“Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto” di Gianni Celati: il livore della stella
“Signora, mio marito ha sempre scritto molto, non ci riesce più…” ‒ “Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto”

Da tempo ipotizzavo di leggere Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto di Gianni Celati, ma non mi decidevo. La stessa cosa capita per ognuno dei tremila libri che posseggo e che ho finora soltanto sbirciato. Lo risparmio per la mia vecchiaia… mi dico ogni volta, celiando, ma in modo incerto. La certezza non è di questo mondo, assicurano i quantistici. Ogni fenomeno è indeterminato e la particella-libro, finché non è osservata in un qualche modo, letta, non esiste del tutto. Vagante onda è.
Tre giorni fa m’è capitato, per il solito misto monodiano di Caso e Necessità, d’imbattermi in un link telematico, risalendo il quale ho potuto accedere a una lezione svolta il 24 ottobre 2024 a Sondrio da Ermanno Cavazzoni intorno alla figura dell’amico e collega Gianni Celati. Fra le opere citate da Ermanno, c’è questa stramberia letteraria Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto, che fu ideata da Gianni nel corso di un viaggio, la cui ragione è ormai avvolta nell’oblio della memoria di Ermanno, che si concluse a Rio Saliceto, sorridente a modo suo cittadina della bassa reggiana.
Ho appena sparato un anacolutoide: dire l’oblio della memoria equivale a dire la povertà della ricchezza, il livore della stella, la miracolosa banalità. Il buio non annulla la luce: la preserva per l’avvenire. È la speranza illogica che dona senso alla vita, sennò sarebbe meglio fuggire lontano. Senza mai fretta, occorre sempre attendere il turno dei singoli accadimenti.
Mi recai tre volte nella città di Rio Saliceto, poiché, a pochi passi dal teatro, c’era (e m’auguro ci sia ancora) una pasticceria amalfitana che di domenica esibiva delle spaziali code d’aragosta, dette in taluni luoghi Sputnik, in altri Apollo, con la crema chantilly. Il teatro, sito in fondo alla piazza, mi parve grazioso, anche se, quando lo scorsi, avevo altro per la testa e una certa acquolina in bocca.
Ermanno ricorda che il sindaco della città mostrò a lui e a Gianni l’interno del teatro, che da poco era stato restaurato; e che, conclusa la visita, i due scrittori dovettero tornare in fretta a Bologna perché Gianni aveva l’urgenza impellente di creare quest’opera.
Scrivere è un partorire o un evacuare. Che poi da quell’atto nasca ‘na criatura oppure del materiale olezzante dipende dal miscuglio di cui dissi poc’anzi: un composto di Caso e Necessità.
Ermanno fa cenno al cognomen-omen Vecchiato, come indicativo di senso. È la storia di una senescenza vissuta con rabbia dal protagonista, un attore che ebbe un certo successo all’estero, specie nei paesi di lingua inglese. Come Gianni del resto, che gran parte della sua vita la passò nel Regno Unito e in America. Egli fu un traduttore di grandi autori come Melville (si pensi al racconto Bartleby lo scrivano, opera che ho ingurgitato in pochi ex-agerati sorsi tra ieri e ieri l’altro) e all’Ulisse di Joyce, che mi tormentò per un paio di settimane in un afoso luglio di parecchi anni fa. Quando ho tempo m’inerpicherò su per l’Olimpo a cercare quel tomone, per individuarne il traduttore. No, ci vado subito… chiedo scusa… un attimo solo…
Eccomi: Unica traduzione integrale autorizzata di Giulio De Angelis. Consulenti: Glauco Cambo, Carlo Izzo. Giorgio Melchiori: del 1960. L’edizione in mio possesso è del 1984.
Le sue 1000 e più pagine de Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto danno appena una pallida idea dell’immensità dello sforzo che deve aver richiesto, sia a Giulio che a Gianni. Ermanno narra della grande sofferenza che Gianni patì prima di giungere alla fine di quell’odissea joyciana: e pensare che la sua storia dura un solo dì!
Sembra che io stia facendo di tutto per non parlare di questa Recita… No! Sto facendo stretching!
È giunta l’ora di sollevare il tomino. E di riporlo subito dopo, poiché sento che debbo ancora scaldare il bicipite.
Quali sono le mie impressioni a freddo, ora che sono passati un paio di giorni dalla conclusione della lettura? Forse ho capito perché Gianni avesse imposto al fraterno amico di dar del gas all’auto per tornare al più presto a casa. L’urgenza di scrivere è orribile. Una volta che inizia il travaglio (o l’evacuazione) non si vede l’ora che termini. Diversamente è una finzione che spinge a crearne di più false ancora. La vera scrittura nasce dalla volontà d’individuare la verità straziando la stessa.
Gianni Celati aveva da poco compiuto sessant’anni. Non era vecchio. Sarebbe scampato un altro quarto di secolo. Però sentiva come il tintinnio di una campanella… Dling!
Miracoli che accadono a ogni nuova lettura: a pagina 13 di I cercatori di conchiglie di Rosamunde Pilcher, leggo: Rammentò in quel momento la storia di Maurice Chevalier. Come ci si sente a settant’anni? gli avevano domandato. Non tanto male, aveva risposto, se si considera l’alternativa.
Gianni inizia la sua finzione-verità con Vita teatrale di Attilio Vecchiatto. Si tratta di una dozzina d’interventi che ricordano la vita e la morte del nostro eroe. Il penultimo è stato scritto da Attilio stesso, l’ultimo è una citazione dal suo diario di un pensiero di Giacomo Leopardi, in cui si parla della tediosità della vita, intesa come “rappresentazione scenica”. Esistere è un apparire in scena.
