“Poeti per il sociale”: l’antologia curata da Annalisa Soddu: la poesia civile è un atto di coscienza

L’iniziativa promossa dalla poetessa sarda Annalisa Soddu, portata avanti tra settembre ed ottobre 2015, è rilevante soprattutto sotto due punti di vista, il primo dei quali è quello di aver voluto chiamare a raccolta grazie al mezzo virtuale di Facebook una serie di poeti, più o meno conosciuti, promettenti od esordienti che siano, per dedicare liriche a tema sociale.

Poeti per il sociale

L’altra, che esula dagli aspetti contenutisti del progetto, è quella di non aver imposto particolari regole alle quali rifarsi né a livello tematico né a livello quantitativo ossia del numero dei versi dei componimenti e, soprattutto, per aver voluto dall’inizio che questa antologia poetica fosse liberamente fruibile da tutti i partecipanti e tutti i potenziali lettori. Nessun tassa di iscrizione, nessun comitato di lettura deputato alla scelta, nessuna pubblicazione cartacea e, dunque, nessun costo né alcun ipotizzabile guadagno. Questa antologia denominata “Poeti per il sociale (sebbene per antologia si intenda canonicamente un testo che fuoriesce da un procedimento di crestomazia che ha alle basi l’adozione di una data dimensione organizzativa e non di rado anche ideologica), allora, è il frutto di un’intuizione senz’altro saggia alla quale è doveroso e necessario rendere merito che si sposa con quella tendenza, per altro abbastanza comune nel nostro periodo storico, in cui l’artista non è più tale se, effettivamente, non instaura una serie stretta di legami con altri colleghi.

Mi viene in mente allora quanto il poeta palermitano Emanuele Marcuccio (presente in questa raccolta) si sia impegnato negli ultimi anni a dar voce a una ferrea credenza nel bisogno di una pluralità convinta e di una coesione allargata tra gli intenti poetici o artistici in generale che lo hanno condotto, per altro, alla pubblicazione di due antologie di poeti ispirate e innervate su un concetto che mi pare rilevante ai fini anche di questo lavoro curato da Annalisa Soddu. Ossia di ciò che lui esprimeva nella poesia “Telepresenza” con “questo foglio di vetro impazzito” ad intendere che, anche se il mezzo virtuale può spesso essere causa di problemi se mal usato, è senz’altro divenuto la nuova agorà intellettuale del nostro tempo, un cenacolo allargato sempre connesso, ricco di intercambi, commistioni e confronti che permettono una maggiore auto-consapevolezza sulla propria attività poetica, sullo stato dell’arte e non di rado anche una sana e puntuale critica testuale.

Annalisa Soddu ha voluto compendiare in questo volume un mese di “fare poesia” tra amici, conoscenti e amanti della poesia radunati attorno al Social Network più in voga che hanno voluto dar un loro contributo in termini umanitari: donare una o più poesie dove la potenza della parola è legata all’invocazione, all’evocazione o alla drammatizzazione di un caso di cronaca sociale, ossia di una manifestazione di disagio della nostra realtà. Come è facile intuire, l’universo delle tematiche, delle sfumature cromatiche e delle prese di posizione da cui dipartono i vari componimenti è davvero sterminato, sebbene sia possibile individuare in taluni casi immagini analoghe, tematiche ripetute e rivisitate da varie angolazioni, sdegni più o meno sentiti verso determinate realtà e parallelismi tra due o più opere tanto da poter osservare che l’opera in sé stessa è prismatica e riflettente: leggendo la poesia di un poeta è possibile trovare risposta alle sue domande in un’altra lirica o, diversamente, è possibile trovare quella che potrebbe essere un’ipotetica “continuazione” o “anticipazione” alla stessa, venendo a descrivere, dunque, uno scenario al quanto curioso e dove i rimandi continui da un autore all’altro, di converso, consentono all’opera di apparire sì speziata e multiforme, ma anche, paradossalmente, piuttosto compatta attorno a dei micro-temi tra loro imparentati o impliciti.

