Performance “Alone in the dark 2” mercoledì 30 maggio 2012, Roma
“Alone in the dark” è un esperimento performativo ideato dall’artista romana Francesca Fini, che intende indagare sul senso della Performance Art oggi. Più di ogni altra forma di linguaggio artistico, la Performance Art, nella sua immediatezza, viene chiamata a interpretare la realtà contemporanea. Sono il gesto e l’azione slegati da qualsiasi intenzione rappresentativa e mimetica e ricchi invece di una potenza generativa imprevedibile, che riescono davvero ad incastrarsi nel magma antropologico e culturale che stiamo vivendo.
Il progetto “Alone in the dark” avviene in Rete attraverso incursioni situazioniste nelle videochat, nei social networks, nelle web radio e nei network di streaming video. L’idea è quella dell’interferenza, del cortocircuito culturale, della pirateria emozionale. Lo scopo è catturare un pubblico molto diverso da quello tradizionale di musei e gallerie, che porta già con se’ un ruolo preciso.
Nella prima sessione del progetto, avvenuto nell’agosto del 2011, otto artisti performativi sono stati invitati nel laboratorio romano di Francesca Fini. Gli artisti che hanno risposto a questa misteriosa convocazione non sapevano nulla del progetto e non avrebbero mai immaginato che avrebbero agito davanti ad una webcam collegata con la videochat più controversa del mondo, Chat-roulette.
Su Chat-roulette la comunicazione tra utenti avviene uno a uno ed è assolutamente casuale. Non scegli mai con chi videochattare, è il sistema che pesca casualmente dal mucchio il tuo partner di chat, quando ti colleghi in perfetto anonimato. Nessuno ti chiede nome e cognome, non devi registrarti e non hai bisogno di nessun nickname. Entri in chat e immediatamente sul tuo schermo compare il volto di un perfetto sconosciuto. A quel punto puoi decidere se videochattare con lui o troncare la comunicazione cliccando il pulsante “next” per passare al prossimo utente. Il pubblico di Chat-roulette è un animale frenetico e vorace, impegnato in uno zapping furioso in cui si consumano la ricerca di senso, di amore, di contatto, di empatia.
ll primo performer entra in scena. Un timer regolato su 15 minuti pone un limite ideale di tempo all’azione, per offrirgli una via di fuga. La webcam viene collegata alla rete e compare sullo schermo il primo ospite sconosciuto. Non sa nulla di quello che lo aspetta. Ma arriva a te nella sua verità, pronto a frizionare il suo cervello con il tuo senza filtri.
La sfida è farlo assistere alla performance e tenerlo incollato allo schermo fino alla fine.
Il progetto si traduce quindi in un’indagine sul senso dei ruoli (il performer e lo spettatore) e si basa su un’interattività autentica, che è possibile solamente nel concreto scambio umano uno a uno. Il performer sta agendo solo per uno spettatore, recuperando il senso profondo di una forma d’Arte che si esprime nell’immediatezza del gesto a prescindere dalla presenza di un pubblico. Il suo interlocutore è capitato lì per caso, privo di pregiudizi e aspettative rispetto a quello che sta guardando. Rimarrà collegato oppure no, interagirà oppure no, comprenderà oppure no. In più di un caso, nella prima sessione dell’esperimento, l’ospite sconosciuto è rimasto agganciato fino alla fine e ha usato la chat testuale per fare delle domande. Gli altri performer davanti al computer gli hanno risposto.
L’indagine ha riguardato tanto lo spettatore quando il performer, che ha affrontato una situazione anomala e dai risvolti imprevedibili, perché l’ospite sconosciuto non ha mai assunto il ruolo rassicurante dello spettatore, inchiodato alla sedia e alle convenzioni sociali.
“Alone in the dark” è guerriglia semiotica, è un cortocircuito culturale che mette a confronto il performer con il vorace consumatore delle emozioni in rete, nella vertigine dell’appuntamento al buio.
“Nella chat-roulette d’artista lo spettatore non è solo voyer come al teatro classico o al cinema 3D: è spinto a assumersi la responsabilità di essere ibrido spett-attore, un osservatore partecipante, quasi un etnografo adombrato di se stesso che vuole sperimentare le sue estensioni desideranti e “perverse”. La tensione allora è che il perverso non è più tale, cioè non è più come era definito dai classici della psicoanalisi: le perversioni sono diventate icone su cui cliccare temporaneamente, sostare per un certo tempo, esserne più o meno coinvolti e scorrere subito alla successiva che è – o potrebbe essere – sempre quella più appetitosa. In tale modo, questa artefice dell’arte digitale-corporale, dove la psiche viaggia oscura assieme ai tasti e allo schermo, può – nella sua ossessiva iterazione – spingere se stessa, l’altro, le stesse tecnologie, i tecno-corpi, a osservare l’oltre di un desiderio insaziato. E forse questo oltre è il rischio assoluto, dove l’arte raschia l’ombra oscura e scopre quello che si può solo sussurrare.” (Massimo Canevacci, antropologo)
ALONE IN THE DARK # 2
La seconda sessione dell’esperimento riproporrà questi meccanismi e queste atmosfere, ma il suo “contenitore” sarà questa volta una location aperta al pubblico. Pubblico che diventerà il vero “voyeur” di un rituale privato tra performer e webcam.
L’appuntamento è per il 30 maggio 2012, alle 19.00, presso la Galleria d’arte contemporanea “Il Bracolo”, in Via dei Quattro Cantoni 9, Roma (Zona Cavour).
Con le performance di Tiger Orchid, DolcissimaBastarda, Flavio Sciolé, Francesca Fini.
Videoinstallazioni di José Vieira e Francesca Fini.
