“URSS, un’ambigua utopia” di Yurii Colombo: cause e conseguenze del crollo dell’impero sovietico

Ho conosciuto Yurii Colombo in occasione di un incontro presso la Biblioteca della Rosta di Reggio Emilia, nel corso del quale sono state affrontate le diverse problematiche che occorrono attualmente nella nazione russa. Yurii m’è parso un tipo passionale, un misto di milanese e di russo, tenendo presente che quella milanese è una miscelllanea di tipi passionali e quella russa non lo è di meno.

URSS un’ambigua utopia di Yurii Colombo
URSS un’ambigua utopia di Yurii Colombo

La lettura di URSS, un’ambigua utopia di Yurii Colombo, e de La lunga ritirata di Boris Kagarlickij, filosofo e storico russo, nell’edizione curata dallo stesso Yuri, possono venirci in aiuto al fine di capire le ragioni di questi tragici anni.

Un’ambigua utopia? Un non-luogo che è esistito e che potrebbe tornare a esistere? È la Comunità Europea è un’ambigua utopia? Qualsiasi unione di genti, di persone, umani, è sia ambigua che utopica? Questo saggio politico, rigoroso e preciso, tenta di fornire un’attuale risposta al quesito. Non credo sia possibile giungere mai a una risposta definitiva ad alcuna questione umana.

La dedica de URSS, un’ambigua utopia è “A mio nonno Pavel Dunaev, combattente sovietico (1918-1941)”morto, a 25 anni, nel corso di una battaglia? La famiglia della madre di Yurii è russa. Probabilmente, di lui resta un ricordo fatto di immagini fotografiche e di frammenti di storie altrui. La dedica mi pare idealizzante e triste.

“… la mia non è un’opera storica, ma eminentemente politica.”tento di tradurre: in essa prevale la mia idea della politica, dell’arte di governare il politēs, il cittadino della pólis. Che ci piaccia o no, la politica è la scienza che ci permette di capire in quale Kaos umano siamo precipitati, o in quale Empireo innalzati. Tutto è mirabilmente e, spesso, orrendamente, in movimento: panta rhei.

Prima di ogni capitolo è inserita una Cronologia sintetica ed esaustiva delle vicende storiche occorse in Russia in quel periodo. La prima va dal 1917 al 1953. Segue, ogni volta, una definizione più discorsiva dei suddetti avvenimenti. Non ne produrrò una sinossi, in quanto finirebbe col diventare arbitraria. Suggerisco perciò la lettura diretta del saggio di Yurii. In essa sono espresse doxa, opinioni, descrizioni ed esposizioni scientifiche (e perciò falsificabili) di eventi storici. Il fatto angoscioso della Storia è che non è mai definitiva. Ed è il suo bello. Diversamente sarebbe un’epica religiosa, definitiva e assoluta. Questo non ti è mai consentito se il tuo fine è di capire.

Il 19 marzo 1919 fu pubblicato “Il libro di John Reed Ten days that shook the world” – e qui scopro che quel tomo, che da anni sonnecchia, nella versione italiana, su uno scaffale del mio corridoio, ai tempi di Stalin “verrà bandito” – e il mio pensiero si dirige alla voce secondo cui per l’attuale leader moscovita tutti i guai russi derivino da quel che accadde in quei mitici dieci giorni.

E Se il tempo fosse un gambero era una commedia di Iaia Fiastri e Bernardino Zapponi? Corsi e ricordi storici, viene da pensare, ricordando Giambattista Vico. L’eterno ritorno all’uguale, rincarerebbe la dose Friedrich Nietzsche. Nulla di nuovo sotto il sole e Tutto è vanità sono due frasi, tratte dall’Ecclesiaste, che amo ricordare. Sarebbe interessante conoscere l’opinione di Stalin in merito ai leader russi che gli sono succeduti. Dentro di me coltivo una relativa certezza di quale sarebbe il più disprezzato e il più esaltato. Chi figli, chi figliastri, verrebbe da dire. Alcuni, non di certo involontari, gesti pubblici, che hanno fatto scalpore recentemente, comprovano che quanto oggi è negletto, domani sarà probabilmente esaltato. Una traboccante congerie di stramberie è l’uomo, nel bene e, soprattutto, nel male. Egli pare non ricordarsi mai di quel che angustiò i suoi avi. Tanto che, prima o poi, finisce per augurarlo di cuore ai propri discendenti. Queste sono le prime considerazioni che m’ha ispirato la lettura del tuo saggio,

Quel che successe dal 28 febbraio al 17 marzo 1921, “la rivolta di Kronštadt” – mi spinge a domandarmi: che ne è ora degli ideali che la provocarono? È tutta carne gettata in quel fuoco? Oppure quel fenomeno andrebbe studiato, salvato e, solo momentaneamente, archiviato? Che ne è della “transizione alla Nep” e del “divieto all’interno del partito di attività di tendenza o di frazione”? – mi chiedo quante persone virtuose abbiano patito nell’accettarle. Ogni tanto il mio pensiero vola alla mesta ammissione da parte di un Giorgio Amendola, che un giorno confessò di non essere riuscito a dormire la notte successiva alla denucia di Chruščëv, nel corso del celebre XX congresso del partito comunista, nel 1956. Il peggiore dolore occorre quando un’anima buona deve fronteggiare le proprie eventuali colpe, mancanze, i propri disgraziati errori e misfatti.