Rosa Ruggiero

L’esigenza di perseguire un’attitudine caritatevole che rifugga egoismi di sorta è ben sottolineata da Rosa Ruggiero che nella sua lirica “Donare e non solo a Natale” annota quanto sia importante “offrire il proprio aiuto/ al momento del bisogno”. Importante non solo per il sostegno dato all’altro ma anche nei nostri stessi confronti, per aver compiuto spontaneamente e con umanità un’azione necessaria. Similmente accade in Emanuele Schemarri che polemizza sulla mancanza di compartecipazione, segno di una società piramidale sprezzante che persegue solamente il proprio utile: “Cosa ne ho fatto della mia vita/ quando guardando un lebbroso/ ho chiuso gli occhi?

Parlando di cronaca è impensabile non avere a che fare con dinamiche geopolitiche e situazioni di conflitto nelle più recondite parti del mondo. A questo riguardo notevole è la poesia di Anna Maria Folchini Stabile ispirata al tragico episodio del piccolo Aylan che ha campeggiato per settimane sugli schermi delle nostre tv. Se la poetessa si mostra costernata dinanzi a un episodio di morte talmente doloroso da elaborare e parla di “idiozia collettiva”, d’altro canto sostiene questo canto di lotta dinanzi all’episodio con un monito vigoroso lucidamente espresso nel proclama di “non amma[inare]/ la vela/ della […] ira”. Anche Paola Surano si mostra particolarmente sensibile all’infamia dell’infanzia negata parlandoci, con un sistema contrastivo teso a marcare le attitudini di bambini in un mondo benestante e le esigenze di quelli che vivono in un mondo precario, dei “bambini minati e dello tsunami […] dei bambini delle guerre e della fame”.

Vi sono poesie storico-sociali, che storicizzano cioè certi momenti del passato riattualizzando la gravità degli stessi e nel momento in cui si sono prodotti e negli strascichi: dal canto mio ho inserito una poesia che ricorda la battaglia a Port Stanley nelle Isole Falkland comandata da Margaret Thatcher nella poesia identificata nella “donna metallica”; Renato Fedi in “Plaza de Mayo. Un giovedì qualsiasi” ricorda uno dei più truci stermini di massa che la storia ricordi mentre Silvana Galia non può che non pensare al dissacrante 11 Settembre, germe dell’insicurezza globale e di una campagna di missioni armate fino ai denti. Una nota meritoria va anche alla poesia di Emanuele Marcuccio che, dal linguaggio acuminato e ricca di condensazioni di immagini, ricorda la dolorosa sofferenza del dominio dell’apartheid nel Sud Africa del periodo 1948-1993. Doverosa e imprescindibile l’attenzione sulla pericolosità della situazione politica mondiale, una polveriera a cielo aperto dove l’Isis, portavoce di una crociata contro il mondo civile europeo e occidentale, sta perpetuando sistemi di lotta e di violenza efferatissimi ai quali assistiamo al telegiornale sino a che non vengono fermate le immagini dei truci assassini, decapitazioni, violenze inenarrabili e offese al genere umano tutto.

Giusy Carta non può non denunciare la sofferenza che prova dinanzi agli integralisti che stanno operando un’attività di demolizione delle vestigia di popoli antichissimi nati tra Iraq e Siria (viene da ricordare l’uccisione di Khaled Assad l’archeologo di Palmira che, come un vero martire, ha strenuamente difeso la cultura del suo ambiente contro la minaccia distruttrice degli integralisti) e scrive “muore adagiata nel deserto/ la cultura”.

