Intervista di Irene Gianeselli all’attore Tindaro Granata: lo spettacolo “Geppetto e Geppetto”
Tindaro Granata nasce a Tindari (ME).
Con il diploma di Geometra appena ventenne si imbarca sulla nave Spica in qualità di Meccanico Artigliere.

Trascorre un anno in mare, traversando il canale di Sicilia, mentre si occupa della gestione e manutenzione delle armi di difesa della nave militare.
Si trasferisce quindi a Roma per fare l’attore; nella capitale lavora come commesso in diversi negozi di calzature; poi come cameriere in trattorie e ristoranti. Il suo percorso teatrale inizia nel 2002 con Massimo Ranieri, in occasione della messa in scena dello spettacolo “Pulcinella”. Tindaro Granata si presenta al provino con Ranieri teatralizzando la canzone “U pisci spada” di Domenico Modugno.
Con Carmelo Rifici inizia un felice sodalizio che lo porta a lavorare in diversi spettacoli a partire da “Il nemico” e “La testa del profeta” per il festival di San Miniato; in “Il gatto con gli stivali” e “Giulio Cesare” al Piccolo Teatro di Milano; in “Fedra” di Euripide per il festival del Dramma Antico; per lo Stabile di Bolzano nel cast de “La rosa bianca” e “Sanguinre Inciostro”; nella Proxima Res, associazione di cui fa parte, viene diretto in “Buio” e in “Chi resta”.
Debutta in qualità di drammaturgo/regista/attore con “Antropolaroid”, spettacolo sulla storia della sua famiglia; dopo questo felice esordio mette in scena “Invidiatemi come io ho invidiato voi”.
Nel 2014 è diretto da Serena Sinigaglia nella messa in scena de “Il libro del buio”, spettacolo tratto dal romanzo di Tahar Ben Jelluon.
Tindaro Granata racconta ai lettori di Oubliette Magazine il suo percorso teatrale artigianale e la sua riflessione sui rapporti umani.
I.G.: Come hai cominciato il tuo percorso artistico?
Tindaro Granata: Sono cresciuto con i film di De Sica, Rossellini, Germi, Fellini, Monicelli che mi hanno dato il via per partire verso una strada buia e tortuosa… ma alla fine sopravvivo sempre grazie a una luce speciale. Arrivai a Roma a venti anni e cominciai a fare il commesso in un negozio di scarpe e poi il cameriere per pagare l’affitto della stanza ed i corsi serali di recitazione. Insieme ad alcuni ragazzi mi ritrovai a fare un provino con Massimo Ranieri, venni scelto e iniziai così, senza essere salito, prima di allora, su un palcoscenico. Debuttai, dunque, con “Pulcinella” di Manlio Santanelli con Massimo Ranieri, nel 2002. Da allora ad oggi ho fatto molte cose, alternando il mio lavoro di attore a quello di cameriere e commesso, fino a quando ho incontrato Carmelo Rifici che mi ha portato a Milano all’interno di un gruppo che poi è diventato l’ associazione culturale di cui oggi sono il Direttore Artistico: Proxima Res. Rifici è il regista col quale sono cresciuto in questi anni, fino ad arrivare a diventare autore e regista di me stesso e dei miei lavori. Oggi ho la fortuna di poter lavorare con le persone che mi piacciono e scrivere e mettere in scena ciò che per me ha valore e necessità di essere messo in scena. Sono molto fortunato. Ho lottato tanto per avere questa fortuna e vorrei che non mi abbandonasse mai.
I.G.: Nel 2002 hai debuttato con Massimo Ranieri. Ci parli di questa esperienza?

Tindaro Granata: Venni scelto tra una quarantina di attori professionisti. Sapevo che volevano un pezzo a scelta e portai il “Pesce Spada” di Domenico Modugno, non lo cantai, ma recitai il testo. Il regista, Maurizio Scaparro, mi voleva mandare via e non farmi il provino, ma Ranieri si incuriosì del mio nome, Tindaro, e mi chiese di recitare quello che avevo portato. Mi fece scendere dal palco e mi chiese quanti anni avevo, io risposi che ne avevo ventidue e lui mi disse: “Guagliù, mi piacerebbe molto lavorare con te” All’uscita dal teatro piansi piansi piansi di gioia! Massimo Ranieri per me è stato un “maestro”, perché mi ha insegnato il mestiere, come un artigiano, un capo bottega insegna il lavoro al proprio garzone.
