, ad Amadora, per assistere ad un concerto del tutto inusuale?”
“Per l’amor di Dio, non mi dia del lei, sono già abbastanza vecchio! (sorride). Ebbene sì! Scorgo una serietà su questi visi, anche quando le labbra si schiudono in un sorriso, una luce in questi sguardi, una ponderatezza nei movimenti, che confermano una mia vecchia idea, quella che la felicità è una faccenda molto seria. Credo che converrà con me se dico che è un buon inizio di vita.”
All’improvviso mi è tutto più chiaro, ogni cosa è al suo posto, perfino la Moleskine sulle mie ginocchia. E mentre cerco la prossima domanda da porre al narratore portoghese, la mia biro blu inizia veloce a correre sulle pagine bianche.
“Le tue parole sono magiche ed incredibilmente vere! Un’iniziativa che può avvicinare molto al significato di ‘convivenza civile’. Mi viene in mente la decisione presa in Spagna, dalla provincia di Granada, di festeggiare annualmente l’entrata nella maggiore età, non solo amministrativa, ma anche civica, dei giovani che compiranno diciotto anni. A ciascuno di loro saranno consegnati la Dichiarazione dei Diritti Umani, la Costituzione Spagnola e lo Statuto di Autonomia dell’Andalusia. Cosa ne pensi? Sarà utile a realizzare una maggiore responsabilizzazione del senso civico?”.
“Di certo equipaggiare i giovani con questi tre documenti fondamentali non potrà non contribuire a una formazione più solida, più consapevole, dei nuovi cittadini. L’idea è buona e spero sia condivisa anche da altri Paesi europei.”
“Tutto questo mi fa pensare inevitabilmente al futuro, una parola troppo spesso abusata ma che spaventa oggi più che mai. Il sole sta tramontando nella nostra Europa e non riusciamo neanche a realizzare progetti semplici, che ci salvino dalla notte buia”.
“Quanto alle visioni sul futuro, credo sarebbe preferibile che cominciassimo col preoccuparci del giorno di domani, quando si suppone che saremo ancora quasi tutti vivi. Il mondo si avvia lentamente alla fine, mentre il sole lentamente tramonta, perché non dedicarci a pensare un po’ al giorno di domani? Perché non ci decidiamo a realizzare delle idee semplici e dei progetti che siano alla portata di qualsiasi comprensione? Promuovere un significato nuovo dei doveri umani, correlandolo ad un pieno esercizio dei diritti; vivere come sopravvissuti, perché i beni, le ricchezze e i prodotti del pianeta non sono inesauribili; risolvere la contraddizione tra l’affermazione che siamo sempre più vicini gli uni agli altri e l’evidenza che ci troviamo sempre più isolati.”
Ascolto e rifletto su quanto abbia ragione; non posso fare a meno di essere affascinata dal modo in cui mi parla, dalla naturalezza con cui i suoi pensieri si tramutano in parole e da quanto le sue idee siano vere e lungimiranti. “Dinanzi a questi progetti quale grande incombenza ha oggi l’insegnamento!
L’Università prepara l’allievo per la vita, gli trasmette saperi adeguati all’esercizio di una professione, scelta troppo spesso come frutto degli imperativi dei progressi scientifici e tecnologici, più che per vocazione. Tuttavia, l’Università avrà sempre la pretesa di aver assolto a quel compito di educazione e formazione richiesto per il futuro professionale dello studente. Ma allora dov’è il problema? Perché le cose non funzionano così? Dov’è la responsabilità civica dei giovani cittadini, europei e non?”.
“Il problema sta nel fatto che ci si limita a parlare di una formazione necessaria allo svolgimento di una professione, tralasciando un’altra formazione, quella dell’individuo, della persona, del cittadino, questa trinità terrestre, tre in un corpo solo” – risponde José Saramago, con l’aria di chi, nonostante il peso degli anni, ha ancora il fuoco della speranza che gli divampa dentro – “Qualsiasi azione formativa presuppone, naturalmente, un oggetto e un obiettivo. L’oggetto è la persona che si intende formare, l’obiettivo sta nella natura e nelle finalità della formazione. Formare persone non è, di per sé, un avvallo tranquillizzante. Dove intendo arrivare con questo lungo ragionamento? All’università e alla famiglia. L’università perché essa dovrà essere il luogo per eccellenza di formazione del cittadino, della persona educata nei valori della libertà, della solidarietà e alla discussione responsabile delle idee. La famiglia, salvo eccezioni, tende ad assopire la coscienza, mentre l’università, in quanto luogo di pluralismi e incontri, riunisce tutte le condizioni per promuovere un apprendistato pratico ed effettivo dei più ampi valori democratici.”
Veniamo strappati dalla nostra conversazione dalle note della Nona di Beethoven: l’orchestra è quasi pronta allo spettacolo! “José, i ragazzi qui dinanzi a noi ci riportano alla realtà. Questa piacevole chiacchierata è stato un viaggio stupendo. Conserverò con cura le nostre parole e i tuoi insegnamenti. Il viaggio non finisce mai, no? Lo si prolunga nella memoria, nel ricordo, nella narrativa…”.
“Proprio così! Quando il viaggiatore si siede sulla sabbia della spiaggia e dice: ‘Non c’è altro da vedere’, sa che non è vero. La fine del viaggio è solo l’inizio di un altro. È necessario vedere quel che non si è visto, rivedere quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si era visto d’estate, vedere di giorno quel che si è visto di sera, col sole laddove la prima volta scendeva la pioggia, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. È necessario tornare sui passi già fatti, per ripeterli e per tracciarvi accanto nuovi cammini. È necessario ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore torna subito. E ora ssh, stanno per iniziare!”
Con le lacrime agli occhi pieni di commozione, metto il punto alla sua ultima frase sulla mia Moleskine e mi preparo ad immergermi nella musica. Ma, improvvisamente, la mia penna scompare, le mie gambe si rarefanno, la testa si fa leggera e pian piano sento di stare scomparendo. Intorno a me nessuno si accorge di nulla: la luna brilla, l’orchestra suona, José Saramago sorride e applaude entusiasta.
Apro gli occhi: non è passata che un’ora, ma è già ora di colazione. Cosa mi è successo? Possibile che sia stato solo un sogno? Corro in cucina e ancora stordita metto su un caffè. Distrattamente accendo la TV. 18 giugno 2010. I titoli del tg, come se fosse un incubo, recitano: “Morto José Saramago, Premio Nobel per la Letteratura nel 1998, tra i più grandi romanzieri contemporanei”.
Incredula, corro nella mia stanza. I papaveri sono lì e nascondono qualcosa: una Moleskine. La sfoglio, sconcertata: sono lì, le sue parole, scritte con la mia biro blu. È stato solo un sogno? O forse no?
Mi è tutto improvvisamente chiaro: i papaveri sui miei occhi, l’ultimo grande regalo di uno scrittore inestimabile, il dovere di divulgare i suoi ultimi, preziosi, pensieri. E sciogliendomi in un pianto accorato, mi consolo riscrivendo il mio sogno.
Written by Maria Cristina Mennuti
Info
Nella Life After Death sono presenti alcune citazioni tratte da “L’ultimo quaderno” di José Saramago (Acquista il libro su Amazon cliccando QUI)