“This must be the place” di Paolo Sorrentino – recensione di Enrico Muzzi
“This must be the place” è uscito nelle sale cinematografiche il 14 ottobre 2011. Film del 2011 diretto da Paolo Sorrentino, la sceneggiatura è stata curata dal regista e da Umberto Contarello. Distribuito in Italia da Medusa e prodotto tra Francia, Italia ed Irlanda. Genere drammatico della durata di 118 minuti circa.
Un film che porta alla discussione, tantissimi i pareri positivi (5° posto nella classifica degli incassi di questa settimana) ma vorrei presentarvi questa lucida critica de “This must be place” estrapolata da una discussione sul social network facebook. La critica è di Enrico Muzzi che si è dimostrato disponibile per una pubblicazione su OublietteMagazine. Buona lettura!
Io avevo molte perplessità ma poi tutti mi hanno detto: “vallo a vedere”, “È un capolavoro”…”È DA OSCAR” ecc…ecc…bhè, non si è dimostrato nulla di diverso da ciò che mi ero immaginato. Facile gridare al capolavoro, troppo facile…evidentemente a molti basta il bravo Sean Penn, un personaggio atipico, una storia strampalata, qualche frasetta ben studiata, lenti e morbidi movimenti di macchina supportati da bella musica e la magia è raggiunta. Un film che vorrebbe essere poetico e non ci riesce.
Ripeto…troppo facile.
Il messaggio che viene fatto passare nel finale è terribile, ma non posso spoilerare. Dico solo questo per chi lo ha già visto: Non accetto la crescita del personaggio in seguito alle azioni compiute.
È ridicolo.
La storia ci presenta questa ex rock star un po’ annoiata e “depressa” che ad un certo punto della trama viene a sapere della morte del padre. Padre col quale aveva troncato i rapporti e che non vede da circa trent’anni. In pratica…uno sconosciuto, o quasi. Viene a sapere dell’ossessione del padre per un nazista che, pare, lo perseguitasse nei campi di concentramento e, decide di riscattare l’onore del padre e di fare vendetta. In una sequenza, apparentemente banale, il personaggio di Penn si interroga sul vizio del fumo e una donna gli dice: “Tu non hai mai fumato perché sei sempre rimasto un bambino…e i bambini non fumano“.
Bene, tienila lì questa scena.
Sean Penn parte alla ricerca del nazista, che a botta di conti, ha più di 90 anni. Dopo vari viaggi lo trova e il vecchio tedesco gli racconta qualcosa in più sul padre. In poche parole il nazista gli dice che l’unico motivo per il quale il padre ha avuto tutto quest’odio verso di lui è dovuto al fatto che egli ha riso di lui quando si era fatto la pipì addosso nel campo.
Il vecchio nazista dice inoltre: “Una banalità rispetto a tutti gli orrori del campo, ma tuo padre giurò vendetta per questa umiliazione , ecc…“. Ora il figlio (Sean Penn) si sente di riscattare il padre (solo per sensi di colpa) e decide a sua volta di umiliare il vecchio tedesco. Lo fa denudare e lo lascia nudo come un verme in mezzo alla neve. In questa scena il vecchio ci fa quasi pena ma poteva essere invece una critica interessante. Una critica alla vendetta, alla violenza che chiama violenza ecc…ecc…
Invece non è così.
Il nostro Sean Penn torna a casa dopo questo viaggio ed a questo punto un uomo gli offre una sigaretta. E lui la prende e fuma!!! Non ha mai fumato… ma ora è diventato grande, ora è un uomo!?!
Ma questo evidentemente non basta.
Nella scena finale il personaggio un po’ Freeks di Sean Penn si sveste di quella maschera e ci appare sotto nuove spoglie. Il film si chiude con lui che percorre una strada e non è più una “maschera”, non è più un “personaggio”, non è più un “freeks”….ora è un uomo.
E ci si presenta vestito bene, curato, capelli tagliati, senza trucco ecc…ecc… E questo ancora a sottolineare la sua crescita. Non ha più bisogno di essere una maschera, ora è un uomo a tutti gli effetti.
