“Le finestre” poesia di Stéphane Mallarmé: che il cristallo sia l’arte o la mistica ebbrezza

Di seguito si potrà leggere la poesia intitolata “Le finestre” di Stéphane Mallarmé ed una breve biografia del poeta francese.

“Le finestre”

Stéphane Mallarmé - poesia - le finestre
Stéphane Mallarmé – poesia – le finestre

Stanco del triste ospizio e del fetore oscuro
Che sale tra il biancore banale delle tende
Verso il gran crocifisso tediato al nudo muro,
Sornione un vecchio dorso vi raddrizza il morente:

Trascina il pelo bianco e l’ossa magre, lento,
Alle vetrate che un raggio chiaro indora,
Meno per riscaldare il suo disfacimento
Che per vedere il sole sopra le pietre ancora.

E la bocca, febbrile e d’azzurro assetata,
(Essa così aspirava, giovane, il suo tesoro,
Un corpo verginale e d’allora) ha lordato
D’un lungo amaro bacio il caldo vetro d’oro.

Ebbro, vive, ed oblia la condanna del letto,
L’orologio, la tosse, le fiale, l’ora estrema,
E allorquando la sera sanguina sopra il tetto,
Con l’occhio all’orizzonte, nella luce serena,

Vede galere d’oro, splendide come cigni,
Dormire sopra un fiume di porpora e d’essenze,
Cullando il fulvo e ricco lampo dei lor profili,
Ricolme di ricordo, di vasta indifferenza!

Così, colto da nausea dell’uomo, anima dura,
Che s’imbraga felice, per gli appetiti soli
Mangiando, ed ostinato cerca questa lordura
Per offrirla alla donna che gli allatta figliuoli,

Io fuggo e mi attacco a tutte le vetrate
Dove si volge il dorso alla vita e al destino,
E nel vetro, lavato dall’eterne rugiade,
Che l’Infinito indora col suo casto mattino,

Mi contemplo e mi vedo angelo! e muoio, e torno
– Che il cristallo sia l’arte o la mistica ebbrezza –
A nascer, col mio sogno diadema al capo intorno,
Dove, in cieli anteriori, fiorisce la Bellezza.

Ma ahimè il Quaggiù impera: fino a questo sicuro
Rifugio esso perviene talora a nausearmi,
E la Stupidità, col suo vomito impuro,
Mi fa turar le nari innanzi ai cieli calmi.

Non tenteremo, o Me che sai amare pene,
D’infrangere il cristallo cui insulta l’Averno,
E di fuggire infine, mie ali senza penne,
A volo – con il rischio di cadere in eterno?

***

Stéphane Étienne Mallarmé (Parigi, 18 marzo 1842 – Valvins, 9 settembre 1898) è stato un poeta, scrittore e drammaturgo francese.

Nel 1860 prese in mano l’opera che maggiormente lo influenzò anche nelle opere adulte: I fiori del male di Charles Baudelaire (Parigi, 9 aprile 1821 – Parigi, 31 agosto 1867).

Nel 1870, a Parigi, incontra il giovane Arthur Rimbaud (Charleville, 20 ottobre 1854 – Marsiglia, 10 novembre 1891) ed il pittore Édouard Manet (Parigi, 23 gennaio 1832 – Parigi, 30 aprile 1883).

Il 1883, sarà l’anno in cui il poeta  Paul Verlaine (Metz, 30 marzo 1844 – Parigi, 8 gennaio 1896) darà alle stampe il terzo articolo dei poeti maledetti dedicato proprio a Mallarmé.

Come l’amato e venerato Baudelaire, Mallarmé farà un lavoro di traduzione importante dei racconti di Edgar Allan Poe (Boston, 19 gennaio 1809 – Baltimora, 7 ottobre 1849). Conobbe e frequentò Oscar Wilde (Dublino, 16 ottobre 1854 – Parigi, 30 novembre 1900) e Paul Valéry (Sète, 30 ottobre 1871 – Parigi, 20 luglio 1945).

Alcuni considerano Mallarmé uno dei poeti francesi più difficili da tradurre.

Ci si riferisce spesso all’implicita ambiguità di molte tra le sue opere, ma questo argomento è davvero troppo semplicistico.

A una più accurata lettura nell’originale lingua francese, risulta chiaro che l’importanza delle relazioni sonore tra le parole in poesia eguaglia, se non sorpassa, l’importanza dei significati tradizionali delle parole stesse.

 

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