“Inés dell’anima mia” di Isabel Allende: le donne alla conquista del Nuovo Continente
Nel XVI secolo, un canto di sirene ammalia il Vecchio Continente; la promessa dell’oro, il sogno della gloria richiamano nel Nuovo Mondo i Conquistadores. Un’impresa tutta maschile parrebbe; le mogli restano in Spagna, in attesa di ricongiungersi ai loro uomini.

Nel 1537 una donna di Plasencia si mette in viaggio; grazie al suo valore, nel Nuovo Mondo consegue influenza politica e potere economico. Doña Inés Suárez partecipa alla conquista del Cile; instancabile, contribuisce alla fondazione della città di Santiago. Le sue gesta sono ricordate dai cronisti dell’epoca; tuttavia per oltre quattrocento anni, gli storiografi le hanno dimenticate.
Con una ricerca paziente e appassionata, Isabel Allende riscopre questa donna carismatica; nel romanzo del 2006 Inés dell’anima mia (Feltrinelli Editore, 2021, pp. 326, trad. di Elena Liverani), sono i documenti a farla da padroni. La narrazione delle vicende si attiene alle fonti; all’immaginazione è concesso quel tanto che basta per legare i fatti in modo armonico. Il romanzo è concepito come una confessio; ormai prossima alla morte, doña Inés redige le proprie memorie.
Anno 1580 di Nostro Signore; Santiago della Nuova Estremadura, Regno del Cile.
Della propria data di nascita, Inés non è certa; stando al racconto della madre, sarebbe venuta alla luce dopo la morte di Filippo il Bello. Dovrebbe avere circa settant’anni; più di quaranta li ha vissuti nel Nuovo Mondo. Nella terra d’origine sarebbe un’anziana qualsiasi; in Cile è una signora influente, vedova del governatore Rodrigo de Quiroga, conquistatrice e fondatrice del Regno.
Nel narrare la propria vita, Inés intende osservare una ratio; come ogni cronaca che si rispetti, seguirà l’ordine naturale degli avvenimenti. I ricordi d’infanzia la portano a Plasencia, nella parte settentrionale dell’Estremadura; da bambina cresce nella casa del nonno, ebanista di professione e membro di una illustre confraternita. Inés ricorda bene le processioni del Venerdì Santo, soprattutto quella del 1526; in quella occasione conosce Juan de Málaga, che sarà il primo marito. Lo vede, in mezzo alla folla di incappucciati e penitenti; incurante del divieto materno, gli sorride. Il nonno si oppone alla storia d’amore; la nipote deve rimanere nubile per accudirlo negli ultimi anni. Determinata, gli dà del filo da torcere; chi la dura la vince.
La coppia ha deciso di sposarsi entro un anno; Inés non ha fatto i conti con il temperamento del fidanzato. Sempre insoddisfatto, si nutre delle storie favolose sui tesori del Nuovo Mondo; spesso scompare per lunghi periodi. Ogni volta ritorna, senza dare spiegazioni; giusto il tempo di farsi perdonare, poi sparisce di nuovo. L’andirivieni va avanti per tre anni; la reputazione di Inés è compromessa. Il nonno non tollera quella macchia all’onore di famiglia; Juan va convinto a sposarsi. Il matrimonio si celebra un martedì di settembre; la coppia va a vivere a Malaga.
