“Al giardino ancora non l’ho detto” di Pia Pera: nessuna panacea contro la morte, solo un cambio di prospettiva
“Se all’inizio mi prendevo cura del giardino, compiendo in piena autosufficienza tutti i lavori, adesso debbo prendermi cura di me stessa. Il tempo prima impiegato potando, scavando buche, bruciando frasche, zappando, falciando l’erba, adesso mi viene rubato dalle cure necessarie a mantenere me stessa in vita. Quasi fossi diventata io il giardino.”

Fin dall’antichità il giardino ornamentale è considerato una vera e propria arte, un soggetto di culto. Sebbene attragga i visitatori, un giardino non è come un quadro, un film, o, meglio ancora, un libro. Un giardino non può sopravvivere alla morte di chi se ne prendeva cura. Se i rami dei suoi alberi da frutto non vengono potati, oppure se le aiuole vengono invase da erbacce, anche il giardino muore. Perde la sua essenza e diventa selva, terreno incolto.
Lo sa bene la scrittrice lucchese Pia Pera, classe 1956, che di quel giardino si è sempre occupata con orgoglio, con amore e soprattutto vigore. Ma adesso è malata, Pia. La malattia neurologica che le è stata diagnosticata con un’insolita incertezza, a piccoli “bocconi” perché troppo amara, è peggiorata. Lo sente, Pia. Lo capisce dal fatto che la gamba destra sembra ormai un ramo secco, e può occuparsi dei suoi fiori soltanto se si mette carponi, gattonando come fanno i bambini. E poi, per rialzarsi? Un’incognita che la blocca, sebbene lei abbia messo a punto una tecnica tutta sua, sul cui successo ha però dei grossi dubbi.
Pia vive sola, in compagnia di quel giardino di cui si è presa cura per anni, e di Macchia, il suo cane con cui ha imparato, negli ultimi tempi, a vivere in simbiosi. Perché la malattia cambia i rapporti, muta le prospettive. Col suo “bastone del comando”, è il caso di dirlo, Pia si sente più serena. Poter delegare altre persone, dirigendo i lavori puntando quel bastone che le serve per deambulare verso l’oggetto in questione, la fa sentire ancora forte. Ma è debole Pia, fatica a reggersi in piedi. Così fa quello che umanamente faremmo tutti: per darsi coraggio, dona un’anima alle cose. Adesso il suo pensiero non è più concentrato sulla sua morte imminente, bensì ella si preoccupa per il suo giardino. E per il suo cane. Come faranno senza di lei? Chi, se ne prenderà cura?
Da sempre Pia Pera ha trovato conforto e rifugio nell’attività del giardinaggio. Un’occupazione che permette di progettare. Di far andare le mani, ma di tenere sgombra la mente. E allora, nell’intimità di quel giardino, coi fiori per sola compagnia e senza occhi indiscreti, si è liberi di pensare, di fantasticare e ricreare altre realtà. Altri mondi.

“Al giardino ancora non l’ho detto” (Ponte alle Grazie, febbraio 2016) è un racconto struggente, che “monitorizza” con estrema sincerità gli ultimi mesi di vita di Pia Pera. Della donna che ha fatto del giardinaggio un vero e proprio genere letterario.
“Al giardino ancora non l’ho detto” è una frase tratta da “Poesie religiose” di Emily Dickinson, “I haven’t told my garden yet”, che aveva colpito l’autrice, tanto da decidere di farne addirittura il titolo del suo romanzo. “Mi parve un atteggiamento rivoluzionario verso la morte”, aveva scritto.
Nessun lieto fine per Pia Pera, che è morta lo scorso martedì 26 luglio 2016.
Ora il suo giardino lo sa, che lei non tornerà più e che lui è “solo”. Mai più lo stesso, anche se altri verranno a prendersene cura. Chissà se potrà mai perdonarla?
“Il mio giardino non si stupirà più di tanto a non vedere più, un giorno, chi tanto amava occuparsene”.
È l’ineluttabilità della vita. Che passa, dona tutto, e poi si esaurisce. Anche se, ai suoi lettori, rimarrà sempre il grande rammarico di avere perso tanta grazia.
Written by Cristina Biolcati