Arundhati Roy e le severe critiche mosse nei confronti di Mahatma Gandhi

È il 1997 quando Arundhati Roy, scrittrice indiana, pubblica il suo primo romanzo Il dio delle piccole cose, che le permette di ottenere il prestigioso premio letterario Booker Prize.

Arundhati Roy – 2013

Nata nel 1961 nel Kerala, regione dell’estremo sud dell’India, la Roy è stata un’importante attivista politica e rappresentante dei movimenti no global.

Impegnata nell’ambito dei diritti umani, in quello dell’ambiente e in difesa delle donne, ha fatto sue problematiche che riguardano l’India, nello specifico, ma determinanti per l’evoluzione dell’intero pianeta.

Laureata in architettura con una tesi sullo Sviluppo postcoloniale urbano a Delhi, non si è però dedicata a costruire o arredare abitazioni per gente ricca e, stabilita la sua residenza a South Delhi, porta avanti le sue battaglie per contribuire a fare del mondo un posto migliore.

La Roy ha sempre condotto una vita fuori dagli schemi, esponendosi con critiche dure nei confronti del mondo del cinema, di cui ha fatto parte in veste di sceneggiatrice e scenografa, oltre che di attrice.

Principalmente è stata al centro di un’accesa polemica, dopo aver rivolto in un suo editoriale, gravi accuse a un regista, che avrebbe approfittato di mostrare in tutta la sua cruda realtà una scena di stupro, senza chiederne il consenso alla vittima dell’episodio. Secondo la Roy il cineasta avrebbe sfruttato la scena a fini cinematografici.

Impegnata su diversi fronti di ordine sociale, tutti in difesa dei ceti più deboli, la scrittrice è sempre stata in prima linea manifestando la sua ostilità al nucleare, in riferimento alla politica indiana che procede in questa direzione, la quale comporta anche l’uso di esperimenti e di armi nucleari.

Ha inoltre criticato pubblicamente, tramite articoli su importanti testate giornalistiche, George Bush e Tony Blair per l’invasione dell’Afghanistan, definendo Bush “criminale di guerra”, anche per l’intervento in Iraq.

Senza alcun dubbio donna coraggiosa e notevole la Roy, che in tempi recenti, con una serie di dichiarazioni ha suscitato un forte scalpore. Ha infatti mosso critiche severe a Gandhi e al fatto che sia ancora un leader tanto idolatrato.

Oggi, nel 2017, data in cui ricorre l’anniversario dell’indipendenza dell’India, la Roy mette in guardia coloro che del Mahatma ne hanno fatto un mito, affermando che in India non sono molti che lo ricordano, anzi sono pochissimi. Nelle sue affermazioni, la scrittrice accusa inoltre il padre della nazione indiana di aver accettato il sistema delle caste, sistema alquanto discriminatorio.

“Su Gandhi sono state raccontate un sacco di bugie.” Ha detto la Roy senza troppi peli sulla lingua.

Annihilation of Caste

Ha proseguito poi, affermando che la dottrina della non violenza, di cui Gandhi è stato il precursore, era basata sull’accettazione delle caste, una delle forme più brutali di gerarchia sociale che ancora oggi domina la vita sociale indiana. Per accreditare la sua tesi, la Roy ha pubblicato un saggio introduttivo a una nuova edizione di un discorso del leader anti-casta B.R. Ambedkar in cui vengono evidenziate numerose contraddizioni sulla personalità di Gandhi.

Ovviamente, le parole della scrittrice, rilasciate durante una conferenza a Kerala, hanno suscitato grande clamore mediatico, sia da parte dei seguaci di Gandhi sia da parte degli storici. Tanto che la Roy è stata tacciata di ignoranza e le è stato consigliato di leggere la biografia del Mahatma in cui si racconta che lui stesso puliva i bagni, cosa che invece, secondo la Roy, non avrebbe fatto. Probabilmente perché appartenente a una casta sociale elevata.

A questo proposito è opportuno precisare che l’accettazione delle misere condizioni di alcune caste è coerente con il pensiero della non violenza, del pacifismo e della resistenza passiva, metodi di lotta avvalorati da Gandhi.

Per di più, estrapolare da una singola frase, come ha fatto la Roy, espressa da un personaggio e privandola del contesto e del pensiero filosofico di colui che l’ha pronunciata, se ne ottiene un significato dal contenuto opposto a quello intenzionalmente spiegato dalla persona.

