Resoconto del concerto dei Takoma al Fabrik, Cagliari
Resoconto del concerto del 19 Febbraio 2012 al Fabrik.
Ascoltare i Takoma è come ricordarsi di quella brutta esperienza (tutti ne hanno una) e pensare che dopotutto non se ne è usciti tanto male. Consolano, anche quando va tutto bene. Sono un lieto fine per una strana avventura.
Mai sentito parlare dei Takoma. Né della Takoma Records che il chitarrista John Fahey fondò e gestì nel ventennio 1959-1979. A dire il vero, non conoscevo nemmeno la città di Tacoma, nello stato di Wahington, USA, più che altro noto per ciccatrici vecchie decenni come “Twin Peaks” e il grunge.
Qui siamo da tutt’altra parte. E io mi trovo spaesato.
Per questo mi siedo per terra, incrocio le gambe come un indiano. I Takoma in sottofondo. Sono in una spiaggia, cala la sera e sono sicuro che domani sarà tutto a posto. Sembra stupido a dirsi, ma è così. I Takoma ti portano da qualche altra parte, dove il male non esiste, per un’oretta di brezza tiepida e leggera. Otto serenate. Il fatto che le facciano tre uomini, con una sensibilità densa/animata/fiammeggiante, spiazza. I suoni sono definiti ma onirici, intensi.
Attaccano con un lieve sospiro speranzoso, quello che i marinai ascolterebbero quando gli manca una donna e le sirene sono sott’acqua, le balene sono state tutte uccise e il giradischi si è rotto. Stefano Podda è un songwriter dalla ricca vena melodica, si permette di intonare tante di quelle piacevoli melodie, con la sua chitarra, da strapparci un sorriso, in netto contrasto col suo strano sguardo nervoso tra un pezzo e l’altro. È accompagnato da Michele Sarti all’ukulele e da Mirco Pilloni al rullante. Un arcobaleno vocale da parte di tutti e tre. Una coralità difficile da decifrare, da assumere a sorsate.
Per “Wooden clubs” il rullante cambia lato. Da qui in poi Michele si occuperà della parte ritmica, mentre Mirco darà corpo e struttura col la sua fida elettrica. Che mi viene in mente? “Daisy of the galaxy” degli Eels. “AtomBombProofHeart” e “Half untruths”degli Hogwash. I Grateful Dead di “Workingman’s dead”. “Howl” dei Black Rebel Motorcyrcle Club. Qualcosa di Crosby, Stills, Nash & Young, persino i
Meat Puppets. Spezzo una lancia a sfavore di chi parla male dei Rolling Stones dei tardi sessanta, singoli a parte sono partiti dalle roots americane anche loro. A lunga distanza echi di Bugo, Samuel Katarro e gli ultimi Jennifer Gentle, soprattutto nella spedita “Movie 30”, ma solo perché i referenti alle radici sono gli stessi.
Non vado a scavare troppo, mi ci perderei, ma sottolineo una particolarità: ho nominato chi sapeva benissimo cosa significa fare un certo tipo di puro rock: psichedelico, energico, elettrico. Non a caso i componenti dei Takoma hanno un’esperienza affine.
Certi momenti ci stanno. Sono quelli in cui salendo su una collina ci si ferma ad ascoltare il proprio respiro farsi più lento. Riprendere fiato, impegnarsi sul dettaglio, immaginare un simbolo non ben definito, eppure persistente. Riaffiora, inspirazione/espirazione. Ci siamo, il momento di
riprendere la camminata. La delicata “Blue gold”, la claudicante “As the wind blows” o la canzoncina “You (remake)”, sapiente intercettazione della corrispondenza segreta tra Dylan e Lennon, saprebbero scalare le classifiche di quarant’anni fa come hanno fatto quei due o tre cantautori freak con troppi psicofarmaci o acidi in corpo, poco prima che la mano cascasse insensibile dalla tastiera. Ci stanno anche le voci di tutti quanti dietro, gli applausi calorosi e lo stare a bocca aperta.
C’è una consapevolezza in questa musica che va al di là della sua semplicità. Sembra pensata per dirti che non importa. Sa di redenzione. Melodie solari e autenticità, battere il piede ritmicamente, questo fa la fortuna dei Takoma. Questi ragazzi hanno un cuore d’oro.
Scaletta:
“Sunny day”
“Wooden clubs”
“Movie 30”
“Blue gold”
“You (remake)”
“Story of a girl”
“Frozen stars”
“As the wind blows”
Foto di Paola Corrias
Written by Alessandro Pilia
Info
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