“Parole a mezza voce nella sera”, silloge di Ilaria Celestini: inno elevato alla vita ed all’Amore absolutus
Eccoci arrivati alla seconda recensione della poetessa Ilaria Celestini, donna colta e dal profondo sentire, quale si riflette nelle sue poesie.
Se nell’ultima silloge pubblicata, “Memorie Intrusive“, che ho già recensito, la poesia si fa denuncia sociale dell’infame violenza dell’uomo sul corpo femminile, che perde dignità e certezze e vaga con la sua anima ferita, continuamente in balia di una memoria intrusiva, in un procedimento irreversibile, in “Parole a mezza voce nella sera”, assistiamo a versi rarefatti, come la luce che promana dalla contemplazione di quel mistero che è la vita.
La poesia è costituita per l’appunto di “parole a mezza voce”, parole sussurrate all’orecchio del proprio amore e, più in generale, di chi si piega ad ascoltare la parola poetica che non grida, come quella del vate-tribuno, ma penetra sottilmente e delicatamente nel mistero dell’Universo di cui gli amanti sono frammenti.
Un poesia simbolica dunque, in questo senso pascoliana e montaliana, a bassa voce, come ad ammonire circa la fragilità dell’essere umano, che si rivela specie la sera, quando tutto tace, e si rende possibile l’incontro con l’altro, l’oggetto dell’amore, in un colloquio che scava dentro fino a trovare nell’altro una parte di sé. Mentre un’altra sempre sfugge, perché ciascuno è comunque chiuso nel suo mondo non del tutto penetrabile, nemmeno la sera che è poi metafora dell’anima della Poetessa, simbolo del suo universo interiore, che si espande fino ad inglobare ogni frammento, sì da sentirsi parte del Tutto/Uno infinito.
Si percepisce allora una visione olistica dell’uomo, particella sensibile del mondo, parte dell’anima mundi, “animula vagula blandula” che si scopre a se stessa e si rivela nel confronto con l’altro in una ricerca, che mi pare filosofica, spinta dalla consapevolezza del mistero nel quale siamo chiusi anche nel momento di massima espansione, la sera appunto, che ci ricollega alla nostra anima che si specchia nell’universo tutto.
La percezione della sera come momento di espansione dell’anima è una metafora originale della Poetessa, se pensiamo che spesso questa viene vista come momento di ripiegamento e riflessione sul “reo tempo” che tutto travolge, sera vista come annullamento che richiama alla morte (Foscolo docet). Forse una qualche somiglianza si può cogliere con la poetica pascoliana, dove la sera è il palcoscenico in cui si muovono furtivi gli innamorati (Il gelsomino notturno) ,che si aprono per un poco al mistero della Natura tutta, simbolicamente rappresentata. Ma nella poesia di Ilaria, gli amanti si parlano, si cercano, si trovano e si perdono, lucrezianamente consapevoli dell’impermeabilità dei corpi, che restano autonomi e divisi anche nell’amplesso più intimo, perché ciascuno, pur nell’espansione dell’anima, conserva una parte di mistero, a lui stesso segreto.
Qui la poetessa tradisce tutta la sua formazione classica, che mi aggrada non poco perché è anche la mia, per cui mi sento in perfetta sintonia animica quando riflette sulla verità di ciascuno che resta nascosta, seconda la greca percezione. Verità infatti in greco si dice àletheia, che ha la radice di lanthàno ( io resto nascosto), quindi la verità per definizione si nasconde e sta al poeta e al filosofo portarla alla luce, almeno in parte ( si pensi all’arte maieutica socratica, che era parto faticoso della verità).
Una verità scovata, inseguita e parzialmente trovata dentro le parole scavate a mezza voce, lì dove affonda il Mistero: ” … Dove si cela/ciò che non è tuo/né mio/ma appartiene al Mistero”. E la poesia si fa metafisica ansia di ricerca di Dio: ”Dio come vorrei/poter penetrare/oltre la barriera muta/del tuo sguardo”. L’uomo nella poesia ritrova la sua finitezza dinanzi il Mistero, quella finitezza che è strutturale dell’esistenza, all’interno della quale trova lo slancio vitale che la spinge verso Dio, l’infinito, impenetrabile per l’uomo.
La poesia di Ilaria è inno elevato alla vita e celebrazione dell’Amore absolutus, sciolto dalle convenzioni sociali, goduto nella sua pienezza con tutto l’impulso della passione: “Vivo nel tuo volermi/e senza remore/consapevole ti voglio. ”L’amore è latinamente vita esso stesso, è a-morte, ci tiene lontani dallo morte e ci dà la vita, se vissuto senza limiti e confini con la “consapevole” certezza di una volontà che cerca e scalpita per l’oggetto concupito, in cui rispecchiarsi per un attimo eterno. Sento sottesa a queste parole tutta la riflessione greca sull’amore, come specchio per gli amanti (Il Fedro platonico docet) così come in saggistica è stato mirabilmente rievocato dal filosofo U. Galimberti nel saggio Le cose dell’amore.
È questo col suo mistero che ci rende ancora consapevoli del nostro destino di morte e tale consapevolezza ci spinge al pensiero dell’ulteriorità (Dio, appunto), nella quale fondersi in un Deus sive Natura: ” … con te mi faccio onda/che anela a frangersi e si fonde col tutto”. Come non pensare al Siddharta di Herman Hesse al suo der dasein, alla ricerca di un amore puro in fusione col Tutto, in una dimensione panica. Ma, mentre per Hesse questa fusione è possibile e coinvolge a 360 gradi, per Ilaria questa fusione è un attimo di incantesimo per poi ritornare alla realtà complessa e non totalmente decifrabile del singolo. Certamente, perché Ilaria è figlia della filosofia dell’Occidente, nonostante io intraveda aperture verso l’Oriente del Buddhista e dei testi sacri dei Vedanda, in un pregevole sincretismo religioso. La formazione classica si fa esplicita: ”Il desiderio di te/è forte come/ il vento che percuote/le cime dei monti”, qui si sente tutto il richiamo a Saffo, poetessa dell’amore colto nel suo impulso sconvolgente.
Continuerei ad libitum, tale è la sintonia che avverto con questa silloge, se non avessi limiti di spazio da rispettare; ma se la mia penna si ferma, aperta rimane l’anima a rileggere questa silloge poliedrica che sa di amore e di vita colta alla fonte del vitalismo di una poetessa che stupisce per la leggerezza e la raffinatezza di parole pronunciate con dolcezza in punta di piedi.
Un libro senz’altro da assaporare e interiorizzare.
Written by Giovanna Albi