La passione coniugale è prepotente; tuttavia, Inés si rende conto di aver commesso un errore. Conosceva i difetti del marito; ma un conto è conoscerli, un altro conviverci. Lavora come sarta, cucina e vende empanadas; quanto ai figli, pare che Nuestra Señora del Socorro si sia dimenticata di lei. L’ardore tra gli sposi si trasforma in fastidio; i silenzi di lei, le urla di lui. Juan non si azzarda a picchiarla; non dopo che la moglie gli ha rifilato una padellata in testa. Assorbita dal lavoro, Inés si affligge per la sterilità e la povertà; lo sconforto è tale che non cerca di trattenere il marito. Senza congedarsi, l’uomo parte in cerca di Eldorado; i suoi sogni l’hanno contagiata. I
nés sospetta che nel Nuovo Mondo esista qualcosa più prezioso dell’oro; la libertà. Rimasta da sola, continua a cucire e cucinare; si reca in ospedale, per aiutare le suore ad assistere i malati. Queste abilità si riveleranno indispensabili; Inés ha anche il dono di individuare le sorgenti d’acqua. Per diversi anni, non riceve notizie del marito; senza dirlo a nessuno, decide di seguirlo in quell’avventura. La spinge il fascino della libertà, non certo l’amore; affronterà i pericoli del viaggio, sempre meglio che morire senza aver vissuto. Dopo una lunga trafila burocratica, ottiene la licenza reale; è pronta per imbarcarsi. Inés dell’anima mia ci presenta Pedro de Valdivia, rampollo di una famiglia di militari; pur senza fortuna, la sua dinastia vanta un alto lignaggio. Il giovane obbedisce entusiasta al richiamo delle armi; è un fuoco destinato a spegnersi, già durante la prima battaglia. A vent’anni va a combattere nelle Fiandre; in seguito partecipa alle campagne d’Italia.

Nel 1525 si distingue nella battaglia di Pavia; cessate le ostilità, ritorna a casa. Ormai ha raggiunto l’età per sposarsi; la moglie ideale dovrebbe apportare una cospicua dote, necessaria all’immiserita tenuta dei Valdivia. Il cuore è altro dalla ragione; Pedro si invaghisce di Marina, tredicenne dalla bellezza angelica. Benché priva di denaro, l’hidalgo inizia a corteggiarla; si sposano l’anno successivo.
La neo moglie è animata dalle migliori intenzioni; tuttavia è pur sempre troppo giovane. Quel marito sobrio e incline allo studio la spaventa; d’altra parte, l’innocenza di lei finisce per infastidirlo. Insoddisfatto dalla vita coniugale, Pedro si dedica alla gestione delle terre; con il tempo, cede al richiamo dell’avventura. Inés dell’anima mia acconta l’arruolamento sotto gli stendardi di Carlo V; nel 1527 Valdivia partecipa alla carneficina del Sacco di Roma.
Dopo tanto sangue, fa ritorno a casa; cresce l’insofferenza verso la moglie, troppo supplichevole. Troppo casta, troppo poco femmina; tanto sono radicate in lei la paura dell’inferno, la vergogna per il corpo. Il ricordo del sangue perseguita Pedro; una volta scatenato, l’istinto di uccidere è insopprimibile. Deposta la spada, si occupa della gestione della tenuta; durante gli otia si appassiona alle cronache di viaggio e alle carte geografiche. Le letture preferite sono le notizie sul Nuovo Mondo, pubblicate in Spagna; legge e sogna. Di scoprire terre remote, di conquistarle, di fondare città; di imprimere in modo indelebile il suo nome sulle pagine della Storia.
Alcuni anni dopo, Jerónimo de Alderete bussa alla sua porta; ha il compito di reclutare uomini da portare nelle Americhe. Si profonde in un panegirico di quelle terre; si sofferma sulla Conquista del Perù e del suo tesoro. Nel Nuovo Mondo Pizarro e Almagro hanno conseguito ricchezza e potere; quella non è un’impresa per pavidi. Punto nell’orgoglio, Valdivia si avvede della propria insofferenza; la sua vita è una gabbia, il matrimonio una prigione.
Nel 1537 Inés si congeda dalla famiglia; imbarcatasi a Cadice, affronta un viaggio irto di difficoltà. Senza un marito accanto, deve guardarsi le spalle; per sfuggire a un’aggressione, è costretta a ricorrere alla famigerata padella. Dopo tre mesi, la nave tocca terra; Juan non si trova in quel misero villaggio. Scampata a un altro tentativo di violenza, raggiunge Cartagena; in seguito a una disgrazia, il capitano le consiglia di andarsene in fretta.
