“Per voce sola” di Susanna Tamaro – recensione di Fiorella Carcereri
Susanna Tamaro è nata a Trieste nel 1957 e vive a Orvieto. Esordisce nel 1989 con il romanzo “La testa fra le nuvole” cui seguono, nel 1994, la raccolta di racconti “Per voce sola” e lo straordinario successo mondiale ottenuto con “Va’ dove ti porta il cuore”, da cui è stato tratto l’omonimo film di Cristina Comencini.
Nel 1997 pubblica “Anima Mundi” e “Cara Mathilda”, una raccolta di lettere e riflessioni pubblicate per un anno su “Famiglia cristiana”.
La raccolta di racconti “Per voce sola” esce nel 1994 con Baldini & Castoldi.
Cinque storie commoventi che parlano di paura, crudeltà, solitudine. Cinque personaggi deboli, indifesi, incapaci di ribellarsi quando la vita sembra accanirsi contro di loro con violenza inaudita.
“Dicono che gli orchi non esistono più, invece gli orchi esistono ancora. Il mio papà di giorno è un avvocato e di notte un orco. Quando dormo e ho paura che la porta si apra, mi stringo a Teddy. Teddy è il mio orsacchiotto, siamo amici da sempre. Lui sembra di stoffa e invece se dico la parola giusta e lo bacio sul cuore lui diventa vivo e più forte di qualsiasi cosa. Ogni sera Teddy mi promette che se viene l’orco mi difenderà. Ogni mattina io gli prometto che quando saremo grandi scapperemo insieme. Andremo su e giù per i boschi a cercare le more più dolci e il miele dove intingere le zampe. Saremo felici, allora, come in tutte le storie che finiscono bene”. Così scrive nel diario la figlia adottiva di un padre padrone, insofferente e anaffettivo, che sa solo maltrattarla e umiliarla.
Stesso destino, seppur con modalità diverse, per una giovane zingara sedotta e abbandonata da un uomo sposato e senza scrupoli. Gli aveva suonato il campanello una sera e aveva sentito la voce di un bambino, poi di una donna poi quella del suo aguzzino mentre diceva: “Non aprire! A quest’ora sono solo gli zingari o i testimoni di Geova”.
Lo stesso disprezzo, la stessa mancanza totale di amore possono trasformare un ragazzino sereno e mansueto in un serial killer. “Ho vagato per la città per un settimana intera…Non ero io a muovermi, ma il pilota automatico, la belva con le viscere esplose. In quei giorni ho colpito quattro volte”.
L’autrice ci fa poi toccare con mano la straziante solitudine di una donna comune, fragile, tradita da un amore sbagliato, colpita in età avanzata da un male incurabile e privata dell’unica fonte di felicità, un figlio che non l’ha mai conosciuta, che così si rivolge col pensiero al figlio: “Forse avrai immaginato per la tua vera madre un passato avventuroso… Ti deluderà sapere che tua madre fa parte della folla banale, è una di quelle signore con il tailleur sempre a posto e dalla schiena dritta che incontri per la strada o sull’autobus”.
La raccolta della Tamaro si chiude con la storia di un’anziana ebrea sfuggita al campo di sterminio ma distrutta dal rimpianto per ciò che la vita le ha sottratto. “La vita è una tragedia che comincia dall’inizio. Raccontare è fiato sprecato, tutti sbagliano e poi da vecchi capiscono…L’esperienza non è niente, si rifà sempre tutto daccapo”.
L’autrice punta i riflettori su quelli che sono i sentimenti meno nobili e più dolorosi dell’animo umano e lo fa con un linguaggio aperto, onesto, diretto. C’è spazio per la commozione, di cui troppo spesso, a torto, ci si vergogna.
Written by Fiorella Carcereri
Quanti orchi! Il mondo del fanciullo, attualmente, è invaso da tanti orchi. Quando questi feroci essere umani si hanno fra le mura domestiche, il dramma diviene evidente. La bimba che si aggrappa al suo orsacchiotto di stoffa, per ricercare la sicurezza, la bontà, il calore, che non trova nel padre, fa molto meditare. Un semplice orsacchiotto di stoffa, diventa il rassicurante simbolo dell’amore.
Grazie Susanna Tamaro, grazie Fiorella Carcereri.
grazie a te Sergio :)
Ho letto tanti anni fa quel libro e l’ho adorato!