Nella tua prosa, Yurii, così profonda e ben narrata, colgo un accorgimento intrigante. Ogni tanto interrompi una frase del tipo: “ha fatto notare Andrea Graziosi” – a cui segue immediatamente il riporto di quel che quell’Andrea ha fatto notare: “Lenin costruì, servendosi delle tradizioni e del modello del partito…” – etc, il che induce il lettore ad ascoltare con attenzione, come se il discorso fosse attuale. È un espediente retorico che consiglierei a chiunque volesse far rivivere quanto fu detto o scritto nel passato.

In La libertà di John Stuart Mill lessi qualcosa a proposito del corpo dei burocrati russi, che erano in grado d’inquietare persino lo Zar. Scriveva John: Hanno un tacito diritto di veto su ogni suo decreto: basta che si astengano dall’applicarlo. A pagina 63 de URSS, un’ambigua utopia, tu aggiungi: “… si forgerà un’alleanza spuria, instabile, armata e assolutamente imprevedibile tra lavoratori dell’industria e burocrazia sovietica che durerà fino alla morte di Stalin.” – salvo, all’occorrenza, presto però!, risorgere.

Mi fa rizzare i capelli, e non manca d’affascinarmi, il termine che colgo a pagina 99: “diamat” – che significa dialettico e materialistico insieme. Quanto dolore e quanta speranza deve aver scatenato!

Leggo a pagina 110 un pensiero che mi stordisce: i “russi che affermano di aver nostalgia per l’URSS” non pensano “all’era staliniana” – e fin qui lo capisco – “ma a quella brezneviana” – e qui, acquisita l’informazione, la infilo nel mio zaino. Una spiegazione è data a pagina 118: nel “sistema sovietico poststaliniano” si rinveniva un “paternalismo autoritario” – forse simile ad altri che funestarono ma anche illuminarono il ‘900, a seconda dei gusti, il secolo che fu definito terribile.

A pagina 121 leggo:La burocrazia che come stato sociale aveva avuto sorti incerte in epoca staliniana, sempre in bilico tra carruera e Gulag…” – questo moncone di frase mi fa rimembrare un altro passo del saggio di John, in cui si dice che lo zar, di quei burocratici, ne può spedirne in Siberia quanti ne vuole, ma non può governare senza di loro contro la loro volontà.

In Il mio paese e il mondo Andrej Dmitrievic Sacharov denunciava i nocivi effetti della vischiosa Nomenklatura, che gestiva l’amministrazione burocratica, assorbendo ovunque dei privilegi non indifferenti. Mi fa sorridere e gemere quell’“avventuroso tentativo di Gorbačëv di transitare verso un ‘capitalismo dal volto umano’…” – non potrebbe essere una mia pur vile speranza? Mai rinuncerei alla mia abitazione, al mio malandato conto in banca, ai miei cinquemila libri, che non riuscirò mai a leggere e a commentare! Quel che successe poco dopo, dici, rappresenta “la genesi e l’essenza socioeconomica di quello che oggi si definisce comunemente putinismo.” – forse anch’io potrei esserne un componente, magari svogliato e voglioso d’indipendenza intellettuale?

Unica risposta che mi viene al momento: Non lo so!

Accenni alla “separazione” di due “circuiti” finanziari: uno del cittadino, uno che intercorreva fra “le relazioni tra le imprese e le organizzazioni di proprietà statale…” – il pensiero è tratto da un pensiero di “Rustem Vachitom” espresso il  31 gennaio 2019: di soli cinque anni fa!

Quel che descrivi inquieta, ma chiarisce quanto l’uomo sia abile nel mischiare le carte, al fine di vincere la partita, specie quella finanziaria. In Russia capitò sempre più spesso che numerose imprese vennero “messe a disposizione di ditte straniere con le quali vennero create società miste e i lauti profitti equamente divisi tra nomenklatura e imprenditori privati.” – alea iacta fuit!

“Venne quindi formandosi una vera e propria classe capitalistica, all’ombra però dello stato come era del resto già avvenuto in epoca zarista.” – e fu dis-fatta la teoria marxista-leninista-trotskysta!

Evito di riportare il pensiero successivo: fa troppo ribrezzo! Lo giuro: vale il prezzo di copertina!

A pagina 172 de URSS, un’ambigua utopia citi “Vita e destino” – inclito capolavoro che divorai alcuni anni fa. Grazie a te, forse avrò finalmente il coraggio di leggere qualche altro romanzo di quel genio di Vasilij Grossman!