“Alone in the dark # 2” è realizzato in collaborazione con VASA Project
Il progetto VASA è un laboratorio internazionale di studi sui nuovi media, sugli individui e le comunità digitali su scala globale. Internet e gli sviluppi delle tecnologie digitali hanno creato un mondo in cui i tradizionali confini di spazio, tempo, e le forme di interazione sociale e la produzione sono in fase di transizione.
Visita il sito del progetto:
http://aloneinthedark10.blogspot.com/
Tiger Orchid
Tiger Orchid, al Secolo Noema Pasquali, nasce a Rieti nel 1978 e sin dall’età adolescenziale si appassiona alla Body Art Estrema prima tramite la Body Modification e poi l’amore per il Fakirismo. Attiva da circa 12 anni lavora soprattutto sola ma vanta collaborazioni con diversi artisti con cui ha portato avanti anche progetti di lungo periodo. La sua attività comincia grazie alla collaborazione con iFreaks Bloody Tricks, tra i primi gruppi di italiani, prosegue poi con La Macchina da cucire, Bloody Cirkus, Il Teatro della Sofferenza ( di cui fu co-fondatrice), Salem’s Hole (di cui fu co-fondatrice); collabora con artisti come Andrea Ropes, Antares Misandria, Kyrahm Human Installations e Julius Kaiser, Dolcissima Bastarda, Nausica Roi, Francesca Fini, Alia e Miss Amrita. A partire dal 2005 si dedica alla commistione interdisciplinare cercando di unire le arti che più ama (come la body art estrema, il Fakirismo e l’Arte Circense) sfruttando i diversi piani semiotici del processo comunicativo (dall’arte figurativa alla semiotica, alla narrativa).
DolcissimaBastarda
Isabella, in arte DolcissimaBastarda, è una rope stylist e bondager. E c’è della bellezza, della compostezza di natura estetica profonda in ciò che fa. Un classicismo rivoluzionario, quasi un ossimoro nel suo modo di insalamare un corpo umano fino ai più intimi recessi di pelle. Eppure lei si definisce “una persona, istintiva, passionale, che in maniera semplice riesce a creare nodi complicati” creando a “corda libera”, utilizzando il feticcio della canapa sulla nuda carne per intrappolarla attraverso la libera ma preordinata composizione di corde e nodi.
Una forma d’arte, di body art complesso che non utilizza i fluidi corporei bensì un’estensione, un’espansione esteriore di natura fibrinogena, una sorta di appendice canapacea delle fibre del corpo, dato che le corde archetipiche, per l’essere umano in quanto tale, sono i nervi: un bondager, in fondo, non fa che porre il fascio dei nervi di canapa in vista su un corpo rigirato come un guanto. Un campo artistico non facile da intraprendere, quello dello Shibari, che sopravvive e si fa largo faticosamente, ma con un senso di composta dignità, fra la diffidenza dell’opinione comune moralistica.
DolcissimaBastarda è l’unica bondager donna italiana che, dopo aver seguito un percorso di formazione personale, nascendo dal mondo del bdsm, ha iniziato ad avvicinarsi “per gioco al mondo del bondage” ed in seguito, stanca del classico Shibari costrittivo, ha intrapreso una strada diversa, trovando alternative alla tradizione giapponese ortodossa tramite una decisa rimescolanza di generi e stili. Ha avuto così origine un personalissimo fashion bondage che l’artista porta, a mo’ di performance, nei locali della capitale, riscuotendo sempre maggiore attenzione fra gli addetti ai lavori. (Sonia Caporossi)
Flavio Sciolé
(Atri, 1970). Antiartista apolide agisce nella ricerca antiteatrale, nella sperimentazione anticinematografica e nella performance estrema. Principalmente votato alla decostruzione artistica di qualunque arte classica, trova la propria ragione d’essere in atti di deframmentazione e distruzione. Codifica la Recitazione Inceppata. Iconoclasta per vocazione, non incline al compromesso fa dell’arte come istanza, dell’arte etica, la propria ragione di vita. Come Performer opera nella decostruzione performativa agendo con voce e corpo con Azioni volte ad un ‘sacrificio’ all’Arte. Partecipa, tra l’altro, a Biennale Adriatica Arti Nuove, Futuroma, Ar(t)cevia, Corpo, Wunder Festival. Con Teatro Ateo la zona d’azione è la reimpostazione-distruzione-sgretolazione del teatro classico agendo su due livelli: uno recitativo ed uno drammaturgico. Circa 300 i lavori video proiettati-premiati-segnalati in Festivals nazionali ed internazionali in Italia e nel mondo. Migliaia le proiezioni in Italia ( tra cui: 52a Esposizione Internazionale D’Arte La Biennale di Venezia) e nel mondo. Riceve premi, retrospettive (Casablanca, Roma, Torino, Berlino, Londra, New York), scritti.
Francesca Fini è un’artista che svolge composizioni performatiche attraverso un assumere nel suo corpo, come una carta assorbente di pelle, tecnologie digitali in gran parte reinventate da lei stessa. Il tal modo il suo paesaggio corporale diventa un assorbire e un prolungare sinestesie musicali-rumoriste, una sorta di strumento che lei suona in scena interagendo nella spotaneità progettuale dell’evento. Francesca Fini ha una capacità estrema di essere artigiana del digitale, inventa guanti che creano rifrazioni di immagini caleido-scopiche e caleido-soniche; tastiere che sono estensioni del corpo e incorporamento di sensori sonici: è artefice nel senso umanista, penetra l’arte a lei contemporanea e la fa avanzare su territori non ancora del tutto certi e sicuramente spaesanti. Sinestesie corpo-digitali che assorbono maschere, tastiere, chips fino ad estendersi nel progetto ALONE IN THE DARK. (Massimo Canevacci)
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