“Avevi piccole mani”, libro di Il Reverendo Stone – prefazione di Marzia Carocci
La poesia: cosa è se non un parto dell’anima , un rigurgito emotivo di sensazioni, l’essenza di una meditazione in movimento , l’attenta osservazione che diventa verso scritto?
Da sempre lo scrivere poesia è erroneamente messo in simbiosi con l’essere sensibile, emotivo, onesto, buono, rispettoso ecc. Niente di più sbagliato.
Il poeta è l’attento osservatore del mondo circostante, un motore del pensiero in continua ricerca di ciò che spesso l’essere comune non vede , un occhio che scruta il proprio mondo introspettivo nel dualismo fra l’ego interiore che spesso è conflittuale con l’io dimostrante, vuoi per cultura, per le catene mentali che spesso il vivere odierno ci obbliga, la poesia non è mai finzione.
Il Reverendo Stone, non si ferma alla sola osservazione, egli, infatti, attraverso una scrittura mai obsoleta e lontano da quella retorica che spesso rende la poesia una sorta di cartolina inanimata, ci porta alla scoperta del quotidiano vivere dove non esistono solo sogni e realtà illusorie, ma storie e situazioni che sanno di vero, di crudo, di infame.
Egli ci mette di fronte una società, dove il potente schiaccia il debole, dove il giudizio sulla politica, sulla religione, preclude una libertà, fisica e mentale dove la violenza coabita con il quotidiano.
Le parole del Reverendo Stone diventano ora soffuse, urlanti, poi vomitate, arrabbiate, moniti al vivere obbligato in una sorta di disegno creato per piegare l’uomo e la propria indipendenza. E chi può essere più libero di un poeta che attraverso la parola è in grado di rivoluzionare il pensiero statico e amorfo di un’umanità sorda e indifferente?
Chi ha la capacità attraverso l’emozione scritta con coerenza, smuovere l’intorpidimento e l’assuefazione all’ubbidire se non il poeta stesso? Il nostro autore riesce a raggiungere il pensiero del lettore perché egli non finge, egli addita all’indifferenza, al dolore, alla rabbia, al prevaricare, allo sfruttamento e alle deviazioni mentali e non solo, di certi ambienti dove spesso non è tutto oro quello che luccica.
Il Reverendo Stone, ci propone un nuovo modo di fare poesia, egli va oltre la fredda riflessione, lui esalta il fatto, lo smembra, lo apre lo analizza e con grande capacità espositiva lo fa riaffiorare con tutti i riflessi e scatti di immagini nel quale il lettore vedrà quelle verità che spesso sono occultate da quelle distrazioni che ci rendono automi di un sistema precostruito e obbligato in una sorta di falsa democrazia.
Da “OREMUS”
“A tratti/ Fa venire voglia di strapparsi la faccia/ Infilarsi le dita dolorose dentro agli occhi/ Ubriacarsi di malsano sangue sgorgante/ Diventare proprio come Loro.// Come Loro ci vogliono”
Ed è in quella rabbia, che rasenta quasi una rassegnazione quando l’uomo spesso si sente piegato dalla propria volontà, sfruttato violentato nel pensiero, nel movimento, nella scelta, che molti, si arrendono al sistema.
Spero che il monito, l’urlo che si ode fra le righe, la provocazione verbale per una rivoluzione psicologica dell’uomo che sprigionano dalla poesia del Reverendo Stone, servano se non altro a fare pensare per non perdere quel senso di libertà e di dignità che è, e deve rimanere nell’essere umano.
Alla sua voce mi aggiungo.
Written by Marzia Carocci