“Racconti fantastici I” di Mircea Eliade: esiste una via d’uscita
“E il tenente mi aveva anticipato anche questo, che si prova una beatitudine indescrivibile nell’istante stesso in cui si è presi dalla paura, accerchiati da ogni parte, una paura che scaturisce dal profondo, dal centro stesso della vita, e se in quel momento non pensi «dev’esserci una via d’uscita!», allora sei perduto e non puoi più fare ritorno, resti sepolto vivo là, in quella cripta, nel cuore della montagna, in quella camera oscura, senza porte né finestre.”[1]

Il primo volume del tomo “Racconti fantastici” edito da Castelvecchi nel 2023 mostra un Mircea Eliade inedito, insolito ma al contempo conosciuto.
Mircea Eliade (13 marzo 1907 – 22 aprile 1986) fu storico delle religioni e filosofo, una delle menti più brillanti del ventesimo secolo che ha intervallato la stesura di saggi di imperitura memoria a racconti narrativi di genere fantastico che percorrono la strada del mistero, del culto arcaico e del motivo rituale.
Sono dodici i racconti presentati nel volume (il secondo volume è stato pubblicato dalla stessa casa editrice nel 2024): “La signorina Christina”, “Il serpente”, “Il segreto del dottor Honigberger”, “Notti a Serampore”, “Un uomo grande”, “Dodicimila capi di bestiame”, “La figlia del capitano”, “Il litomante”, “Una fotografia di quattordici anni”, “Dalle zingare”, “Il ponte”, “Addio!…” per un totale di 603 pagine. Principia la nota dei curatori Horia Corneliu Cicortaş ed Igor Tavilla ed una accurata prefazione di Sorin Alexandrescu che conobbe Eliade a Roma nel 1967.
La prefazione intitolata “Il mondo incerto. La narrativa di Mircea Eliade” descrive un uomo dai “gesti febbrili, talvolta esplosivi, talvolta maldestri, quasi sempre trattenuti, una calma imposta, controllata, dietro la quale ribolle l’inquietudine, o forse sorride la serenità. Parla poco, per lo più ascolta e osserva. Curioso, attento a tutto, felice non di insegnare, ma di imparare. […] Ripiega nel silenzio e nel fumo della pipa, affinché l’altro, non più sopraffatto dalla presenza dello scienziato, riveli la propria originalità in tutta naturalezza. Premuroso, semplice, spontaneo, pieno di tatto e cortesia in ogni circostanza, di una mitezza francescana”.
Parole dense che presentano il dominio dell’uomo sulle pulsioni, il lavoro giornaliero di chi ha cercato se stesso nel profondo, di chi, dopo l’incontro con la realtà ultima, è entrato nel “centro stesso della vita” per poi riuscire a fare ritorno.
“Sento questa beatitudine, sento che la paura mi stringe, e dico a me stesso, e dico anche a voi: esiste una via d’uscita!” scrive Eliade nel racconto metafisico e teleologico intitolato, non a caso, “Il ponte”, nel quale la coscienza oltrepassa la soglia della materia per apprendere una realtà metafisica che altresì non si sarebbe potuta conoscere.
Ogni racconto presentato in questo primo volume è caratterizzato da un finale aperto, l’autore lascia incompiuta la vicenda dei personaggi, manca totalmente la presenza di una morale, il bene ed il male si equivalgono, i punti di vista sono molteplici ed amalgamati sotto l’esigenza del tramandare un rito, un mito, una pallida ombra di un mistero che è vissuto o vive nella cultura del popolo (romeno ed indiano).
Rapiti come in una danza di iele[2] i lettori vengono circondati da sussurri, da sospetti non esplicitati, da ombre che si aggirano per le strade ma che non vengono illuminate, da rapporti amorosi con ciò che non muore ma che, cambiando forma, continua a parlare, a cercare un contatto palpabile.

Questi mondi ambigui evocati da Mircea Eliade presuppongono verità pluralmente interpretabili così come vuole l’oscurità stessa insita in ogni simbolo (dal greco συμβάλλω con il significato di “gettare con” “mettere assieme”).
“«No» lo interruppe con semplicità Andronic. «Io non ho la sensazione di essere già vissuto, molto tempo fa, in un’altra vita. Sento piuttosto di essere qui da sempre, fin dalla nascita del monastero…» «Va bene, ma sono poco più di cent’anni» intervenne il monaco senza mostrarsi stupito. «È molto più di quanto lei non creda, reverendo padre» lo corresse Andronic sorridendo.”[3]
In una interdipendenza tra i libri di saggistica e pagine fantastiche si scopre l’annullamento del tempo nel quale continuamente si rivive il momento di beatitudine estatica di matrice alchemica, tra luce ed oscurità, beatitudine e paura, meraviglia e sgomento.
“Se dimentichi, ti perdi.”[4]
Written by Alessia Mocci
Note
[1] Mircea Eliade, Racconti Fantastici I, Castelvecchi, 2023, p. 584
[2] Le iele sono creature immaginarie della mitologia romena: donne vestite di bianco il cuistrega gli uomini, appaiono solo di notte.
[3] Mircea Eliade, Racconti Fantastici I, Castelvecchi, 2023, p. 269
[4] Ibidem, p.575
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