Ora, se questo è essere uomini siamo davvero fritti! Probabilmente era molto più uomo prima… e molto più intelligente. Cioè, fatemi capire: Lui è diventato grande e ha avuto una evoluzione per aver umiliato un vecchio disgraziato (per senso di colpa nei confronti del genitore) e quindi può dirsi uomo???
Ok, non è mai troppo tardi, certo…ma quello non è diventare grandi e quel viaggio, se porta a quell’epilogo non avvalora certo la grandezza, anzi. Diventa la ripicca di un bambino che agisce solo per senso di colpa nei confronti del padre col quale ha un rapporto tutt’altro che risolto. E di certo ciò che fa non porta a nessuna risoluzione. Per questo dico che si doveva andare in un’altra direzione. Oppure poteva andare bene anche questa se, però, si fosse mossa una critica…invece in questo caso si avvalora tutto e la scena finale è terribile. Lo preferivo come “maschera”.
Cast
Sean Penn, Judd Hirsch, Frances McDormand, Kerry Condon, Eve Hewson, Joyce Van Patten, David Byrne, Shea Whigham, Tom Archdeacon, Harry Dean Stanton, Seth Adkins, Simon Delaney, Gordon Michaels, Robert Herrick, Tamara Frapasella, Sarab Kamoo, Liron Levo
Fotografia
Luca Bigazzi
Montaggio
Cristiano Travaglioli
Musiche
David Byrne
Written by Enrico Muzzi
Film di rara intensità che la critica non ha capito appieno se non per niente, e veramente anomalo nel panorama asfittico del cinema odierno banale e ipocrita nello sfornare film che criticano senza costruire questo film rimanda al concetto forse perduto di arte come bellezza. tutt’altro che sconnesso, il film gioca su un”” raro cambio di prospettiva” come dice il sognante cow boy , per chi come cheyenne ha trovato il modo di mettere le rotelle alla vita….
La verità è che l’inverosimiglianza è il suo punto di forza, perchè la logica così come la conosciamo noi non funziona sempre, talvolta si ha bisogno di salti apparentemente illogici per diventare grandi, se andassimo a scomporre pezzo er pezzo poi a tutto c’è una ragione.
La verità è che Cheyenne ha bisogno di questo salto per diventare grande , così come un bimbo ha bisogno di una sigaretta per sentirsi( diventare) grande , che poi sono più o meno la stessa cosa molto spesso.
La vendetta è qui tutt’altro che palusibile apparentemente, e la cosa è voluta, ma come lui va a cercare chi ha umiliato suo padre con cui tra l’altro non parlava e neanche lo uccide lo umilia a sua volta , ma questo è ciò che lo libera , non importa se fosse stato andare alla ricerca del graal o ad aiutare i poveri, proprio perchè non è palusibile acquista significato, proprio perchè gli step della nostra vita non sono plausibili.
Ma voi ve siete mai chiesto come siete diventati grandi? ma allargando il campo si potrebbe dire che cosa vuol dire essere responsabili, che cosa c’è alla base delle vostre scelte? quale sarà il posto in cui vorrò stare? Lo sto cercando e ho molto tempo (tutta la vita ) e c’è luce nei tuoi occhi(si spera).. Insomma Sorrentino come Byrne pennella geniale con un’intuizione da calcio d’angolo come direbbe il suo personaggio Tony Pagoda, egli solamente danza come forse il vero artista dovrebbe fare .
Grazie Paolo io studio cinema( al Dams di Imperia.. sigh) e credo che se ci fossero più persone come te sarei io stesso una persona migliore…
Lui si è costruito un personaggio, pubblicamente trasgressivo, ma intimamente fragile, per una vita, e per non aver soddisfatto le aspettative mute e mai palesate del padre. Non diventa grande, diventa figlio, tanto che come primi gesti compie due cazzate, umilia (avendo lui il terrore dell’umiliazione), e fuma che per un ipocondriaco come è il personaggio è assurdo. Non diventa uomo, anzi, adolescente. Per me ha ragione Fabio, quando hai smesso di nasconderti dietro l’infanzia?