‘DU – Bauladu Music Festival 2016: eravamo in migliaia in un paese di settecento abitanti
Mi sveglio nell’aria adibita a dormitorio di tende da campeggio quechua, quelle che si aprono con uno slancio leggero ma che si chiudono solo dopo una laurea in ingegneria. Mi sveglio e sono vivo, dove sono? Mi chiedo. Dove siamo? A Bauladu.
Ieri, 16 luglio 2016, si è svolta l’ottava edizione del ‘DU Festival. Ecco perché. Ché cosa?
Ché fino all’alba delle ragazze suonavano Delta blues con l’ukulele e l’armonica e a tratti s’immobilizzavano nell’ombra della notte o della scuola, nelle luci dei lampioni o in quella delle comete disegnate sui muri; perché erano tutti felici e si sentivano bene per davvero; eccetera.
Invece adesso, appena svegliati a Bauladu, le persone si salutano piano e abbassano lo sguardo, alcuni chiedono scusa. Adesso i concerti sono finiti e i fantasmi sono tornati, c’è una tenda quechua che non ha la minima intenzione di ripiegarsi e ritirarsi da sola.
Chiedo dove siamo a un ragazzo che esce dal bagno. A Bauladu. Questa era una scuola, dice. Adesso non c’è più niente. Che significa? Chiedo io. Significa che non c’è più niente, è tutto chiuso. Quanti abitanti fa Bauladu? Settecento. A chi vuoi prendere in giro? Ti dico settecento, fa lui, l’ho visto su google.
E questo ragazzo che esce dal bagno non sembra dire bugie, eppure ieri notte eravamo a migliaia, e anche lui oscillava come un marinaio bugiardo che ruba un po’ di buio all’alba prima di risalire a bordo del vascello. Come tutti gli altri al ‘DU Festival.
E allora provo a ricostruire la serata musicale partendo dalle luci dell’alba e procedendo a ritroso nella notte. A chiudere il Dj set Optimo party: Tramonte + Sknt nel verde del Parco di San Lorenzo.
Oltre la scalinata Iosonouncane si è esibito con la sua band nell’anfiteatro comunale ormai invaso di persone. Le immagini acquatiche e folli di Die ci hanno lasciati sospesi tra la stella e la schiuma del mare, marinai o naufraghi, alla ricerca di non si sa cosa.
Le musiche tra la modernità dell’elettronica e i suoni aspri degli strumenti, a tratti antichi, con distorsioni profonde e scure come caverne.
Poi quando Iosonouncane ha minacciato al microfono un colpo di stato a Bauladu, musicale s’intende, con conseguente dittatura in cui lui sarebbe stato figura di despota del suono, proprio allora il pubblico tremava nella quiete dell’occhio del ciclone: preoccupati e curiosi di capire se si trattasse di scherzo o verità, di sarcasmo o incazzo.
Ma Iosonouncane, che non è nuovo a questi giochi col pubblico, ha rispedito tutti nella bufera della musica, ancora una volta, poco dolcemente, suonando altri pezzi, alcuni del primo album (Macarena su Roma, Il corpo del reato, fino al nuovo naufragio nelle rive vicine di Summer on a spiaggia affollata), e ancora nelle rive lontane di Die.
Prima di lui nell’area dell’anfiteatro si sono esibiti Il pan del diavolo (band folk siciliana) e Kaos One + Dj Craim (Rapper italiano). Ho seguito entrambe le performance con curiosità e poi ho chiesto a caso tra gli spettatori.
De Il pan del diavolo una ragazza ha detto: “bello eh, e poi veloci con le chitarre oh! Molto veloci!”
Di Kaos One e Dj Craim un ragazzo ha detto: “non sbagliano niente, ci sta ricordando troppo spesso che siamo in Sardegna, e noi questo lo sappiamo, che nell’isola musica bella ce n’è sempre.”
Le prime e potenti performance del Festival sono le ultime del mio elenco rovesciato. Trees of Mint è il progetto solista del musicista Francesco Serra, all’attivo un primo disco Micro Meadow (2008, Here I Stay Records) di già ben accolto dalla critica nazionale, e un album omonimo (2012, Trovarobato parade).
A Bauladu poi, al tramonto, nella chiesetta di San Lorenzo, la magia della chitarra Trees of mint e il gioco delle luci oltre la croce e la navata hanno creato una bolla di musica malinconica e crepuscolare, di quelle cose che possono succedere al ‘DU e che difficilmente dimentichi.
Infine l’ospite maggiore, o quantomeno eccezionale, Lee Mark Ranaldo (Chitarrista, cantante, componente dei Sonic Youth, autore, produttore, poeta, editore, ombra gigantesca per l’occasione) si è esibito insieme a Leah Singer nel giardino del parco in un particolare esperimento audiovisivo.
Nell’intervista prefestival a cura di Andrea Tramonte (Lollove Mag) Lee Ranaldo prospettava la necessità di sentirsi circondato dal pubblico durante i concerti, perché l’ascoltatore è interprete dei rumori e ha ruolo centrale.
Così più tardi stavamo intorno a lui e la Jazzmaster Fender dei Sonic Youth oscillava dall’alto in un loop circolare, l’ombra su proiezioni video di ostacoli, fronde mosse dalla furia del vento, o pianure di un bianco infinito. Paesaggi sullo schermo e nell’aria sotto forma di onde sonore, distorsioni.
Lee Ranaldo ha spinto la chitarra, l’ha bastonata, l’ha sfiorata con l’arco del violino. Si è spinto in mezzo alle persone.
Ti piace? Ho chiesto a un ragazzo, mentre un pezzo di storia della musica contemporanea gli sfiorava la spalla. È strano, ha detto lui, chi è? Un musicista. E allora ho pensato che il bello del concerto stava negli occhi di questo ragazzo che dico. Negli occhi di quelli che non è importante chi suona ma l’importante è che mi faccia tremare.
Ma il ‘DU Festival quest’anno era anche: l’architettura antica e nuova di Bauladu; l’impegno dei ragazzi della consulta giovanile, delle associazioni, dei volontari; l’organizzazione impeccabile; gli adesivi di Mariano Marjani Marras, i bicchieri, su pani indorau; i volti del progetto fotografico di Francesca Marchi; la gentilezza dei volti; gli anziani del paese; le mostre; il Dj set; il silenzio delle tende da campeggio che non vogliono smontarsi da sole; il vuoto delle ultime birre disperate; i fantasmi della mattina; il pensiero di voi questa mattina che aspettate ancora un po’ prima di andare via.
Written by Mauro Tetti (Report di domenica 17 luglio)
Photo by Emiliano Cocco (2, 3, 4, 5)
Info
Sito ‘DU – Bauladu Music Festival
Facebook ‘DU Bauladu Music Festival
Programma Completo ‘DU – Bauladu Music Festival
info@dufestival.com