Francesca Luzzio

La tragedia del mare, delle orde migranti che sfidano le onde del Mediterraneo per sfuggire alla guerra e alla fame dei loro paesi, sono ormai una realtà tristemente diventata rituale da molti mesi. Mentre l’incivile Orbán impiega i suoi servitori per costruire un muro di cinta che possa servire da baluardo di difesa per il suo paese dove gli immigrati assolutamente non sono graditi, neppure per il transito, ed altri paesi attuano loro misure sempre sorvegliati dalla centrale Europa che ha sempre fatto troppo poco per la causa, il Mediterraneo, da culla della civiltà, è diventato una pozza indistinta di corpi putrefatti infilzati negli abissi, un’ampia pietra tombale che fluttua e dove gli unici fiori a tributare il rispetto dei migranti caduti sono le stelle della notte, quando il mare diventa ancora più buio. In molti hanno sentito il tema sulla propria pelle come un’allergia nella fase più acuta e sono stati così chiamati a scriverne: per denunciare, per far chiarezza, per annunciare l’incrinarsi irrimediabile della civiltà, annoiati dalla tragedia seriale divenuta la replica continua di talk show dove si parla molto e poco si realizza. I poeti hanno costruito immagini di sprezzo e di dolore molto nitide e radicate: dai “legni rigonfi di umanità dolente” (Claudio Macchi) agli “invisibili/ mucchi di respiro/ evitati” (Mariarosa Lancini Costantini) dove anche la vita del mondo acquatico si ribella e sdegnosamente plaude al massacro: “Non volevo morire…/ ed ora i pesci mi stanno a mangiare!” (Francesca Luzzio), contribuendo ad abbruttire, per riflesso, anche gli elementi che contraddistinguono l’ambiente che assiste a quella moria annunciata, quali le “onde infami” (Maria Chiarello) mentre gli abissi non sono altro che un “fondale di menzogne” (Ernesto Ruggiero). Gaetano Napolitano nella sua lirica d’immigrazione tende a sottolineare con maggior foga “la terra arida/ di sentimenti” che si staglia al di là del difficile mare da attraversare e che solo in pochi, forse, realmente conosceranno. E se Claudio Macchi annota del “ventre marcio dei barconi” allora viene molto più intuibile pensare al marciume delle istituzioni, alla loro indolenza ed apatia, alla burocrazia che spesso impedisce di attuare la decisione più semplice che caratterizza (sempre per citare il Nostro) il “rapace ed insensibile Occidente o, in toni ancor più aspri, “quella gran puttana chiamata Europa” (Ernesto Ruggiero).

Tra gli altri interessi sociali dei poeti presenti nella raccolta vi è l’inadeguatezza del cittadino nel rispondere alle troppo rigide (e spesso contraddittorie) informazioni in merito alla raccolta differenziata tanto che, come nell’esempio della poesia di Carmine Montella, finisce per motivare il cittadino frustrato ad adempiere al disfacimento dell’immondizia in un modo molto più pratico ma senz’altro meno sostenibile.
Meritano la giusta attenzione anche gli episodi di omicidio stradale: stragi d’innocenti, di vite strappate dalla velocità, dall’imprudenza e spesso da un manto stradale danneggiato che fanno osservare la Carocci: “quei ragazzi andati/ correndo verso il tempo/ che vile s’è fermato/ su strade senza fiori,/ coperte di cemento!”.

Marzia Carocci

Ci sono i bambini la cui infanzia è annullata, tradita o sfruttata nella lirica “Négati” di Marzia Carocci mentre respiriamo il tormento di una madre che di colpo si è vista privare del bene più caro nella lirica di Lucia Casamassima. Nella fastidiosa (nel senso che fa star male) lirica di Valentina Meloni assistiamo alla parvenza dolorosa di un “angelo di vetro/ dentro un sudario bianco/ addormentato”: qui la tragicità della guerra non è solo quella delle bombe e delle distruzioni tipiche di ogni conflitto, ma anche dell’impossibilità comunicativa: la morte del bambino di colpo mette fine a quell’universo ludico e spensierato, formativo e arricchente nel quale la madre l’avrebbe di certo allevato.

