“Un anno senza canzoni” di Francesca Duranti – recensione di Fiorella Carcereri

Francesca Duranti è nata a Genova nel 1935 e vive tra la campagna lucchese e New York. Diviene nota al grande pubblico con “La casa sul lago della luna” (1984), “Lieto fine” (1987), “Effetti personali (1988).  Tra le sue opere più recenti, “Come quando fuori piove” (Marsilio, 2006). Sempre con Marsilio pubblica,  nel 2009, “Un anno senza canzoni”.

I suoi romanzi sono stati tradotti in diciotto lingue.

La storia del libro “Un anno senza canzoni”  ambientata nel 2001, è quella di Giulietta, un’adolescente irrequieta appartenente a una facoltosa famiglia di Lucca.

Mia madre mi aveva allevata a suon di Tolstoj, Stendhal e Swift e mi andava bene. Non mi sembravano pallosi come dicevano i compagni. Poi leggevo anche robaccia sentimentale, per tenermi in pari con la classe…”.

Dopo un’infanzia trascorsa in una sorta di felice bozzolo protettivo, il fallimento del matrimonio dei genitori la fa precipitare improvvisamente nel mondo reale e la costringe  a cambiare più volte città, frequentazioni e abitudini.

A Livornoi compagni di scuola erano un blocco granitico…in quel blocco non riuscii a entrare, forse non ci provai nemmeno…le canzoni, in quegli anni, erano malinconiche da straziare l’anima”.

Giunta a Milano, il suo senso di inadeguatezza e di solitudine aumenta fino a suscitare in lei un mal di vivere che, a volte, le risulta insopportabile.

Allo stesso tempo, la sua fame di vita e la sua impazienza, tipiche dell’adolescenza, la inducono a lasciarsi andare in situazioni squallide e a frequentare personaggi inquietanti.

L’ho incontrato in tram, in un pomeriggio di tempo schifoso…Era vecchio, avrà avuto quaranta o cinquant’anni, ma si vedeva che era uno che sapeva stare al mondo…”.

Ed è sempre a Milano che l’adolescente si trova ad affrontare le prove più dure: la difficoltà di legare con i compagni e il rapporto con l’altro sesso.

C’è solo  Giovanna, detta la Schiva, che sa capirla e con la quale riesce ad aprire il cuore.

È di quella faccenda delle Torri, con tutte quelle persone che si gettavano dalle finestre per sfuggire alle fiamme, che devo parlare subito con lei.

Turbata da quanto visto in tv quell’undici settembre, si reca a casa dell’amica per parlarne, suona il campanello e la trova appesa al lampadario.

Accanto, una sedia rovesciata.  Giovanna si è uccisa perché rifiutata dal “branco” a causa della sua obesità.

“Oggi c’è stato il funerale. Qualcuno dei compagni è venuto. Non mi sembra che abbiano capito di averla ammazzata loro”.

Sette anni dopo, finita l’università, Giulietta annota sul suo diario: “Ci sono tante possibili ragioni perché un ragazzo si senta tagliato fuori dai suoi simili.  Essere sbatacchiati in pochi anni da Lucca a San Girolamo e da San Girolamo a Milano, liceo Parini, è una delle possibili ragioni. Essere sovrappeso, come la Schiva, è un’altra. E poi ce ne sono ancora, ma nessuno ne ha fatto un catalogo esauriente”.

E sempre il solito, vecchio dubbio non smette di assillarla: “Si sarebbe impiccata se le avessi detto di quella che allora chiamavo la mia frigidità? Se le avessi raccontato di me forse si sarebbe sentita meno sola, per un po’… Due anni, tre. Sarebbe bastato, credo. Perché dopo, finita l’adolescenza, il peggio è passato”.

 

Written by Fiorella Carcereri

 

 

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