“Come diventai monaca” di César Aira: un romanzo dalla struttura ad anello
Può un innocente gelato alla fragola diventare un casus belli dalle proporzioni inaudite?

Sì, può. Almeno è quello che succede in Come diventai monaca (Fazi Editore, 2019, pp. 112, trad. di Raul Schenardi), tragicomico romanzo dell’argentino César Aira.
Genitori e “figlia” si sono trasferiti a Rosario da un paesino molto piccolo dove non esiste il gelato. Per una sorta di battesimo della vita in città, il padre accompagna la figlioletta in gelateria, per farle assaggiare quel dolce di cui le ha a lungo decantato la prelibatezza.
La bimba sceglie un gelato alla fragola, rosa come il suo colore preferito. Ma qualcosa va storto. Non solo non lo apprezza, ma addirittura prova ribrezzo per quella crema dal sapore “immondo”. Il padre, prima deluso, poi adirato per l’ingratitudine della bambina, ne porta alla bocca un cucchiaino e verifica che sì, quel gelato è proprio disgustoso. Ormai fuori di sé dalla collera, l’uomo torna dal gelataio per protestare e, al culmine di un violento alterco, lo soffoca nel recipiente del gelato alla fragola.
Il padre finisce in carcere per omicidio mentre la figlia viene ricoverata in ospedale, vittima di un’intossicazione da cianidi alimentari. Guarita, inizia la scuola con tre mesi di ritardo ed è l’unica a non saper leggere e scrivere; in compenso possiede una fervida fantasia nella quale si rifugia. L’esistenza della bambina scorre tranquilla fino a quando si consuma l’atto finale della tragicommedia.
Come diventai monaca è strutturato come un’autobiografia parziale che ripercorre un solo anno di vita, dal sesto al settimo del protagonista, César Aira, un bambino che parla di sé al femminile; forse per questo il rosa è il suo colore prediletto.
“Vivere era colorarmi, con il rosa della luce sospesa, inesplicabile…”
L’autore gli ha prestato i suoi stessi nome e cognome e ci offre un esempio di autofinzione, secondo il termine coniato da Serge Doubrovsky.
“La mia storia […] è cominciata molto presto nella mia vita […]. L’inizio è segnato da un vivido ricordo […]. Prima di quello non c’è niente; poi tutto è proseguito formando un ricordo unico, vivido, continuo e ininterrotto […]”
Il dato autobiografico che si basa sulla memoria perfetta di César soccombe però al ruolo prepotente attribuito all’immaginazione. Essa gli permette di abitare in un mondo tutto suo, che è una zona esclusiva di felicità.

César si definisce una “bambinaproblema”, difficile da gestire. Il gioco, che è il suo spazio di libertà, a volte prevede la messa in atto di astuzie infantili innocentemente perfide. César è un artista della menzogna, dei depistaggi e delle invenzioni. Confonde il dottore, fa disperare la maestra, pedina la mamma quando va a fare la spesa. E sempre, sullo sfondo, la sua potente immaginazione che regge le fila del gioco.
La prosa di Aira è pirotecnica; essa parla con una soavità infantile che sa di zucchero filato e insieme con asprezza quando guarda al mondo degli adulti e alle loro beghe. Aira è argentino e il Sudamerica è la patria del Realismo Magico. Anche se Come diventai monaca non può essere propriamente inscritto in questo filone, pure ve ne scorgiamo labili tracce, come nella figura della nana autistica che è una specie di mistica guaritrice. D’altra parte, la scrittura di Aira produce un effetto straniante grazie alla prospettiva omodiegetica che ci fa vedere il mondo dalla parte di un bambino e tale straniamento conferisce alla storia un’allure surreale, ne fa una specie di fiaba grottesca.
Surreale è l’omicidio del gelataio la cui morte tragicomica ricorda quasi quella del gigante nano Margutte nel poema di Luigi Pulci, Morgante, dove il poveretto scoppia letteralmente dal ridere dopo aver visto la bertuccia che gli ha rubato gli stivali metterli e toglierli.
La struttura di Come diventai monaca è quella della ring composition: nel finale si consuma un’altra tragicommedia dal sapore dolceamaro di gelato alla fragola.
E la monaca di cui parla il titolo? Non ne troviamo traccia ma anche qui César ha voluto perfidamente confonderci con un gioco di parole.
Written by Tiziana Topa