Intervista di Giuseppe Giulio a Dina Bova: da Israele una donna che osa con l’arte e scherza con il destino
Un giorno migliore e un’ alba di color rosso acceso fanno da colonna sonora all’inizio di una nuova avventura e di un inedito incontro nella città santa, Gerusalemme. La giornata inizia proprio con un soffio di vento estivo, che spazza via dal piccolo terrazzo, petali di fiori color arancio e giallo, sfumature che ricordano la protagonista che mi ha condotto in questa città straordinaria e allo stesso tempo maledetta dal destino atroce dell’uomo.
Un luogo incantato dalla fede e dai posti in cui Gesù ha lasciato le sue impronte di messia e oggi coperto dal la bellezza unica e rara della terra israeliana.
Gerusalemme è una città ricchissima di storia e allo stesso tempo di grandi artisti, capaci oggi di intravedere un mondo e una realtà parallela alle odierne devastazioni socioeconomiche e politiche a livello globale e nazionale. Tra questi artisti c’è una donna, nata a Mosca nel 1977 ma israeliana nel cuore, e nello spirito, una terra che ha letteralmente stregato la sua indole di artista e di innovatrice, grazie anche alla diversità, al temperamento e alle bellezze della terra israeliana. Una donna che confida nel’ arte e nella sua forza comunicatrice, uno strumento che lei stessa definisce “universale e di unione come dire cuore a cuore”.
Mancano pochi minuti al mio incontro con questa straordinaria artista, le strade della vecchia Gerusalemme sono incantevoli e ricche di varie tinte, ci sono donne con il Chador e altre vestite con dei tipici vestiti occidentali, anche i commercianti sono diversi, vendono oggetti di vario genere e di diversa provenienza, ma la cosa più affascinante della vecchia città e di una delle sue principali strade, l’ Aqbat e Saraya che riesci a vivere contemporaneamente la dolce e la soave fusione tra occidente e oriente e come, due distinte realtà, si uniscano all’antico profumo di storia che traspare dalle sue mura.
Ci siamo, the Western Wall, in arabo حائط البراق , in ebraico הַכֹּתֶל הַמַּעֲרָבִ è il più noto santuario giudaico di Gerusalemme, in un luogo che unisce ben tre diverse religioni: Giudaismo; Cristiana ed infine Ebraica. Ed è proprio da qui che la mia nuova avventura avrà inizio, con una donna israeliana, Dina Bova, capace di toccare con un solo dito, il cuore del mondo.
G.G.: “Fine Art” è un idea artistica geniale e innovativa, ma soprattutto unica nel suo genere, anche perché unisce per la prima volta arte e fotografia, ma perché questo nome?
Dina Bova: Ho iniziato come fotografo classica durante i miei viaggi in giro per il mondo con uno zaino. Nelle mie prime fotografie ho cercato di “sequestrare e congelare l’attimo” e documentare il mondo circostante.
G.G.: Che cosa significa per te?
Dina Bova: Ma mi sentivo troppo limitata nella fotografia classica. Non ho più voluto “cogliere l’attimo”. Volevo esporre il mio mondo interiore, i miei pensieri, sentimenti e sogni, la fotografia in modo classico non era più sufficiente per me. Così ho iniziato a creare il mio mondo con la macchina fotografica digitale e un computer. L’ Arte per me – è un modo per esprimere i miei sentimenti. Credo che l’arte sia qualcosa che fa appello ai nostri sensi e alle emozioni, e non al nostro intelletto e istinto.
G.G.: “Mythology of Orphaned Land: Conceptual series“: è una raccolta di pensieri filosofici e mitologici ispirati da origini bibliche ed etniche. Potresti spiegarci meglio questa incredibile collezione artistica?
Dina Bova: “Mitologia di Orphaned Land” è una serie di opere, che da un lato si ispira alla musica e a dei personaggi personali dei membri della band metal “Orphaned Land”. D’altra parte, noi -. Questi musicisti e vivo sulla terra della Bibbia. Quindi la Bibbia era certamente una fonte di ispirazione per questa serie. Ma anche in queste opere cerco di parlare delle cose che sono importanti per me oggi.
Ad esempio, l’opera “Quaere Veritatem” (dal latino: “Alla ricerca della Verità”) è una parabola sulla cecità spirituale.
Qualcuno è accecato dalla propaganda o la pubblicità, qualcuno – dal suo ego, qualcuno – dalla sete di potere, l’invidia e l’odio. Ma credo che siamo ancora in grado di vedere la luce … mi piace la pittura di Pieter Bruegel “cieco che guida il cieco”, ma nel mio lavoro, ho voluto raccontare una storia diversa.