I.G.: Cosa hai appreso durante il lungo lavoro con Carmelo Rifici?
Tindaro Granata: Che la bellezza di questo lavoro sta nella forza del pensiero, della parola, del grande valore dei simboli.
Ho capito che l’artificio e la verità possono coabitare nel lavoro dell’attore, questo è stato illuminante per me perché spesso a teatro vedo attori che percorrono solo una strada delle due, allora nulla è sorprendente, né per loro stessi né per gli spettatori. Da Rifici ho appreso, inoltre, che il teatro è un rito e deve avere la funzione di portare lo spettatore a specchiarsi e dunque “pensarsi” (con “pensarsi” intendo pensare di se stessi, non a se stessi). Infine, tra le tante altre cose, ho imparato da lui che i testi sono come dei rebus e ogni frase nasconde una bugia che può essere allo stesso tempo la verità che quel tale personaggio porta in scena.
I.G.: Puoi raccontarci dei progetti “Antropolaroid” e “Invidiatemi come io ho invidiato voi”?
Tindaro Granata: Sono i miei figli belli amati e adorati. Sono degli spettacoli, come tanti. Sono la mia vita. Sono gli spettacoli con i quali ho avuto modo e coraggio di parlare al pubblico di me e del mio mondo teatrale. “Antropolaroid” è un monologo sulla storia (romanzata) della mia famiglia, dal 1925 al 1999. Gioco rido piango e mi diverto a mettere in scena i miei bisnonni e i miei nonni e gli zii e le zie e i miei genitori fino ad arrivare a me che lascio la Sicilia per andare a Roma a fare l’attore. “Invidiatemi come io ho invidiato voi” è una storia vera di un caso di pedofilia che ho visto in televisione (Un sabato in pretura) e del quale ho elaborato la storia per poterlo rappresentare. Non è un processo ai personaggi che fanno parte della storia, ma è (o meglio, vorrebbe essere) un’analisi chiara e precisa di una micro società intorno ad un caso di pedofilia e cercare di far capire al pubblico che tutti i personaggi potrebbero essere colpevoli e innocenti nello stesso tempo (tranne il pedofilo che è colpevole!) come potrebbe esserlo ognuno di noi.
I.G.: Nel 2014 sei stato diretto da Serena Sinigaglia. Ci parli di questa esperienza?

Tindaro Granata: Forte. Importante. Bella. Arricchente. Faticosa. Serena è stata la prima regista che mi ha affidato un ruolo da protagonista con “Il libro del buio” di Tahar Ben Jalloun. La sua chiamata mi ha dato molta gioia perché avevo avuto la sensazione bella e confortante di avere una grande responsabilità, allora ne avevo bisogno, nonostante avessi già fatto “Antropolaroid” e “Invidiatemi come io ho invidiato voi” volevo confrontarmi fuori dalle “mie cose”. Con Serena ho avuto modo di arrivare ai miei limiti e cercare di superarli e superarmi ed è stata fondamentale: mi ha bacchettato, rimproverato, urlato, corretto e ad ogni mia caduta lei mi ha sorretto, confortato, accompagnato, esortato, incoraggiato; è stato bello lavorare con lei! Appena arrivai a Milano nel 2007 vidi un suo spettacolo al Piccolo Teatro di Milano e sognavo di poterci lavorare insieme. L’anno scorso ci siamo ritrovati per mettere in scena “32 secondi e 16”, spettacolo che parte dalla storia di Samia Yusuf Omar, atleta somala che partecipò alle olimpiadi di Pechino nel 2008 e che nel 2012 morì da migrante nel mare di Lampedusa.
I.G.: Come è nato il progetto “Geppetto e Geppetto”?
Tindaro Granata: Questo testo è stato scritto dagli incontri nei bar vicino casa e alla stazione Centrale di Milano, dalle discussioni e dalle conversazioni con persone alle quali ho rubato pensieri, dubbi, certezze, paure, stereotipi, dolcezze, comprensioni, rabbia, tolleranza, disinformazione, odio e amore e tante frasi e tante parole. Persone sul tram 15, dal Duomo allo Spazio Proxima Res e sul tram 5 che da casa mia porta alla Stazione Centrale. Persone per strada in via Budua, in via Lancetti, in Viale Zara. Persone al parco giochi di Piazzale Istria dove le mamme e i papà portano i loro piccoli a giocare. Quelle sul FrecciaRossa Milano/Napoli, sul Milano/Roma e infine chiacchierando dalle 23.30 alle 03.05 con la signora Concetta Procopio, sul bus di ritorno da Castrovillari, il 2 giugno.
I.G.: Quale l’obiettivo del progetto?

Tindaro Granata: “Geppetto e Geppetto” è una storia inventata, partorita dalla mia fantasia e dalle paure della gente che ho incontrato per strada, parlando di figli nati da omosessuali… Ecco! C’è già l’inghippo, non posso iniziare così! Se scrivo che questa storia è nata da Fantasia (femmina) e da Paure (femmine) può sembrare che il testo si “di parte”. Allora, diciamo che Geppetto e Geppetto è nato dalla mia fantasia e dai dubbi della gente che ho incontrato per strada, parlando di figli nati da omosessuali… Ma c’è sempre il problema di una nascita da Fantasia (femmina) e da Dubbi (maschi), i dubbi potrebbero essere 2, 3, o addirittura 4… non oso pensarne più di 4! Sempre peggio. Cambio l’origine del concepimento: Geppetto e Geppetto è nato dal mio estro e dal desiderio di capire la gente. Estro e Desiderio sono entrambi di genere maschile! Mammuzza mè (Mamma mia)! È meglio che non si pensi ad un genere di racconto fatto di generi o di parti stabilite da registi, da autori, dalla società o dalla natura, no! Questa non è la storia universale di tutti i figli nati da coppie omosessuali. Non è la storia di una bandiera spinta dal vento del “pro” o da quello del “contro”, chi se ne frega! Questa è la storia di un papà che vuole fare il papà e di un figlio che vuole fare il figlio, tra i due, all’apparenza, manca solo una mamma. È la storia di uno scontro tra due uomini, uno giovane e uno adulto, che cercano entrambi il riconoscimento di una paternità che non può avere la stessa funzione che ha in una famiglia eterosessuale. È il desiderio di un Geppetto di farsi amare da un figlio che non è sangue del suo sangue, ma generato dal seme del proprio compagno. È il desiderio di un ragazzo di ritrovare una figura paterna, vissuta nell’assenza di una figura materna, che lo possa accompagnare nel mondo degli adulti senza il peso della mancanza. È una complessa storia di rapporti umani, come spesso multiformi sono i rapporti umani, difficoltosi e non decifrabili. Non spiegabili. Sarebbe più facile, ma la storia avrebbe gli stessi problemi dei due Geppetti, se non ci fosse amore, l’importante in queste storie è l’amore per i figli, se ci fosse amore… Ecco, se ci fosse più amore è la storia di Geppetto e Geppetto. Sento molto forte che le sensazioni e i sentimenti di questo ragazzo appartengono alla maggior parte dei ragazzi nati da famiglie “normali” dove il paterno e il materno sono sbiaditi dal frenetico modo di vivere le relazioni primarie, dove il paterno e il materno hanno meno forza perché le famiglie stanno perdendo il ruolo di educare alla gioia, all’umano, alla vita.
I.G.: Quale la risposta del pubblico?
Tindaro Granata: Gli spettatori li sento molto vicini, a me, allo spettacolo e ai miei attori e alla storia di Geppetto e Geppetto. È una relazione d’amore passionale molto forte. Li amo e mi sento amato: ecco la luce di cui parlavo prima. In questa strada tortuosa e spesso sconfortante la luce speciale sono gli occhi degli spettatori che guardano con amore, puro e disinteressato, me e il mio lavoro.
Written by Irene Gianeselli