“D’Amore e Morte” di Teresa Campi: storia del soggiorno romano dei poeti Byron, Shelley e Keats
“Byron vaga di notte fra le rovine. La luna è alta. Le mura della città lo cingono in un abbraccio. Il mistero del tempo e dell’altrove fomenta le sue fosche fantasie. I monumenti sono per Lord Byron gli unici superstiti di una tragedia immane: la fine di un Impero, con tutte le sue maledizioni. Roma è per lui un rifugio dopo le disavventure coniugali e il rincorrere dei suoi creditori che gli danno la caccia di giorno e di notte. Lo perseguitano ovunque lui metta piede.”

Chi ama i poeti inglesi della prima metà dell’Ottocento, con quel tormento dell’animo che sembra mai potersi placare, non deve assolutamente perdere la lettura di “D’Amore e Morte. Byron, Shelley e Keats a Roma” (Albeggi Edizioni, 2016), scritto da Teresa Campi, insegnante e giornalista.
La storia ha inizio nel luglio del 1817, quando il danese Cristian Abrahams giunge a Roma, letteralmente stregato da un quadro di Claude Lorrain, e dall’atmosfera che si respira nella città, patria dei salotti letterari e di importanti fermenti culturali.
Il suo arrivo coincide, mese più mese meno, anche col soggiorno romano di tre poeti inglesi: Byron, dai gusti libertini, considerato nella Roma del periodo come un personaggio curioso e alla moda; Shelley, poeta ancora sconosciuto, ritenuto l’autore del “Frankenstein” che invece è stato scritto dalla moglie Mary; Keats, il più giovane e sensibile dei tre, già gravemente malato di tisi – quest’ultimo morirà proprio a Roma, nel febbraio del 1821, in una pensione ai piedi della scalinata di Piazza di Spagna, oggi museo.
I tre personaggi non sono presenti sulla scena contemporaneamente, bensì si alternano. Essi portano Christian, voce narrante, a creare una “storia nella storia”. L’autrice ci fa sapere, in una nota, che il personaggio di Christian è davvero esistito, ma in circostanze del tutto diverse.
In questo romanzo è servito a narrare le vicende dei tre poeti, poiché egli intende fare il corrispondente, e quindi redigere articoli sul loro soggiorno in città. Byron ha lasciato Roma da poco, e quindi Christian deve accontentarsi di ascoltare le testimonianze di chi lo ha incontrato e ha avuto a che fare con lui.
Come lo scultore Thorvaldsen, che Byron aveva contattato per un ritratto “virile”, snobbando le velature delicate di un Canova ancora in erba. O come le confessioni dell’amico Hobhouse, depositario di intrighi e piccanti segreti sul poeta.
Dopo il successo del suo primo articolo, Christian si convince di voler fare lo scrittore e, nel salotto letterario di madame Dionigi, conosce Shelley, a Roma con la moglie Mary e la cognata Claire. In particolare – fra tradimenti e figli illegittimi – Christian diventa depositario di quello che accadde a Villa Diodati, la notte in cui Shelley, la moglie e pochi altri ospiti, fecero a gara a chi scriveva il romanzo più terrificante. In sintesi, la storia di “Frankenstein”, il novello Prometeo.

E infine, quando gli Shelley si trasferiscono in Toscana, Christian vede Keats, di lontano, mentre è al Pincio, in compagnia di Paolina Bonaparte. La figura esile ed enigmatica lo ammalia, così come a conquistarlo sono le sue poesie. Ma Keats è malato, e risiede in piazza di Spagna con l’amico Severn, che ha il compito di badare a lui.
I suoi giorni sono contati – giunto a Roma nella speranza di trarre giovamento dal clima, morirà di tisi a soli 25 anni. Christian incontrerà, in realtà, solo il suo cadavere, aiutando ad evacuarlo, poiché le leggi dello Stato Pontificio imponevano la completa disinfezione di un locale dov’è morto un tisico.
E sarà presente al successivo funerale, al cimitero degli inglesi dove tuttora vi è la sua tomba. L’opera è il frutto di meticolosi studi sulla Roma dell’epoca, di cui l’autrice è in grado di proporre la perfetta atmosfera, coi suoi profumi, i suoi odori sgradevoli, le leggi e le suggestioni. Fino ad un’esperienza di morte, che accomuna il destino dei tre protagonisti.
Byron è testimone di un’esecuzione, che lo turba molto. A Roma, forse in cerca di espiazione, vede in quella decapitazione la pubblica condanna di se stesso. Shelley e la moglie perdono un figlio, il piccolo William, morto a tre anni proprio in quel soggiorno romano.
Un’esperienza terribile, dalla quale forse lui non si riprenderà più. E Keats, troverà la morte proprio qui, lontano dalla sua amata Fanny. Un romanzo suggestivo e coinvolgente, che vi vedrà aggirare per la Capitale con occhi nuovi.
Written by Cristina Biolcati