Certo, che mettere in discussione la figura di Gandhi e l’altissimo prezzo da lui pagato per garantire diritti alle minoranze, e a coloro che diritti non ne avevano, è a dir poco ingeneroso, secondo il mio parere.

Quindi, alcune puntualizzazioni, necessarie, per chiarire una difesa a oltranza di una figura che si è battuta con determinazione per cause fondamentali per il popolo indiano.

Ciò, soltanto per evidenziare quanto le affermazioni della Roy espresse in merito, siano discutibili.

Mi chiedo quindi.

Perché le asserzioni della scrittrice non sono confermate da fatti dimostrabili?

Come può comprovare la Roy la veridicità delle sue parole se non produce una documentazione atta a offrire supporto alle sue affermazioni? Esistono fonti storiche a conferma di ciò che sostiene?

Quale valenza possono avere le sue parole se non c’è un riscontro oggettivo alle sue critiche?

Tutte domande che mi nascono spontanee, le quali, a mio parere, meritano delle risposte.

Risposte che vengono suggerite dall’esempio che Gandhi ha dato al mondo intero.

Soltanto un piccolo contributo affinché il suo nome non venga infangato, forse per ottenere maggior visibilità.

Innanzitutto la verità storica. Elemento questo al quale va data priorità assoluta.

Di solito viene stabilita trascorso un periodo di tempo piuttosto lungo dagli accadimenti in questione. E di tempo dalla morte di Gandhi ne è trascorso parecchio, circa 70 anni.

Non mi consta che durante questo ampio intervallo ci sia stata alcun tipo di critica o valutazione negativa a confermare il giudizio della Roy. Semmai, le opinioni sul Mahatma sono state unanimi e concordi nell’affermare l’importanza della sua opera e soprattutto del metodo di lotta della non violenza da lui messo in atto. Comportamento che ricorda quello dei martiri cristiani, i quali andavano incontro alla morte cantando e offrendo il perdono ai loro aguzzini.

Arundhati Roy

Quindi, per quanto mi consta, quello della Roy è il primo grave giudizio negativo rivolto all’indirizzo del Mahatma.

Ma, tornando a parlare della non violenza quale metodo di lotta politica, si può affermare che la sua peculiarità più evidente è il rifiuto di ogni gesto di aggressività contro i detentori del potere cui ci si oppone. Indirizzando la propria azione in forma di disobbedienza civile o di boicottaggio, con atti animati da un retro pensiero che non incita alla ribellione, semmai a una reazione passiva di non collaborazione con l’avversario.

Gandhi fu il primo negli anni ’20 a teorizzare e applicare il principio della non violenza, che ha stretti collegamenti con la dottrina di origine buddista. Principio che si è rivelato di fondamentale importanza per il movimento indipendentista indiano.

Esempio importante di questo tipo di lotta è quello del reverendo Martin Luther King, che con le sue marce per la pace ha ottenuto una serie di diritti a favore delle minoranze nere d’America.

Quindi, digressioni a parte, per sostenere una certa tesi a proposito di fatti storici importanti, nella fattispecie quelli di cui Gandhi è stato protagonista, occorre una documentazione attendibile.

Ovvero, prove che abbiano origine da fonti verificabili; quali per esempio uno scambio di missive a dimostrazione della veridicità di ciò che viene affermato, in questo caso le asserzioni della scrittrice indiana.

Documentazione che può assolvere al suo compito tramite un carteggio; o meglio dei filmati, là dove ci sia stata l’occasione di possederne. O ancora, servizi giornalistici dell’epoca, sempre per comprovare l’attendibilità dei fatti avvenuti nel periodo cui ci si riferisce.

In fondo, a suffragio di certe affermazioni abbiamo soltanto un’opinione. In questo caso quella della Roy, non supportata da alcun dossier di contenuto attendibile.

Si potrebbe pensare che ci sia un interesse recondito dietro alle sue dichiarazioni?

Sarebbe un’illazione del tutto ingenerosa che non mi piace esprimere.

Inoltre, commetterei un grave errore di ordine etico, sia nel caso sostenessi la sua tesi sia fossi in antitesi con le sue parole. Mi limito quindi ad osservare ciò che Gandhi ha fatto in vita, tutto ampiamente documentato.

