“A.C.A.B.” di Stefano Sollima – recensione di Raffaello Scolamacchia

Questo é A.C.A.B., Benvenuti all’inferno.

Potrebbe cominciare così il primo lungometraggio di Stefano Sollima, e non ci sarebbe nulla da obiettare.

Lo spettatore assiste inerme al dipanarsi lento e inesorabile di una violenza senza freni, un filo rosso sangue che lega insieme le frange più estreme del tifo da stadio e lo spirito squadrista che condraddistingue e corrompe da sempre una parte delle forze dell’ordine in Italia. Si, perché tutto si svolge nel Belpaese, ed é tutto vero: G8 di Genova e omicidio Giuliani; omicidio Raciti; omicidio Sandri.

Sono le tappe da girone infernale della nostra storia più recente, che ritornano alla memoria attraverso il televisore acceso nello spaccio di una caserma del reparto celere di Roma, già al centro dell’omonimo romanzo di Carlo Bonini, edito da Einaudi.

La sceneggiatura (a sei mani) riesce ad amalgamare i differenti sguardi e a calarli nella realtà vivida di un gruppo di celerini di lungo corso : Cobra, Mazinga, Negro, ai quali si aggiunge la recluta Adriano.

Il pregio di questo film é proprio il punto di vista inedito : quello della squadra. Il regista, d’altronde, si é ritagliato uno spazio di rilievo nel filone ‘poliziottesco’ (suo padre Sergio é stato uno dei precursori del genere) e ha firmato una serie di episodi per la televisione dai titoli inequivocabili : ‘La squadra’ 2003-2007 e ‘Romanzo criminale’ 2008-2010.

Lo stile televisivo é evidente nella regia di Sollima: panoramiche ‘a schiaffo’, macchina a mano ai limiti del tremolante, cambi di fuoco veloci e dettagli insistiti.

Il tutto é peró funzionale all’obiettivo di portare lo spettatore a fianco dei ‘bravi ragazzi’ della celere e fargli sentire sul collo il miasma della violenza pura e senza fronzoli.

Anche la luce plumbea della fotografia di Paolo Carnera ben si  sposa col blu delle divise di questi paladini di una giustizia fatta da sé, e quindi impossibile.

Questo ci porta alla riflessione finale : il racconto per immagini e sequenze é abbastanza spoglio e crudo da metterci davanti agli occhi quella realtà che avevamo finora ignorato.

Alcune soluzioni narrative appaiono peró eccessivamente macchinose e ridondanti nel finale, quando il personaggio di Adriano getta la maschera da giovane recluta per vestire quelli del testimone dell’ingiustizia e quindi del paladino del (buon) senso comune. Anche i riferimenti appena accennati alla mattanza della scuola Diaz appaiono fuori luogo.

Ci resta negli occhi e nelle orecchie il personaggio di Cobra, interpretato da Pierfrancesco Favino, magnifico esemplare di uomo comune, vittima-carnefice per conto di un sistema troppo più grande di lui, fatto di uomini infinitamente più piccoli.

Una nota di merito va alle musiche, originali (Mokadelic) e non originali (Clash, Pixies e Joy Division tra gli altri). Se le prime concorrono a far salire la tensione di alcune sequenze, le altre sublimano scene di violenza inaudita in una dimensione quasi trascendente.

Written by Raffaello Scolamacchia

 

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