“Una musica, e nient’altro” di Matteo Rizzardo – recensione di Rebecca Mais
Pubblicato nel 2011 in formato digitale dalla Abel Books, Una musica, e nient’altro è la seconda opera di Matteo Rizzardo. Lo ricordiamo infatti anche per “Grazie, ma la spengo io la luce”, edito da Autori di Domani (Roma) nel 2007.
Il romanzo, ambientato alla fine del milleottocento in un paese del Regno di Danimarca, al tempo di re Cristiano IX, si profila inizialmente come un giallo, poiché è proprio di questo che si tratta, del mistero riguardante Dlischen, una cittadina danese che un giorno, improvvisamente scomparve. La vicenda inizia dalla fine per poi riavvolgersi e ripartire dal principio. I protagonisti sono l’ispettore Jesper J.Hokssom, inviato da Copenaghen a Dlischen dall’ammiraglio Goran Sorensen, e Jeremiah T, Blondahl, un suonatore di violino. Il primo ha il compito di scovare i socialisti che si nasconderebbero a Dlischen e si pensa tramino contro il re, mentre il secondo cerca il silenzio assoluto per poterlo tradurre in musica. I due si incontrano per caso sul treno che porta a Dlischen e si ritrovano a condividere lo stesso albergo e il medesimo destino. Vivono così un affascinante viaggio nella “città del diavolo”, dove gli abitanti sono bizzarri, irreali, ed ognuno ha una storia da raccontare.
“Ogni storia ha i protagonisti che si merita.”
Abbiamo così Frida, la bottegaia, che vende tutto ciò che si possa desiderare, Markus, il garzone che pensa a lungo prima di esprimere i sui pensieri, Aarselin, il pittore che dipinge tele completamente nere, Grund l’albergatore che ha come capo il suo fucile, Andre, l’uomo che è impazzito perché ha contato le onde del mare, e i bambini che ogni mattina si riuniscono in piazza e ad occhi chiusi, immobili, passano lì l’intera giornata, all’interno di cerchi disegnati in terra con i gessetti.
“Ogni mattina, i loro giovani occhi ricevevano l’eternità inderogabile del tempo. Geniali quei marmocchi. Chissà dove l’avevano imparato che la vita l’aspetti o la rincorri, ma non ci sei mai dentro.”
E vi è anche un cofanetto, nero, chiuso a chiave, il cui contenuto è antico, oscuro ed ignoto.
Leggere questo libro, insomma, è come contemplare un quadro surrealista ed è impossibile non rimanerne sorpresi, ammaliati ed incantati. Pagina dopo pagina ci si chiede se il tutto abbia un senso e al tempo stesso ci ritroviamo immersi in un luogo fuori dal mondo, un mondo fantastico o forse semplicemente l’angolo più nascosto del purgatorio.
Protagonisti del romanzo sono anche la solitudine, la difficoltà a comunicare ma anche la voglia di ritrovare se stessi tramite il silenzio che sovrasta tutto. Un silenzio che dice tanto, che fa meditare e stimola nei protagonisti, come nei lettori, riflessioni esistenziali.
“E’ musica, è tutta questione di musica.”
E’ un romanzo profondo, all’interno del quale sono ben visibili i suoi studi filosofici, e colpisce constatare la giovane età dell’autore, classe 1986.
Una musica, e nient’altro può così essere definito un piccolo capolavoro e pone senza dubbio Matteo Rizzardo tra le promesse del futuro mondo editoriale italiano.
“La nostra vita è solo un grande ammasso di parole che ci portiamo dentro negli occhi, per chiunque sia pronto a leggerlo. Ogni parola è un attimo ardentemente desiderato e pazientemente vissuto, e una dopo l’altra, si ammassano in quel casino che è la nostra vita e alla fine uno c’ha un elenco così lungo che ti viene da chiederti se davvero il mondo ne ha così tante per le vite di tutti.”
2 pensieri su ““Una musica, e nient’altro” di Matteo Rizzardo – recensione di Rebecca Mais”