Inés dell’anima mia si sposta in Venezuela; Pedro vi arriva all’età di trentacinque anni. Nel cuore della giungla, per la prima volta la sua fede nell’impresa vacilla; cresce il dubbio. In quel regno di Satana, un’aria maligna avvelena gli uomini; impazziti, si fanno bestie tra le bestie. Dopo alcuni mesi, Valdivia riesce a separarsi dai compagni; sull’isola di Santo Domingo apprende che Francisco Pizarro ha bisogno di rinforzi in Perù. Spinto dal desiderio di gloria, nel 1537 si imbarca a Panama.
Inés dell’anima mia ci porta a Ciudad de los Reyes; al servizio di Pizarro, Pedro si trova coinvolto in una guerra civile. Lo scontro decisivo avviene a Las Salinas; i pizarristi sconfiggono le forze di Diego de Almagro. Arrestato e condannato a morte, il Conquistador chiede che Valdivia sia testimone delle sue ultime volontà; pur nemico, è l’unico degno di raccogliere le sue confidenze. Nei giorni che precedono l’esecuzione, Almagro narra i fatti del Cile; l’epopea della Conquista si è infranta sulle rive del Bío-Bío. Il racconto del prigioniero accende l’immaginazione di Pedro; prende forma l’idea di portare a termine quel progetto incompiuto.
Inés dell’anima mia prosegue a Ciudad de los Reyes; un soldato assicura alla donna che Juan è morto nella battaglia di Las Salinas. Quel tipo non pare affidabile; Inés decide di compiere un ultimo tentativo. Sulla strada per Cuzco, deve difendersi dalle molestie dell’alfiere Nuñez; è proprio lui a indicarle la città, il magnifico fulcro dell’impero inca. Si dissolve ogni dubbio sulla sorte di Juan; appreso che la vedova fa domande in giro, Pizarro vuole conoscerla. Il governatore non si limita a porgerle le condoglianze; le consegna una borsa di monete d’oro, perché sopravviva fino al ritorno in Spagna. Inés intende restare a Cuzco; si guadagnerà da vivere onestamente. Pizarro le raccomanda discrezione, una virtù molto apprezzata nelle donne; il municipio le metterà a disposizione una casa.
Il messaggio è chiaro; Inés smetterà di domandare, ché su Juan non c’è più niente da sapere. La sua vita comincia quel giorno; si stabilisce in un’abitazione al centro della città. Dispone di tre indie al suo servizio; la più anziana è Catalina, che diventerà la sua migliore amica. Inés si prepara a esercitare il mestiere di sarta; inoltre si occupa dei soldati paralizzati o feriti. Catalina la istruisce nell’uso di piante medicinali; le insegna i metodi curativi peruviani.
Inés dell’anima mia la presenta come una donna magica; parla con i morti, prevede il futuro. Inés si dà a cucinare empanadas per le frotte di clienti; ne lascia sempre qualcuna per i derelitti, che si nutrono della carità pubblica. Secondo le conchiglie di Catalina, vivrà a lungo e sarà regina; ma il suo futuro dipende dall’uomo delle visioni. Tra i pretendenti figura Nuñez; più che un corteggiamento, l’alfiere attua un assedio estenuante e molesto. In una taverna, fa sfoggio di vanagloria; è grazie a lui che il destino si compie. In un angolo un uomo beve da solo; sul tavolo ha spiegato un pezzo di carta ingiallito. È Valdivia, diventato uno degli encomenderos più ricchi del Perù; studia una cartina disegnata da Almagro in prigione. Vuole trionfare là dove l’adelantado è stato sconfitto; la Spagna è il passato, il Cile è il futuro. Una voce da ubriaco lo scuote da questi pensieri; afferma che darà una lezione a una certa Inés, donna arrogante e presuntuosa. Valdivia deduce che si tratta della giovane vedova; intuito il piano dell’alfiere, lo segue in strada. Accade tutto rapidamente; quando Inés esce nel patio, Pedro ha già messo all’angolo Nuñez. Quella notte le loro vite si intrecciano; in un’aria densa di reciproco desiderio, la tempesta li scuote entrambi. Inés lo annuncia senza preamboli; è disposta ad amarlo per sempre. Sfacciata, scandalosa; lo penserebbe qualsiasi uomo. Non Valdivia; anche lui sente che sono nati per amarsi. Non potranno mai sposarsi; Inés non se ne rammarica. Vuole vivere la relazione senza pensare al futuro; senza curarsi della vergogna o del peccato. Sono anime affini; forti, autoritari, ambiziosi.