A proposito della citazione che fai dell’“Arcipelago Gulag di Aleksandr Solženitsyn” – ti dico, a mo’ di battuta (fatto non vero ma verosimile), che mi donò una forma di panico simile a quello che mi aveva provocato Le 120 giornate di Sodoma del Divin Marchese, tanto che uno psicologo mi consigliò l’urgente lettura del primo romanzo di Bukowski che mi capitasse tra le mani, stando attento al nome: Charles, e non Vladimir! Ormai, però, mi ritengo pronto a ingurgitare anche Il vento va e poi ritorna, di quest’ultimo!

Al termine del saggio parli di quanto fino ad allora avevi evitato: la “politica estera sovietica” – su cui preferirei glissare. Non so spiegarmi perché. Anche perché l’hai resa interessante e l’hai ben spiegata. Essa narra di finte alleanze che si trasformarono in micidiali oppressioni.

Leggo nelle tue Conclusioni:il passato è passato e ciò che è andato in frantumi è meglio evitare di aggiustarlo” – la quale è un’ammissione di entropia. Facile è rompere un bicchiere in vetro, che non è mai infrangibile. Assurdo sarebbe il proponimento di ricostruirlo. Assai più economico e facile è comprarne uno nuovo, che pure si romperà, anche se non necessariamente alla prima occasione.

Le alternative cosmiche sono: o la gravitazione universale che condurrebbe a una fatale Singolarità, o i tragici effetti del secondo principio della termodinamica, che condurrebbe al definitivo Kaos di quel fintamente ordinato Kósmo: il quale, per salvar le proprie umide penne, potrebbe cercare una via di mezzo in un neo-gorbaciovismo. Che rimane una speranza, al di là dei limiti che tu ben descrivi di quel personaggio, in cui tanti confidavano, e che giunse a vincere il Premio Nobel!

Mi piacerebbe che tu m’indicassi il tuo parere a proposito del cosiddetto rossobrunismo. Ma ti sarei ancor più grato se dimenticassi di rispondere al mio quesito.

Yurii Colombo citazioni passato
Yurii Colombo citazioni passato

Faccio un accenno ai due pensieri di Albert Einstein che riporti in conclusione dell’opera: a quell’“economia pianificata che adatti la produzione alle necessità della comunità…” – che “… distribuirebbe il lavoro fra tutti gli abili al lavoro e garantirebbe i mezzi di sussistenza a ogni uomo, donna e bambino.” – bello, vero? Ma che ne sarebbe di quel pregresso me medesimo che, a diciott’anni, fresco reduce dalla lettura di Eros e civiltà di Herbert Marcuse comunicò ai propri genitori che un giorno sarebbe diventato un ingegnere del nulla, che mai avrebbe combinato alcunché di utile economicamente e che non avrebbe lavorato nemmeno un’ora nella propria vita, che sarebbe stata destinato unicamente all’arte? Ma che poi avrebbe raggiunto una quota ingente di contributi previdenziali, condicio sine qua non avrebbe avuto diritto alla prestazione pensionistica? Vogliamo spedirlo in un Gulag… in un Lager? Oppure in fonderia? Magari in catene?

Lessi L’idiota di Fëdor Dostoevskij pochi mesi dopo, accettando il cogente consiglio di Rolando, mio padre. Dopodiché capii una scomoda, atroce verità: a essere candidi e immacolati come quel povero Lev Nikolàevič Myškyn si rischia davvero di far una brutta fine. Al massimo a cui si può ambire, in tali spregevoli casi, è l’attestazione alla propria umana sventura.

Il tuo concittadino Roberto Escobar, studioso di filosofia politica, in alcuni suoi saggi (soprattutto in I volti della paura) m’ha indotto a capire che i conflitti fra gli umani sono un bene o un male a seconda dei fini a cui sono rivolti. E, poiché la vita è soprattutto un film (e Roberto, che è un critico cinematografico, lo può testimoniare), vorrei concludere questa stramba reazione con questa scenetta allegra: tu e Roberto da una parte, il sociologo Algo Ferrari, che ha partecipato all’incontro presso la Biblioteca della Rosta, e il sottoscritto dall’altra, in una sfida all’ultimo sangue a biliardino. Voi milanesi usate dire Schersum mia!, quando intendete dire che non scherzate; oppure Schersèm minga!, se minacciate rappresentaglie in caso di scherzi sgraditi. Noi reggiani ci mettiamo invece la o: nuêter a n schersòm mia!, ma anche: schersòm mia, eh!La tua metà russa, come tradurrebbe? Мы вовсе не шутим!, oppure: мы совсем не шутим!

L’importante nella vita è poter ogni volta scherzare da seri, ed essere seri (non seriosi) allorché si gioca (per esempio a biliardino). E vinca il migliore, purché rispetti il perdente! Perché l’importante è continuare a giocare la propria partita esistenziale, insieme agli altri.

La libertà!, cantava il mai dimenticato meneghino Giorgio Gaber: essenzialmente la libertà è partecipazione!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Yurii Colombo, URSS, un’ambigua utopia, Massari Editore, 2021

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