“L’opposta riva” di Fabiano Alborghetti – recensione di Rita Pacilio

L’opposta riva“. Alborghetti si integra, si mescola, condivide con il corpo e con la mente, il confine fisico e culturale del raccontare, dell’insegnare e del dolore di comunità di uomini in arrivo e in sosta nel nostro Paese.

 

… ‘Qui si resta. Ognuno un posto a pagamento ma per quanto non so dire ripeteva….

Sul luogo dei confini è capace di confrontarsi e di fotografare i movimenti, i pensieri, i dolori degli altri da sé, con uno stile raffinato e singolare, coraggiosamente privo degli schemi tradizionali del fare poesia. Si pone dinanzi al lettore la storia tormentata di anime che lasciano terre e affetti in cerca di sopravvivenza, che partono, che arrivano, che non arriveranno mai, che non tornano.

… ‘Non rimane niente altro che la cancellazione ripeteva un dirsi presenti anche senza il luogo….’

Anime in continua ricerca della propria identità intrappolata in un sé sociale che tende ad impedire il riconoscimento del sé profondo

‘Alla conta venne meno la misura non prima non in moltitudine ma uno ad uno sparivano lasciando il quesito al posto, il vuoto….’

… ‘Prendere o lasciare mi dicevano: a lungo andare il documento arriva….’

Anime vive e in combattimento che negoziano con se stessi la pace e il senso della vita per riuscire a riconoscersi reciprocamente nel cosa c’è dopo.

Immagini nitide delle condizioni dell’estremo pericolo

‘…Eppure rimaneva simile la vastità alla quiete conosciuta: non vedere è l’abiura diceva, ignorare i randagi armati abbattere chi non cambiava pelle o terra e rifare altre rovine dopo la cenere…’

e dell’insopprimibile pulsione della violazione del non dire,

‘…varcando il silenzio col baccano alcuni e le frontiere in fila gli altri…’

Del silenzio nella condanna dell’udire il suono del mare, amico/carnefice.

‘anche affondare è finire più in alto del fondo…’

Il mare che non sente niente di quello che i clandestini ascoltano e che ascolta ciò che le anime non riescono a sentire

 ‘Da una riva all’altra separa solo la paura dell’inizio una mancanza di traccia: cosa lascio indietro se vado diceva che memoria trovo?…

È difficile mettersi in contatto anche solo per un momento con quell’essenza delle cose, quelle verità di cui l’Autore ha sentito il reale vigore, l’autentica energia come segno di un prospettiva culturale ambiziosa. Non c’è bisogno di andare lontano per stupirsi; è solo questione di prospettiva e di come guardiamo le cose! Alborghetti non permette la nostra assuefazione, non lascia che si intacchi, con quello che siamo, con la nostra cultura ed educazione, il rapporto profondo di reciprocità con le cose viste, vissute

 ‘Come a nascondere le mani dopo il fatto/così celo la mia origine: non puoi capire mi dice/la paura di perdere ancora ma tu del luogo comune/ dell’essere colpito difendi il confine immediato…’

Ci insegna a coltivare una disponibilità all’attenzione verso tutto quanto ci circonda mettendo tra parentesi il nostro giudizio, la nostra cultura, la nostra esperienza.

 ‘Altro non ricordo ripeteva/ per avere le parole: dammi altro che il denaro dammi un senso’

Così si rinasce. Così il gioco dei ruoli. Così l’incertezza che avanza comunque

 ‘Noi viviamo uguale/ dico: così alternati tra costanza e sottrazione…’

Poesia che commuove, incanta, trascina. Cambia l’umore, spinge al movimento del fare, del modificare le cose. Pulsa nelle vene il dilaniare dell’impotenza

’Reclamare il diritto con la voce ho imparato sfinisce uguale/ ma con meno impotenza’

Come la fluidità di un’onda che muove e risuona nel nostro intimo.

Agli occhi balzano scene come da telegiornale senza subire alcuna censura psicologica, con la capacità di suscitare emozioni durature

 ‘Lunghissima l’onda ma non abbastanza/ per il battello: attorno un rischio di secca/ la vedetta a terra o in mare. Sbarca dicono, alzati/ e cammina. Così il balzo l’affondo nell’acqua/ l’impresa del guado, di sopravvivere l’entroterra./ Ombra ad ombra allontano oltre gli estremi/ della rena e il giusto verso distanzia il fiato al passo.’

Alborghetti non ci priva di ‘sentire’ con i sensi della distanza (la vista e l’udito) e con quelli del contatto (il gusto e il tatto) il fondo della corporeità dei suoni come a voler scoprire con Claude Lèvi-Strauss, dall’esterno, quali siano le relazioni che intercorrono tra i fenomeni socioculturali e lo spirito umano inconscio che a tutte le latitudini viene accompagnato da miti-guida

‘qui invece la voce vive ancora nella stiva/ e quando suona, suona sempre clandestina.’

Sentire l’odore del sesso o dei corpi o dei resti e di quello che era è il cammino più breve che l’autore ci insegna

 ‘Non guardarmi allora mentre prendo/ il finto amore e mi sfogo: non sentire il rantolo morente/ di chi spruzza verso il niente. Cosa penso mentre spingo è/ da non dire, una vergogna più del gesto il mio negare.’

Resta al lettore annusarne l’atmosfera, il senso delle interruzioni dell’io di tutti coloro che sempre e ancora ambiscono…

… ‘tutto appeso ad un filo ripeteva, il sollievo che risana quanto il fondo’

…l’opposta riva.

 

Written by Rita Pacilio

 

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