Commedia, dramma o tragedia? Mé mêdra Rosalènda soleva dire: piânşer fa trî e réder fa trî, non muta il risultato; e: a la môrt ‘s rîva vîv, a quell’oteil otneve ci si accosta da vivi. Ma forse si può contare sull’eventuale ed eterno ritorno, sperando che non sia una barzelletta.
A pagina 17 m’imbatto in una rinsecchita stella alpina, lasciata lì come segnalibro.
Due attori stanno in scena: Attilio e la con-sorte Carlotta.
Faccio fatica a reggere la capacità di sopportazione che Carlotta dona all’ego-mirato Attlio. Ma mandalo a quel paese! dopo quello che dici che t’ha fatto! A me lui fa pena, sì! ma anche tu!
Non so se preferirei una moglie vittima del mio egoismo o una oppressiva. Un rapporto vero deve basarsi non sull’eguaglianza, che non esiste in natura – ove ognuno fa storia e misura a sé – ma sulla parità di diritti. È un sogno, lo so ma nun tengo genio ‘e scetarmi!
Dice lei ne Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto: “Signora, mio marito ha sempre scritto molto, non ci riesce più…” – questa signora è l’unico parvenza di pubblico che sta ascoltando i due teatranti, che a volte pare però addormentarsi… la commedia non sta destando un vivo interesse…
Dice lui: “Non interrompermi!”
Lei è la serva che serve (di Hegel e Totò): essenziale al suo padrone, che, premurosa, gli dice: “Attilio calmati, prendi la pillola!”
Poco del testo ho sottolineato, perché tutto è da salvare.
A pagina 72, lui dice: “Carlotta, siamo arrivati alla fine… Perché non moriamo subito? Dling.” Quel suono è la salvifica campanella che conclude il round!
Lei dice, poco dopo: “Ho tanto sonno, Attilio…” – l’entropia cosmica, che non reca sollievo, è una condanna irrevocabile.
Dice lui: “Non capisci Carlotta che non abbiamo nessun posto dove andare” – tranquillo, è il secondo principio della termodinamica che si occupa dell’atterraggio, la navicella umana, e il paradiso, altro non attendono.
Lui: “Saremo in riposo completo, senza un prima e senza un dopo… Nell’ordine del cielo che scorre, tutto sarà fermo per noi…” – quando c’incontreremo, mio caro, ti dirò della teoria secondo cui, in ambito locale, le due tendenze (attrattiva e repulsiva) potrebbero collaborare fra loro. Ogni teoria è però una falsificabile balla, direbbe Karl Popper.
Scocca ora il lieto fine con Carlotta che dice: “Attilio.” – e con Attilio che dice: “Carlotta.”
Siano benedetti quei due full stop, quei due colmi punti!
Leggo nella Nota: “La mia ricostruzione dell’ultima recita di Attilio Vecchiatto è senz’altro molto arbitraria. Si basa su pochissime…” – oh… grazie caro, hai fatto di più di quanto ti competeva,
Seguono i Sonetti di Attilio Vecchiatto.
Ermanno ricorda la definizione di sonetto che gli donò Gianni (e che lui memorizzò): è un castello di stuzzicadenti in un deserto – metafora ex-agerata e bella, fragile e ir-reale. Nessuno mai si prende la briga di perdersi in tali minuterie, se si trova in un deserto, da dove urge uscire al più presto, a meno che tu non ti chiami Carla Pedrotti e non intenda scrivere un reportage. E a meno che tu non sia un beduino. Ma tale è ogni poeta: un itinerante in sabbiosi luoghi.

Ormai esasperato, cito un verso di 1. Ritorno in Italia: “Non patria ormai ma fogna dell’orrore” – coi genitori ricoverati all’ospizio, con dei padrini che non si vorrebbero manco come condomini.
In un paio di sonetti si parla di “sgonfiotti” – di cui l’arcano poeta sa rinvenire 5 parole rimanti
Un paio di versi di 11. Gli impiegati dello stato, scatenano in me un’ovvietà: anche loro si sentono talvolta (ma non sempre!) “spazzatura” – nel loro periodico tramutarsi in spettrali utenti.
Gianni Celati è un poeta nordace, Grrr!, che non disdegna la fama, pur disprezzandola… e dicendo dice di lei che “È l’insensata fola di un pitocco”.
La silloge poetica è un perverso peregrinare da un’insofferenza all’altra, da un gemito all’altro, da un’accusa all’altra, da una rimembranza all’altra.
Un accenno a “… Rio Saliceto che un dì m’accogliesti,/ Col tuo sindaco Fiorisa Mariani…” – la quale è ora con te Lassù!
Graziosa è la chiusa dell’ultimo sonetto: “Polvere che s’impasta quando piove,/ E Vecchiatto è tornato non so dove.”: a scriverlo fu un vivente, e se questo non è un prodigio!
Certo che sei un umano insopportabile! E io non sono mica Carlotta, che (quasi) sempre ti accetta per quel che vali…
Capisco “Il fumo” che ti “gettò in faccia” il mite “Bertolt Brecht”… uomo schietto come uno schiaffo al buio – s-cètt cme un s-ciaf a l’orba!
Leggere e scrivere, fare arte, non è mai un’accusa, bensì un mutuo, irrevocabile per-dono.
Casomai ti sentissi in cardacia, angoscia in cilentano, sappi che anche la mia tetragona genitrice, col mio amato padre, mi sta occhieggiando da Lassù, da quel palco dell’Ufficio informazioni.
Mamma non è mai stata una burocrate, per cui, quando mi rivolgo a lei, ogni volta mi risponde teneramente ammiccando, ripetendomi l’eterno adagio: a la môrt a s’ rîva vîv!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Gianni Celati, Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto, Feltrinelli, 1996
Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto

