“Il bravo di Venezia” di Matthew Gregory Lewis: una storia antica e sempre vera dove nulla è ciò che sembra
“Il bravo di Venezia” è un romanzo di Matthew Gregory Lewis, edito ai primi del XIX secolo, riproposto in traduzione italiana nel 2016 da BEAT Edizioni.
L’autore, membro del Parlamento britannico, ha riadattato da un testo in tedesco di Heinrich Zschokke il libro che qui sarà oggetto di analisi.
Corre il diciottesimo secolo in una Venezia di luna, maschere e mantelli.
E corre anche il lettore, sentendo il rumore dei propri passi produrre eco per viuzze in cui si aprono porte solo se ci si palesa e se si è poi accetti. Corre fra danze con abiti sontuosi e fra lotte in cui pugnali si insinuano nelle carni; fra trame losche e pudichi amori adolescenziali; fra etica naturale e consapevolezza del potere del più forte.
Il romanzo di Matthew Gregory Lewis fu pubblicato nel 1804 e la collocazione temporale non stupisce: c’è l’ironia di chi racconta un passato non troppo lontano, che, in fondo, è lo stesso presente che ora ha cambiato parrucca.
Eppure, è un testo che, anche grazie alla convincente traduzione in italiano di Raffaella Vitangeli, si rivela interessante, coinvolgente e piacevole anche per lo smaliziato lettore contemporaneo che ben comprenderà che i voluti e clamorosi anacronismi storici sono un gioco con cui l’autore si diletta, strizzando l’occhio a chi delle Venezie notturne e degli uomini in mantello, che cambiano volto in pochi istanti, è ben avvezzo.
Perché se il tempo (e con lui il lettore) corre, certe dinamiche politiche e certe riflessioni filosofiche sull’indole umana restano attuali, sedute al centro della meridiana, a giocare con le ombre delle epoche.
“Che cosa sono i vizi e le virtù, se non dei concetti che i governi, la tradizione, il galateo e l’educazione hanno consacrato? Ciò che gli uomini considerano onorevole oggi, domani quegli stessi uomini potrebbero decidere che non lo è più, secondo il loro capriccio”.
Dunque, l’azione si svolge a Venezia, quando Abellino, conte esiliato da Napoli a causa di un complotto ai propri danni, decide di diventare un “bravo”, ossia uno spietato assassino al servizio del maggior offerente, in questo caso dei delatori della Repubblica presieduta dal Doge Andreas. Ma essere un bravo, a onor del vero, non gli basta, vuole essere il bravo per eccellenza, ossia il solo, unico e indiscusso: e ci riesce.
Facciamo un passo indietro.
Ho esordito il penultimo capoverso con la frase: “l’azione si svolge”. Siamo su un palcoscenico da teatro, l’avrete intuito, con tanto di narratore che, ogni tanto, abbatte la quarta parete per dire la sua solo allo spettatore, rendendolo complice.
È una trama ricca di colpi di scena, dunque, e di dialoghi serrati e di agnizioni e di interventi di “deus ex machina”, che sistema i pasticci degli esseri umani ed imperfetti, come nel teatro di Menandro, prima, e di Plauto poi.
Non a caso, lo stesso Matthew Gregory Lewis, da intelligente drammaturgo, oltre che romanziere, l’anno successivo alla pubblicazione dell’opera, ossia nel 1805, mise in scena un melodramma, intitolato “Rugantino”, che de “Il bravo di Venezia” è una rielaborazione.
Written by Emma Fenu