Si parla dell’indigenza sociale ed esistenziale dei senzatetto che vivono nelle nostre città nella lirica di Rosa Manetta e del fenomeno desolante sempre più diffuso e difficile da colpire dello sfruttamento e mercificazione del sesso nella lirica di Annalisa Soddu che ci parla di una “Ragazza costretta a tendere la mano/ per una moneta, in cambio della vita”. C’è il fenomeno della criminalità organizzata, delle mafie che con le loro strutture ramificate s’innervano nel tessuto sociale dal quale si abbeverano di ricchezze con sistemi illegali e veri e propri spargimenti di sangue, di vendetta o di difesa all’onore: “la camorra uccide e questo l’abbiamo imparato” (Rolando Attanasio).

C’è il disturbo psichico, le manifestazioni di una psiche malata, le patologie, le forme gravi di ansia, le fobie e le vere e proprie crisi psichiche, le turbe nervose, le psicosi e tanto altro a dominare nell’esistenza individuale e a descrivere un diverso e difficile rapporto del singolo con l’ambiente. Un chiaro esempio è la lirica di Maria Ronca tutta incentrata sul “maledetto morbo/ [che] ruba l’allegria/ sottra[e] il dono della parola” di una persona sofferente di Alzheimer. Clara Raffele rimembra la vicenda del piccolo Loris, soffocato dalla giovanissima madre per un motivo che non è stato mai compreso, un motivo che comunque non può esistere né spiegare l’adozione di un comportamento tanto misero proprio su suo figlio con il quale ha seviziato la natura tutta e sadicamente ha “rubato le ali alle farfalle”.

È il mondo del disagio sensoriale, psichico, attitudinale, relazionale, sociale, sessuale a dover interessare maggiormente l’intera società affinché non si considerino certe persone come “figli di un dio minore” (cit. dall’omonimo testo di Mark Medoff), ma se ne faciliti in qualche maniera l’inserimento sociale mettendo al bando atteggiamenti lesivi, offensivi e di vera e propria emarginazione. Dora Farina ci parla nella fattispecie nelle sue poesie di due realtà importanti e diffuse: l’autolesionismo e il conseguente suicidio di una ragazza sottoposta a violenze psicologiche e della facilità con la quale spesso giudichiamo un pazzo da ciò che fa non conoscendo la sua storia: “Le critiche, la gente è quello specchio falso”. Si dà spazio anche alla mancata uguaglianza dei sessi in una società che, pur dicendosi emancipata e progressista, non ha mai risolto completamente il problema di un rapporto sghembo tra uomo e donna: “Finché il mondo/ non smetterà di trucidare,/ mie consorelle/ non ho nulla da celebrareannota perentoriamente Lilla Omobono disgustata dalle troppe vicende di violenza domestica e sessuale.

C’è l’insicurezza economica e la difficile proiezione di un futuro per i tanti giovani disoccupati e per le tante persone mature licenziate a casa della crisi, casseintegrate, ed esodati che spesso –la cronaca né da notizia- motivano scappatoie impulsive quali il suicidio, facile mezzo per annullare di colpo i debiti di un affitto piuttosto che ricorrere al servaggio di usurai senza dignità.

Graziella Cappelli

Una società “di avvoltoi” (Salvatore D’Aprano), ingabbiata in quegli “artigli degli uomini” (Graziella Cappelli) economicamente instabile, frenetica e consumistica dove tutto deve passare attraverso internet, i social perché solamente se la notizia si condivide e si diffonde ancor più sembra che essa sia realmente accaduta. Similmente alla smaniosa esigenza dei selfie per dimostrare che si è fatto, si è visto, si è stati in un posto, si era in compagnia di qualcuno, etc. perché se la manifestazione grafica di ciò che abbiamo fatto non è presente o non viene diffusa, di converso siamo latenti, assenti, o addirittura non esistiamo come ben osserva anche Francesco Paolo Catanzaro in relazione alle ondate migratorie: “Sono esodi contemporanei/ all’ombra del computer e dell’iphone”.

