Il Taccuino del giovane cinefilo presenta “Much Loved”, di Nabil Ayouch
Già al Festival di Cannes dello scorso maggio il regista francese Nabil Ayouch aveva condotto il suo pubblico per le contrade di Marrakech, nel cuore del suo paese d’ascendenza, destando critiche contrastanti.

La rilevanza maggiore è spettata, manco a dirlo, all’apparato censorio marocchino, più in generale islamico, che nella sua grave deficienza artistica continua ad arretrare di fronte ad un mondo culturale sempre più aperto alle diverse chiavi espressive.
“Much Loved” sarebbe secondo alcuni un film scandaloso, proibito, oltraggioso per la raccapricciante rappresentazione delle sudice attività perpetrate nottetempo dalle prostitute, tre delle quali (quattro verso l’ending) vengono poste al centro del soggetto.
Va detto che un numero sempre maggiore di regioni si è ormai abituato a simili visioni, tanto più che a tutt’oggi, nel 2015 d.C., mostrare realtà che contravvengano alla convenienza borghese è divenuta materia ordinaria.
Tuttavia, per quanto viga l’autorizzazione morale (in terra straniera) di raccontare di meretrici, trans, bambini mendicanti e poliziotti corrotti, Ayouch non sfrutta appieno le opportunità che gli si presentano.
Nella sua opera non v’è alcun personaggio con cui il pubblico riesca ad entrare in solida empatia, e non tanto per la totale assenza di figure positive (neppure il placido Saïd può essere preso a modello, vista la sua passiva accettazione del ruolo di accompagnatore); piuttosto, per il poco pronunciato sviluppo dalle tensioni narrative, che giunge ad un epilogo che soffoca le speranze di redenzione, senza peraltro aver accennato, se non in maniera sbozzata, comunque insufficiente, ad un reale desiderio di rinnovarsi, di contrapporsi ad un destino che viene assecondato in quanto ospitante una relativamente affidabile fonte di reddito, fama, piacere.

Il venir meno di condivisibili missioni etiche riduce il lungometraggio ad una non troppo vivace girandola di episodi erotici e di osteggiata convivenza fra le compagne, con basso continuo di volgarità, che raggiungono a tratti una grettezza (come nel ricorso ad un video pornografico per provocare l’eccitamento, vanificando le prestazioni di una delle ragazze) da cui sarebbe potuta scaturire una denuncia autenticamente coraggiosa e incisiva. La tentazione di riconoscere quindi la tendenza al voyeurismo è grande e sofferta.
Persino il titolo internazionale risulta improprio: queste donne non sono affatto “troppo amate”. Di tale sentimento non v’è proprio traccia. Ci si interessa anzitutto al godimento, al tornaconto personale, all’apparenza, all’inganno, alla vile sottomissione del sesso femminile (imposta, fra i tanti, dalle comunità di sauditi). E il dolore non sembra impossessarsi in maniera convincente degli animi di alcuno.
Una nota positiva: il corredo sonoro appare rispettabile, nell’alternanza di diversi e contrastanti stili musicali, tra i quali trova spazio con pertinenza anche un discreto Debussy.
Voto al film
Written by Raffaele Lazzaroni