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“Rumore Bianco” di Don DeLillo: una riflessione sulla morte

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I maestri non hanno mai bisogno di salire in cattedra e dire di esserlo, mettersi gli occhiali, cominciare a parlare e decretare l’inizio di un corso di scrittura.

Rumore Bianco di Don De Lillo
Rumore Bianco di Don De Lillo

I maestri, quelli veri, scrivono e quindi insegnano.

Li leggi e allora impari.

È il caso di Don DeLillo, il capostipite di una scuola americana, quella del postmodernismo, che ha sfornato e sforna romanzi dall’inestimabile valore.

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Se si vuole affinare la tecnica, lo studio degli scritti di DeLillo è indispensabile perché è un autore che ama sperimentare, che si rinnova in ogni libro.

Può piacere o meno, e sembra essere questa una caratteristica dei postmodernisti americani, ma non se ne può non riconoscerne la validità, l’assoluto spessore.

Il suo registro narrativo è paratattico, complesso. Sa definire qualcosa già visto e già sentito come mai farebbe chiunque altro.

I dialoghi, al limite dell’assurdo, sono sempre serrati, complessi, con uno sfondo di ironia appena percettibile. La critica che porta al mondo, alla società, è aspra, dura, non si nasconde dietro a un dito e anzi, affonda laddove pochi hanno avuto il coraggio di fare.

Per cominciare, per avere un’idea, il libro che vi consiglio è edito da Einaudi, tradotto da Mario Biondi (un plauso va ovviamente anche a lui per aver reso bene la scrittura di DeLillo) dal titolo Rumore Bianco.

Rumore Bianco è la storia di un uomo, Jack Gladney, professore universitario che si è fatto strada attraverso tutta una serie di studi su Adolf Hitler nonostante non conosca il tedesco e abbia con la lingua un rapporto a dir poco conflittuale.

La sua vita scorre normale, ha avuto diverse moglie, tanti figli e convive ora con Babette, donna dalle forme procaci che a sua volta ha altri figli.

La prima parte di Rumore Bianco parla di famiglie, di un certo mondo accademico, di tutta una serie di regole di cui De Lillo si prende gioco.

Poi arriva l’evento tossico.

Un incidente ferroviario fa sprigionare una nube tossica che minaccia la tranquilla cittadina del midwest degli Stati Uniti in cui tutto è ambientato. Da qui tutto si trasforma e il romanzo diventa una lunga e profonda riflessione sul tema della morte, sulla paura, sull’incertezza del futuro. L’unica medicina che può dare giovamento, apparentemente risolvere gli effetti, i sintomi da intossicazione si trova al mercato nero e il suo nome è Dylar.

Don DeLillo
Don DeLillo

Attraverso i timori di Jack il libro si fa via via più avvincente fino a giungere a un finale che lascia stupiti. Perfetto, quasi cinematografico in questo contesto, il susseguirsi degli eventi, i movimenti dei protagonisti, l’ossessione che DeLillo riesce a far trasparire dalla sua scrittura.

Riprendo da un’intervista a Don DeLillo in merito al suo romanzo:

«In White Noise in particolare, ho cercato uno squarcio di luce nel quotidiano. A volte, è una luce quasi spaventosa. Altre volte, può diventare quasi sacra… Il nostro sentimento di paura, lo evitiamo perché lo avvertiamo a un livello molto profondo, e ciò provoca un conflitto intenso… credo che sia una cosa che avvertiamo tutti, ma di cui non parliamo mai, una cosa che c’è e non c’è. Ho cercato, in White Noise, di collegarla a un altro sentimento, quel sentimento di trascendenza che resta appena al di fuori della nostra portata. Questo straordinario miracolo della realtà è in un certo senso connesso al timore straordinario che è la paura della morte, che tentiamo di mantenere al di sotto della superficie delle nostre percezioni.»

 

Written by Alessandro Vigliani

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