G.G.: Gerusalemme è una delle città più belle e misteriose, che abbia mai visto, le sue strade sono ricche di colori e sfumature degne di un luogo pieno di storia e di vita. Mentre Dina è alle prese con il suo Caffè la luce della vecchia chiesa, Holy Sepulchre si fa sempre più vicina, uno dei posti più mistici al mondo è quasi davanti ai nostri occhi, e sarà da qui, che scoprirò il lato umano e divino della nostra ospite israeliana. Dina, sei nata nella città di Mosca, ma sei già da molti anni cittadina israeliana, direi una terra più che straordinaria, sfarzosa, dotata di un patrimonio storico e umano inestimabile. Che Cosa ha donato, questa terra alla tua vita e soprattutto alla tua professione?
Dina Bova: Sono nata a Mosca. Amo le avanguardie russe arte del 20esimo secolo. Ma sono cresciuta e vissuta in Israele ed i miei sentimenti di gioia, la tristezza e le preoccupazioni sono fortemente associati con questo paese.
Ci sono molte cose sorprendenti in Israele. E ‘incredibile, per esempio, che oggi si parla nella lingua della Bibbia, che è più di cinque mila anni?
Questa terra ha la sua energia speciale e una storia, avvolta nel mistero. E ‘impossibile non essere ispirati da essa. Allo stesso tempo, questo paese è molto moderno, dinamico ed è anche molto caro.
G.G.: Documentary Art” è come se fosse uno specchio su una magica realtà In particolare “Children’s World” è uno strumento fotografico, da te creato, che aiuta noi, osservatori esterni a capire quanto la vita sia speciale, e abbondante. Credi che la fotografia possa migliorare, o comunque aiutare le organizzazioni internazionali, attive nel campo della cooperazione e dello sviluppo?
Dina Bova: Sono contenta che ti piace “mondo dei bambini” la mia serie. Mi piace guardare queste opere e tuffarsi in un mondo fragile e delicato dei bambini.
L’arte è è sempre uno specchio dell’anima e può contribuire alla comprensione reciproca tra le persone. Fotografia documentaria – è anche uno specchio. Ma questo specchio riflette solo ciò che il fotografo vuole. Pertanto, “documentario” non significa “vero”. E se il fotografo ha una scheggia in un occhio, come il Kai Andersen fata “Snow queen” racconta, allora il mondo nel suo obiettivo è distorto e brutto. Alcuni fotografi concentrano, spesso, la loro attenzione sui luoghi comuni visivi e impressionanti. Tale fotografo non sta mentendo, ma mostra solo la verità una parte, che egli vuole mostrare. È per questo che a volte lo “specchio” è spesso storto.
Purtroppo, vedo molto poco di costruttivo e positivo nella fotografia documentaria di oggi, e questo mi rattrista molto.
G.G.: Dopo questo breve viaggio interiore, nel cuore e nell’animo di una donna che cresce insieme al mondo, ci dirigiamo verso il quartiere Armenian. Uno dei luoghi più antichi e spettacolari della vecchia città, in cui le annose mura giallastre si confondono, con l’arancione del tramonto israeliano. Un attimo di quiete, e il vento caldo di fine estate, rimbalza, sterminando quell’attimo di serenità, proprio quando una donna coperta di un manto nero, passa davanti ai nostri occhi. Una donna vestita del suo solo Niqab, un velo nero che compre tutto il corpo, con una piccola fessura, in prossimità degli occhi, anch’essi neri, proprio come il manto che indossava. Sai Dina, quella donna, mi fa pensare al tuo “Black and White” un altro specchio fotografico sul mondo, ma questa volta con uno stile del tutto innovativo e sempre ben accetto. Il tuo viso e la tua anima sono bianche e nere oppure colorate?
Dina Bova: A volte, al fine di esprimere un emozione – due colori sono abbastanza, ma a volte un sacco di colori sono necessari. La mia anima, così come l’anima di qualsiasi altra persona, è troppo complessa e sfaccettata dai essere in bianco e nero. Il mio atteggiamento nei confronti delle qualità umane, come la meschinità, l’ipocrisia o indifferenza – è molto severa, quindi si può chiamare un bianco e nero.
Un viaggio, nel ricordo si trasforma in qualcosa di meraviglioso. La vita di Dina Bova è un viaggio, e come tutti i viaggi, si compone di ricordi e di volti, che lei stessa ha immortalato nelle sue opere, in cui l’artista raccoglie preziosi frammenti di memoria storica, religiosa ed umana, portandoci lontani dal mondo e dal tempo. Dalle sue parole, Dina Bova ci invita a riappropriarci della nostra vita e di non aver timore, di osare. Una donna, una israeliana che racconta di un viaggio in cui l’unico riflesso è la nostra vita e su chi siamo in realtà. Questo è ciò che vedo lasciando Dina Bova nella chiesa di Cristo, una donna chiamata vita…