“La grammatica di Dio” di Stefano Benni – recensione di Fiorella Carcereri
Stefano Benni è nato a Bologna nel 1947. Autore molto prolifico, scrive in particolare di satira, fantapolitica e costume. Tra i libri più famosi pubblicati con Feltrinelli: “La Compagnia dei Celestini” (1992), “L’ultima lacrima” (1994), “Bar Sport” (1997), “Saltatempo” (2001), “Margherita Dolcevita” (2005), “Pane e tempesta” (2009).
La raccolta di racconti “La grammatica di Dio – Storie di solitudine e allegria”, pubblicata da Feltrinelli nel 2007”, è molto più di un libro. È un’enciclopedia di personaggi che va ben oltre la lettera zeta, è il “libro del mondo”, come lo definisce Stefano Benni.
Spaziando a trecentosessanta gradi nell’universo infinito delle emozioni umane, l’autore ci regala una vera e propria galleria antropologica: dal vedovo suicida con cane al seguito, all’asociale che sfoga la propria rabbia con atti vandalici e molestie, allo studente modello divenuto truffatore per vendicarsi del destino, al camionista abbandonato dalla moglie perché russa troppo forte, al nonno “Gianburrasca”, al terrorista insospettabile fino al ladro gentiluomo, di cui Benni ci regala una piccola, deliziosa autobiografia.
“Mi piaceva pensare che non ero un ladro, ma un abitante nottambulo che non voleva svegliare i genitori, la moglie, i fratelli.
E tutto ciò che vedevo nella penombra notturna mi faceva pensare alla loro vita di giorno”.
Toccante è, infine, la figura di Frate Zitto che, ad un certo punto della sua vita, decide di non parlare più limitandosi a scrivere su di un foglio “sine verbis vivam” perché ‘ l’universo si manifesta senza parole ’.
E nel vuoto lasciato dalla propria rinuncia, aspetta di vedere Dio.
“Nella varietà meravigliosa delle erbe, negli odori della terra bagnata o smossa, nella vita sotterranea di topi e insetti, vedevo parole e grammatiche nascoste, simili a ciò che cercavo. Dico simili, badate, perché non posso negare che dopo i primi anni di silenzio crebbe in me una strana inquietudine.
Era come se aspettassi davvero di vedere Dio. Di vederlo apparire, nello spazio vuoto lasciato dalla mia rinuncia. E questa sì, era superbia. In certe mattine di brina, nell’erba ondulata dal vento, nell’abisso del pozzo che rifletteva il sole, cominciai a guardare fisso, in attesa.
Era una nuova sofferenza. Era ancora una volta la ricerca di qualcosa, preciso e ostacolante come la parola. Non esisteva esercizio, mortificazione o preghiera contro questo desiderio. Semplicemente, di anno in anno si attenuò. Finché lo ritenni spento. Volevo vedere Dio, ma ero pronto a non vederlo mai”.
Come in tutte le opere di Benni, ogni racconto brilla di luce propria, indipendentemente dal contesto in cui è inserito. Le storie, nel loro insieme, costituiscono un diadema prezioso uscito dalla penna di questo prolifico e imprevedibile autore bolognese.
Temi di fondo sono l’isolamento e la solitudine a cui i personaggi reagiscono nei modi più diversi: con un gesto tragico, con un reato, con la violenza gratuita, con la bizzarria, con un’amara risata.
All’interno di questa galleria antropologica ciascun lettore potrà ritrovare, tra l’indignazione, l’indulgenza, la codardia, la rassegnazione e tanti, tanti sorrisi dal sapore amaro, una caratteristica che sentirà appartenergli nel profondo ed emozioni che avrà sicuramente vissuto sulla propria pelle più di una volta, senza aver mai osato confessarle.
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Written by Fiorella Carcereri
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