“Seta” di Alessandro Baricco: a volte la felicità è più vicina di quanto si pensi
“Benché suo padre avesse immaginato per lui un brillante avvenire nell’esercito, Hervé Joncour aveva finito per guadagnarsi da vivere con un mestiere insolito, cui non era estraneo, per singolare ironia, un tratto a tal punto amabile da tradire una vaga intonazione femminile. Per vivere, Hervé Joncour comprava e vendeva bachi da seta”.
È il 1861 e ci troviamo nella Francia meridionale. Hervé Joncour ha 32 anni e, per vivere, vende e compra bachi da seta. È sposato con Hélène, una donna alta dalla voce melodiosa, non ha figli.
So che l’avete riconosciuta. È la trama di “Seta”, forse uno dei romanzi più famosi di Alessandro Baricco, pubblicato nel lontano 1996 dalla casa editrice Feltrinelli. L’edizione alla quale facciamo riferimento è del 2013, nella collana Universale economica.
Si tratta di un racconto breve, che non si può evitare di leggere tutto d’un fiato, perché le parole di Baricco, con le quali egli è solito “giocare”, si snodano concatenandosi l’una all’altra, e il lettore rimane rapito dalla poesia della storia, dalla musicalità della prosa.
“Questo non è un romanzo. E neppure un racconto. Questa è una storia. Inizia con un uomo che attraversa il mondo, e finisce con un lago che se ne sta lì, in una giornata di vento. L’uomo si chiama Hervé Joncour. Il lago non si sa”.
Joncour è un uomo mite, che in principio riesce a provvedere alla sua famiglia, e questo gli basta. Ma in seguito, le larve dei preziosi bachi, attraverso cui si produce la seta, si ammalano, e l’attività delle filande del piccolo paese di Lavilledieu sembra in serio pericolo. In aiuto della comunità interviene Baldabion, un avveduto commerciante, che, per ovviare a questa epidemia, suggerisce al protagonista di “aggirare” il problema recandosi direttamente in Giappone ad acquistare le uova.
Hervé Joncour intraprende così un viaggio infinito- a quei tempi raggiungere il Giappone era una vera e propria impresa- descritto dall’autore con metodicità ed ironia. A palazzo reale, lo accoglie un uomo enigmatico, il potente Hara Kei, che è sempre in compagnia di una giovane ragazza, dagli occhi che “non avevano un taglio orientale”. Fra i due scoppia un’attrazione immediata, ma del tutto platonica. Non si saprà mai il nome di questa ragazza dal volto di “ragazzina”, né mai Joncourt la sentirà parlare. A motivare la speranza in questa relazione, presente solo a livello mentale, è un piccolo biglietto che la ragazza gli fa avere: “Ritorna. O morirò”.
Seguono quindi altri viaggi in Giappone, ma l’attrazione fra i due si risolve in una segreta quanto impotente danza di sguardi. Joncourt si sente in colpa, quando è a casa con la moglie, e organizza con lei dei piacevoli periodi di villeggiatura. Ma non può fare a meno di desiderare la ragazza. Per questo parte, per quello che sarà l’ultimo viaggio in Giappone, sebbene ci sia la guerra civile, e trovi il palazzo di Hara Kei distrutto.
Una volta di ritorno in Francia, Joncourt decide di dedicarsi al progetto di un giardino che da tempo alberga nella sua mente, ma è sempre triste, malinconico, perché il commercio è terminato ed egli sa che non rivedrà più la ragazza.
Una lettera risolleva la sua vita. Finalmente la ragazza trova il coraggio di confessargli tutto l’amore che ha provato per lui e, nel farlo, gli dice addio. Joncourt, in fondo, è un uomo pragmatico, e può ritornare alla sua vita. La lettera gli permette di pensare alla ragazza come ad un racconto da condividere, e non come ad una storia che non si è mai concretizzata. Anche se Baricco, sul finale e a proposito proprio di questa missiva, ci riserva una sorpresa.
La figura di Hélène, la moglie, che l’autore mette un po’ in secondo piano, in realtà si rivelerà un personaggio chiave. “Un personaggio bello”, come direbbe Baricco. “Diversa, di un nulla” sempre per citare l’autore.
Sarà proprio Hélène, infatti, ad insegnare a Hervé Joncour il significato della parola “amore”.
Strano, vero? In fondo non occorreva andare così lontano.
È solo che spesso ricerchiamo la felicità lontano da noi, e non ci accorgiamo che invece essa è lì, ad un passo. Oppure ce ne rendiamo conto quando ormai è troppo tardi, come è successo a Hervé Joncour, che in quest’opera rappresenta l’essere umano, sempre attratto da quello che non può possedere.
Written by Cristina Biolcati
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