“Accabadora” di Michela Murgia: un ciclo che ritorna?

“Accabadora” (Einaudi) è un libro sulla vita e sulla morte. Scritto nel 2009 dalla scrittrice sarda Michela Murgia, può essere classificato come un nuovo classico. Uno di quei romanzi che non puoi non leggere, perché non farlo sarebbe come fare un torto a te stesso. Non è solo per la storia in sé, ma per il modo in cui la Murgia scrive, per il gioco sadico racchiuso dietro le parole: costringe a scontrarsi continuamente con la pesantezza delle verità assolute.

Accabadora di Michela Murgia
Accabadora di Michela Murgia

“Accabadora” è un libro sull’abbandono e sull’appartenenza. Racconta la storia di Maria Listru, l’ultima figlia di una madre che non ha più spazio né amore da offrire.

Una bambina che viene ceduta con leggerezza a Bonaria Urrai, la sarta del paese, che vede Maria rubare ciliegie e decide di prendersi cura di lei. Un gesto piccolo, ma rivelatore: Maria cerca attenzione, cerca casa. E casa diventa la donna vestita di nero che la prende per mano e la porta via, tra i pettegolezzi del paese.

Ma non è solo una storia di adozione. È qualcosa di più sottile e feroce. È una storia che parla di legami scelti, e di quelli imposti. Di affetti che salvano, e misteri che consumano. Perché Bonaria non è solo una madre tardiva e affettuosa.

È anche una figura temuta, circondata da un silenzio che sa di notte e di fine. E Maria, che cresce amata ma ignara, dovrà prima o poi fare i conti con la verità che tutti conoscono, tranne lei.

Michela Murgia scrive con una dolcezza che graffia. Non racconta, svela. Non giudica, ma espone nuda la complessità del vivere e del lasciare andare. Il suo è un racconto cinematografico, legato insieme non da prolisse narrazioni, ma da scene vivide che si rivelano in tutta la loro potenza. Ogni episodio comincia piano, ti fa scivolare poi placidamente nel cuore della storia, che quindi singolarmente diventa un anello di congiunzione alla lunga catena del tempo.

La Murgia teme il superfluo, così ogni capitolo, ogni pagina, ogni frase, nascondono un significato profondo, quasi simbolico, necessario per lo svelamento dei segreti. Non c’è un’evoluzione lineare e continua, ma un percorso scandito da piccole esplosioni silenziose, ovvero scosse emotive che arrivano con discrezione, lasciando il segno.

“Accabadora” è anche un libro sulle fini. Sussurrate, taciute, ma anche persistenti e continue. Le fini raccontate passano alla storia quasi in modo invisibile: il boccone amaro è mandato giù in pochi attimi. Forse la repentinità nell’affrontarle è solo un meccanismo di difesa, una sorta di espiazione della colpa che Bonaria Urrai si porta addosso. Una colpa che in realtà è una virtù necessaria. Ed è questo il tema fondante dell’intera narrazione: non c’è giusto o sbagliato, ma solo senso o non senso, come sosteneva Carl Gustav Jung.

A Soreni, il paese dell’entroterra sardo in cui si svolgono i fatti, la moralità lascia spazio solo a ciò che si deve o non si deve fare, buttando via i giudizi, buttando via la giustizia. E Maria è l’unica che scappa da questo sistema, pensandosi razionale e giusta.

Michela Murgia citazioni
Michela Murgia citazioni

Ma Soreni non è solo un paese, è uno stile di vita. È un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, un mondo sospeso che ricorda il paese di Macondo in Cent’anni di solitudine. Non per la magia ‒ quella qui manca ‒ ma per quell’aura di realtà evanescente, di luogo che sembra galleggiare in una dimensione a parte, dove il tempo non scorre come altrove, e le generazioni si incastrano in un eterno presente. Soreni è un limbo in cui ogni piccolo evento, un matrimonio, un lutto, un cane intrappolato, persino una manciata di ciliegie rubate, diventa motivo d’inizio.

Maria sarà l’unica a spingersi oltre Soreni, a confrontarsi con la vita vera fuori dal paese. Ma anche questo viaggio non diviene un ritorno alla normalità: il mondo esterno, filtrato attraverso la sua esperienza, si trasforma in qualcosa di insensato. Perché chi nasce a Soreni resta inevitabilmente figlio dell’assurdo, abitante di un paradosso dove la tradizione e la libertà, la concretezza e il mistero si fondono in un’unica verità sfuggente.

In questo senso, Accabadora è soprattutto un racconto sui cicli che si ripetono, che travolgono una generazione dopo l’altra. Il titolo stesso lo suggerisce: in sardo, “accabadora” significa “colei che finisce”, e lo fa, seppur a malincuore, proprio per permettere l’inizio di qualcos’altro.

 

Written by Ilenia Sicignano

 

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