Nel caso della Shoah, per citare un esempio che porta alla memoria un evidente episodio di negazionismo, paragone piuttosto opportuno del discorso in questione, si tenta di negare gli accadimenti avvenuti durante la seconda guerra mondiale. Secondo i negazionisti il genocidio degli ebrei non sarebbe mai avvenuto, e se qualche malevolenza c’è stata, non è di così grave peso storico come è stato riportato al momento dell’apertura dei campi di concentramento.

È un vero peccato che i negazionisti continuano a sconfessare tale verità, in totale contraddizione con l’ampia documentazione degli stessi nazisti, i quali, in tempi storici non sospetti, attraverso una minuziosa catalogazione hanno lasciato tracce tangibili del loro operato. Si tratta non solo di effetti personali di proprietà dei deportati, ma anche di residui fisici riconducibili alle vittime, quali capelli, denti… e altro; roba di dubbio gusto, ovviamente. Il tutto raccolto e custodito ordinatamente in magazzini.

Senza dimenticare il carteggio relativo alla progettazione delle camere a gas, per mettere in atto un più efficace sterminio.

Quindi, i terribili episodi, soprusi inenarrabili di cui gli ebrei sono risultati vittime innocenti, sono ben documentati da filmati e relazioni scritte. E resi pubblici attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, i quali hanno stampigliato ancora sul braccio il loro numero di riferimento.

Perché in fondo, coloro che sono stati rinchiusi nei campi di sterminio, erano per i nazisti solo numeri e non persone.

Ma, andando oltre le divagazioni, mi sento di aggiungere che è di estrema difficoltà giudicare fatti appartenenti a un passato distante dal nostro presente. Mi piace ricordare infatti, che l’attuale contesto storico ci fa guardare con occhio differente ciò che è accaduto oltre cento anni fa.

Nel nostro mondo molte cose sono cambiate rispetto ai primi decenni del Novecento.

Fatto questo che permette di osservare con obiettività fatti lontani nel tempo, che assumono diversa valenza diversa se guardati a considerevole distanza.

Perché, come la Storia insegna, dopo un consistente numero di anni vengono a cadere certi interessi, sia politici sia economici, intervenuti all’epoca dietro ai fatti analizzati.

Mahatma Gandhi – Arundhati Roy

Quindi, a mio parere, è doveroso ribadire che certe verità, ormai non più scomode, si possono rivelare senza destare alcun scalpore. In alcuni casi perché sono venuti a mancare i diretti interessati e i loro eredi, in altri perché tali eventi non provocano più la risonanza che potevano avere nel momento stesso in cui sono accaduti. Ne consegue quindi, che solo dopo molto tempo si possono sviscerare avvenimenti distanti nel tempo, senza provocare troppo rumore.

È opportuno precisare inoltre, sebbene sia cosa ovvia, che il periodo in cui Gandhi è vissuto fu espressione della sua epoca, e perciò differente dall’attuale contesto sociale dell’India.

Ammetto di non essere una profonda conoscitrice dell’universo indiano, non è quindi facile, e il mio intento non è neppure questo, dare giudizi su di un paese ancora oggi pieno di contraddizioni. Perché potrebbero essere giudizi approssimativi.

Ma ciò che mi sento di asserire è che non si può imputare a Gandhi l’odierno malessere sociale indiano, quale conseguenza del suo operato. In fondo era solo un uomo tra gli uomini. Certo, più di altri illuminato, ma da lui non si poteva esigere oltre ciò che ha fatto.

Sostengo dunque, in assoluta buonafede e forse con un pizzico di ingenuità, che la Roy non dovrebbe gettare fango su un personaggio che tanto ha fatto per migliorare l’umanità.

Su di un uomo che ha vissuto in povertà, pur appartenendo a una casta sociale non certo di livello infimo. Un uomo che ha rinunciato ad arricchirsi, vivendo in uno stato pressoché di indigenza, alla stregua di coloro che ha sempre difeso.

Un’ultima considerazione per concludere, un invito, ovviamente virtuale, alla Roy, affinché le sue affermazioni siano provate da un’adeguata documentazione.

Perché portare testimonianze a sostegno di una qualsivoglia tesi, sempre che le parole non siano in odore di bugia, è un principio etico universale.

Altrimenti, si potrebbe ritenere legittimo esprimere opinioni, balzane o nate per mettere in cattiva luce un qualsiasi personaggio. Che sia più o meno celebre, in fondo ha ben poca importanza.

 

Written by Carolina Colombi

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *