Intervista di Stefano Labbia a Larssen: il Re dell’Elettro Sound
Larssen – vero nome Gabriele Panico – è un’artista capace, determinato, magico.
Non se ne vedono tanti, di questi tempi, specialmente nel settore dell’intrattenimento musicale. Classe 1973 è attivo in tutto il globo dagli anni ’90, quando esplode il fenomeno Larssen prima in Europa, poi nel resto del pianeta.
Non ultima, una sua hit scelta come colonna sonora per il minifilm “Babbo Natale” da Alessandro Valenti e da Saietta Film – cortometraggio presentato e premiato a Cannes 2016.
Durante questa intervista proviamo a conoscerlo meglio, più a fondo, tentando di svelare al pubblico il lato privato del Re dell’elettro sound.
E Larssen/Gabriele ci rivela cosa lo fa arrabbiare dell’industria musicale, ci dona alcuni consigli per i giovani musicisti – deejay e ci regala un mix ad hoc dedicato a tutti gli Oubliette fan. Che altro volere di più?
S.L.: Grazie per aver accettato quest’intervista!
Larssen: Grazie a voi per l’ospitalità.
S.L.: Posso chiederti il tuo nome d’arte da dove viene? Sicuramente domanda trita e ritrita per te, ma (forse) non per i lettori di Oubliette…
Larssen: Ho iniziato a timbrare i miei lavori come Larssen sul finire degli anni novanta. Voleva essere un nome nordico appiccicato ad una realtà musicale del sud Italia. Da sempre le organizzazioni musicali nordeuropee hanno rappresentato un riferimento per me. Tuttora, lassù, conservo molti scambi ed interessi. Mi piaceva questo termine “raffreddante” in un posto da sempre dominato da eccessi di calore umano. Pur amandolo, spesso si è rivelato un freno per lo sviluppo di reali e concrete capacità professionali.
S.L.: Cosa ti fa arrabbiare dell’attuale industria musicale? E cosa invece ti rende felice (a parte suonare e produrre!)?
Larssen: “Qualche” correzione da fare ce l’avrei. Ma sarebbe un processo molto complesso perché riguarda non solo le grandi piattaforme distributive… Ma anche i media, le agenzie, le etichette e gli autori stessi che ci hanno messo del loro per annacquare un meccanismo, quello dell’industria musicale, già difficile nel funzionamento. In un paese in cui il tempo libero non è contemplato e di conseguenza non avvalorato, è difficile trasformare in professione qualsiasi attività che si occupi del tempo libero delle persone. In senso lato, fare musica è un po’ questo. Prendersi cura dell’ascolto. Tutte le tipologie di addetti ai lavori su indicate, mi sembra si siano perse o nella più stupida delle dicotomie (mainstream vs indipendent) o nella presunta libertà di facciata sdoganata dal digitale. Per quanto concerne la mia felicità, è uno status che ho acquisito nel 1985. Quando con mia sorella iniziammo a comprare tanti dischi. Io sono massimamente felice nei negozi di dischi. In quei luoghi, quelli decenti rimasti in attività, mi definisco felice e molto abile.
S.L.: Come si è evoluta la musica in questi ultimi vent’anni? Sei sulla cresta dell’onda da tempo… sia a livello di produzione che di impatto/pubblico hai vissuto un ventennio pregno di novità!
Larssen: Concordo con te che di cose, negli ultimi venti anni, ne sono successe di cose… Se vuoi un focus sull’elettronica in particolare, il periodo è stato estremamente interessante. Il beat making ha flirtato e flirta sempre di più con le avanguardie storiche e con l’improvvisazione, senza rinunciare all’istinto devoto alla dance. Insomma, vuoi vedere che dopo secoli di diatribe e schieramenti tocca alle macchine unificare anima e corpo? I caproni corporativisti (molta sinistra) lo chiamano postmodernismo… per me è sempre corrente elettrica.
S.L.: Quanto incide il tuo umore su ciò che produci? E… quando/come produci? Che processo c’è dietro? Insomma… come lavora Larssen? Intendo il “modus operandi”…
Larssen: Al mio umore non è concesso di entrare in studio o di accompagnarmi sul palco. Se hai la fortuna di fare ciò che ami il minimo è rinunciare a una parte ingombrante di se stessi. Ma solo perché potrebbe appesantire quello che io chiamo “flusso”. Amo i pazzi radicali e odio il nichilismo, così come i preti, e mi affaticano le dottrine orientali. I processi, i tempi, anche i luoghi cambiano spesso (anche se la prima nota o i primi segnali amo stabilirli a Specchia, sul mio desk d’origine). In genere, ho delle idee molto precise solo sulla direzione e lo sviluppo del pezzo su cui sto lavorando. Nelle sessioni di registrazione, poi, mi lascio sorprendere volentieri da quello che viene fuori a livello sonoro. Lavorando con diverse macchine, come Larssen, cerco di premiare l’istinto animale. Al contrario, con i lavori a nome Gabriele Panico (dalla musica accademica alle colonne sonore per il cinema) dove sovente lavoro con interpreti “umani”, cerco di lavorare in modo più artificiale e meccanico. I paradossi mi divertono. Prediligo inquadrare prioritariamente i bassi: è la pancia il primo ricettore, lo spirito viene dopo.
S.L.: Cosa consigli a chi da “grande” vuole diventare il nuovo Larssen?
Larssen: Innanzitutto consiglierei di diventare il nuovo David Bowie o il nuovo Miles Davis! Credo che studiare sia fondamentale così come molto importante è mettersi alla prova ed esperire. Ma, ancora più importante è comprare il maggior numero possibile di dischi e di macchinette elettroniche! Auguro poi di incontrare un Giovanni Gentilucci (label manager della Pocket Panther Records) che appoggi ogni vostra intuizione musicale, vi metta a disposizione uno studio per darle concretezza e cucini per voi!
S.L.: Che rapporto hai con la musica? Per te è “solo” lavoro o… è qualcosa di più? E con l’arte in genere?
Larssen: La musica assorbe tutto il mio tempo creativo e operativo. Da subito ho capito che avrei fatto bene a inventarmi una strada che mettesse a sistema tutte le mie attività legate ad essa: dagli ascolti alla scrittura, dallo studio di strumenti alle pratiche sulle macchine. Credo sia molto di più di un lavoro! Ho proprio scelto di fare questo, anche in momenti in cui non era proprio così… ipotizzabile. Ho fatto molti lavori, anche super qualificati e con la fortuna di affiancare fuoriclasse del proprio settore. Provengo da una famiglia di lavoratori coraggiosi. Tutto questo per dirti che, per ufficializzare nella propria vita una passione, è necessario “trasformarsela” in lavoro, accettando, quindi, di affrontare anche questioni meno artistiche unite ai baratri del mercato. Tutta questa eroicità e poetica, ovviamente, si sgretola annualmente dinanzi al fisco, a cui deponiamo tutta la nostra creatività e tanto altro! Sigh!
S.L.: Vita privata: cosa ti piace fare? Hobbies? Passioni? Interessi?
Larssen: La mia vita privata, al momento, ha tre anni. E pretende che io sia un portiere da trafiggere con un goal, un grosso dinosauro da abbattere con delle pistole laser e un efficiente compagno di avventure di un vivacissimo uomo ragno nano.
S.L.: Che musica ascolta Larssen, in privato?
Larssen: Ti propongo una playlist con alcuni ascolti recenti.
Johnny Cash “Ain’t no grave”: io amo la musica country. Ho sempre pensato di avere una vita molto country… sono circondato da vacche e fuorilegge… i rodei non mancano… Cash è come Bach: ci si farà i conti per sempre.
Aphex Twin “Cheetah Ep”: il fatto che in questo stesso uomo risiedano gli anni pionieristici e il futuro del suono elettronico mi diverte e conferma che un software non basterà mai a fare la differenza nella musica. Mai.
Pat Metheny “The Unity Session”: non importa se sia tra i dischi migliori o minori. Gli sciocchini che inneggiano al “nujazz” di turno dovrebbero dedicarsi a tutta la musica tirata fuori da questo top class musician. Un indomabile.
Heinrich Mueller & The Exaltics “Project STS-31”: l’electro al suo stadio più compiuto. Dietro c’è Gerald Donald, che con i Drexciya e tanti altri progetti ha contribuito a farmi comprendere che dopo l’acqua, sul pianeta, la cosa più importante sono i synths.
Weather Report “Legendary Tapes Live 1978-1981”: gli anni con Pastorius ed Erskine: che furore! Tutto il jazz elettrico è stato per me molto importante quando studiavo percussioni. Ma quando iniziò a prevalere la questione meramente tecnica iniziò ad annoiarmi. Non saprei spiegarti come di preciso ma da qualche anno mi è risalito tutto l’amore per un sacco di formazioni elettriche degli anni settanta: “Orsobruto”, ultimo disco a nome Gabriele Panico, è venuto fuori da questa eruzione!
Gyorgy Ligeti “Mysteries of the Macabre, with Barbara Hannigan”: io adoro il novecento accademico. Me ne occupo come musicologo oltre a studiarlo per la mia attività di compositore. Ma lo adoro in blocco. Perché se lo scorporassi, autore per autore, mi sembrerebbe una fiera del bestiame. Tanti puledrini sedentari… In Ligeti io respiro le degne compagne di viaggio per una musica realmente nuova: la follia, la trasfigurazione sonora, l’ironia, il superamento dei canoni tramite la loro stessa masticazione. Insieme ad Autechre e a Ornette Coleman, il mio musicista preferito.
S.L: Progetti per il futuro?
Larssen: Discograficamente con Pocket Panther stiamo promuovendo l’album “Orsobruto”, uscito qualche mese fa e finora promosso maggiormente all’estero. Come Larssen stiamo preparando alcuni ep tra cui uno dedicato al Sud America, pronto da tempo. Dovrebbe chiudere un trittico dedicato all’equatore. Come lavori in studio, in cantiere ci sono diversi progetti per l’audiovisivo, musiche originali per il cinema e per i commercial. Dal vivo, stiamo pianificando qualche data all’estero oltre che una serie di djset. L’idea è quella di girare in due, insieme ad Alternatofunk. Matrimonio sancito anche da un recentissimo remix. Se le forze non mi abbandoneranno, mi piacerebbe concretizzare il mio più grande sogno: un progetto di musica country.
S.L.: Grazie per la pazienza, Re dell’elettro sound! Ci vediamo al prossimo live, tu dietro la consolle, noi in delirio sotto al palco!
Larssen: A presto! Permettimi di salutare una persona cara che non c’è più: ciao Vincenzo.
Written by Stefano Labbia
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