Condividono lo stesso sogno; Pedro vuole conquistare il Cile, Inés vuole essere al suo fianco. Chiarita una certa questione, Pizarro concede l’autorizzazione per partire; Valdivia gli ha dovuto restituire le proprietà che aveva ricevuto. Manca il permesso di Inés; per niente intimorita, affronta da sola il governatore. Ottenuto il documento, si reca dal Vescovo; in cambio dell’assoluzione, gli promette che in Cile farà erigere una chiesa.
“Andiamo in Cile, Inés dell’anima mia”; la partenza avviene una mattina del gennaio 1540. Il deserto sembra non finire mai; dopo cinque mesi, il colore della terra cambia e in cielo vola una coppia di uccelli. Inés dell’anima mia si spinge al febbraio del 1541; Valdivia pianta lo stendardo della Castiglia ai piedi della collina di Huelén. Preso possesso delle terre nel nome di sua maestà, vi fonda la città di Santiago della Nuova Estremadura; diventato Governatore, nomina Inés Governatrice. Nel volgere degli anni, Santiago cade e risorge; non ancora sazio di gloria, Pedro tenta nuove conquiste. Nella vita di Inés si affaccia Rodrigo de Quiroga; è l’inizio di una nuova stagione.

I manuali di Storia narrano la Conquista secondo una prospettiva oggettiva; Inés dell’anima mia ci guida dentro l’epopea, ne mostra la luce abbagliante e gli abissi di oscurità. Inés prende parte all’impresa; la fa, con l’anima e con il corpo.
Alberto Moravia indica nel cambiamento la reazione all’insofferenza; è questa la scelta di Inés. La vecchia pelle le va stretta; si detesta per essere nata donna, condannata alla prigione delle regole. Il Nuovo Mondo le pare un Eden; là è possibile ricominciare, essere una persona diversa. Là ognuno è padrone di se stesso; anche il più umile può arrivare in alto. La posta in gioco è notevole; vale la pena rischiare, anche per una donna. Soprattutto per una donna, se ha la tempra di Inés; la stessa di Giuditta, colei che decapita Oloferne. La sua fortuna fa storcere il naso a molti; la sarta è diventata una ricca proprietaria, addirittura Governatrice. C’è una sola spiegazione; ha soggiogato Valdivia con la lussuria, lo ha stregato con qualche incantesimo.
“La tempra è una virtù che viene apprezzata negli uomini, ma che si considera un difetto nel nostro sesso. Le donne con una forte tempra mettono in pericolo l’equilibrio del mondo, che pende dalla parte degli uomini, i quali provano gusto a vessarle e distruggerle. Ma sono come gli scarafaggi: ne schiacciano uno e dagli angoli ne escono molti di più.”
Tante accuse, tutte infamanti; nessuno comprende la fatica, le giornate interminabili, le notti insonni. Nessuno vede i calli alle sue mani; tutti si soffermano sulla ricchezza che quelle mani hanno accumulato. Il ventre di Inés non ha generato figli; ma la sua anima intrepida ha contribuito a creare un regno. Per la sua gente prova un amore materno; sogna di avere seni talmente colmi di latte da poter nutrire tutti. Inés incarna la Alma Mater; nella condivisione del pane, nella cura della vita umana, nel sacrificio di sé perché l’epopea possa compiersi.
Written by Tiziana Topa