Parlare di poesia sociale è difficile ed impegnativo non solo perché essa può effettivamente contenere al suo interno tutto e il contrario di tutto, ma perché spesso l’uomo, travalicato da un odio lancinante che lo porta all’assunzione di atteggiamenti istintivi, finisce non di rado per rispondere alla sua insofferenza con l’adozione di strumenti sbagliati, che lo pongono così dalla parte del reato e al contempo le rivendicazioni passano in secondo piano. Per questo è anche vero che la poesia sociale ha necessariamente bisogno di autenticità ossia di uno spirito spontaneo e sincero, che sia portavoce di ideali ed esigenze realmente sentite e nutrite dalla propria condotta, che rivendichi e denunci la realtà con la forza del linguaggio e con manifestazioni concrete con le quali non si travalichi da ciò che è consentito.

La poesia sociale è carme civile, impegno di lotta, denuncia di ingiustizie, diapositive fastidiose, monito di ribellione, compartecipazione corale alle vere esigenze dell’uomo ma anche sdegno, feroce rabbia e odi intestini, acredini che si radicalizzano e che aprono a faziosità dove le ideologie, però, non dovrebbero macchiare l’arte più antica di sempre. Essa è una molotov incendiaria, ma anche un fiore al fucile, è una parola gridata o una frase sussurrata, è iconica e frugale, didascalica o irruenta, logica o vendicativa, impetuosa o conciliante, rabdomantica di quel senso civile che l’uomo ha perso. Essa è anche una lettera-condanna come nel caso della lirica di Lucia Manna, indirizzata a una casta allargata di politicanti rozzi e imprecisi, capaci di impiegare la retorica per celare crude realtà o una lettera-confessione, quasi una preghiera con la quale il pianto neppure riesce a sgorgare tanta è la paura e lo stordimento come nella “Lettera di un bambino siriano alla sua mamma” di Valentina Meloni egregiamente tradotta anche in inglese e che spero possa avere una più ampia circolazione sui mezzi di informazione e culturali in generale.

Annalisa Soddu

La poesia sociale ha bisogno, allora, di poeti non solo militanti (nel senso di attivi), compromessi in qualche modo con quello che accade nel mondo e da quello che si sentono offesi: non è una poesia di facile pianto o di sdolcinate commiserazioni che hanno senso sulla carta e non nella realtà. Questo tipo di propensione lirica è volta a far luce e denunciare, a dar voce direttamente agli oppressi e a coloro che vengono silenziati e che vivono nell’abuso e dunque a far prendere consapevolezza che attorno a noi esistono e persistono realtà indicibili e rabbrividenti solo al pensarci: il poeta che si assume questo impegno etico-civile perché confacente con un suo spirito connaturato all’investigazione del mondo deviato o silenziato è anche colui che porta a conoscenza di situazioni, realtà e mondi lontani e apparentemente ignoti come quando Valentina Meloni ci parla dell’ “olocausto silenzioso”, definizione che potremmo senz’altro rendere al plurale per riferirci a una serie di dinamiche stragiste in giro per il mondo.

Il poeta sociale, se è vero che una simile figura possa realmente definirsi ed esistere, è in primis una persona curiosa ed ha esigenza di sapere e comprendere la realtà dei fatti che lo circonda, per prenderne poi una posizione più o meno netta. Mi sento infine di dire che l’interesse sociale non è solo un impegno concreto che si arma del dialogo ma anche una vera e propria vocazione che non è di tutti. Dal mio punto di vista esso nasce da una commistione di elementi tra cui il rapporto intimo col sé, dal gradiente di emozionalità e dalla connaturata chiamata che si ha dinanzi a questioni che esulano dal nostro mondo privato, tesa ad accentuare la comprensione del senso di pluralità.

 

Written by Lorenzo Spurio 

 

3 pensieri su ““Poeti per il sociale”: l’antologia curata da Annalisa Soddu: la poesia civile è un atto di coscienza

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