“Pollyanna” di Eleanor H. Porter: la gioia di essere vivi
La Pollyanna creata da Elenaor H. Porter è magica, nel senso etimologico: è grande, è potente, è piccola, è debole, è da amare e da essere da lei benvoluti, è da difendere e da essere da lei protetti.

Emil Cioran scrisse, un bel dì: “Se la donna fosse dal nostro spirito, il genere umano non sarebbe durato una generazione” – e il filosofo, che un giorno assurdamente entrerà nel novero dei miei amici, aggiunse: “Siamo tutti in fondo a un inferno, dove ogni attimo è un miracolo.” Sono paradossi? Cos’è lo spirito di un uomo? E lo spirito di una donna? Sono enti diversi? Se penso ai due gatti da me amati, di due sessi diversi, non colgo differenze, se non… in non so che…
Pollyanna è la gioia di essere vivi. Ed è definita da uno dei suoi fan, il “dottor Chilton”, un “farmaco” – certe persone, nel frequentarle, ti debilitano; altre ti donano la loro energia. Questa condizione esistenziale prescinde dal sesso, ma il modo femminile di Pollyanna di farsi amare amando, di donarsi ricevendo, è fantastico. Ed è una favola che potrebbe presto avverarsi.
Ha avuto un’infanzia disgraziata, avendo perso entrambi i genitori. Viene accolta in casa da “zia Polly”, che non è per nulla entusiasta dell’idea di farlo, ma che accetta questo compito perché non può evitarlo.
Pensando alle sue lentiggini, il mio pensiero corre ad Anna dai capelli rossi, scritto più o meno negli stessi anni da Lucy Maud Montgomery. Entrambe bimbe orfane, entrambe accolte da gente con cui si sono dovute rapportare, con maggiore o minore fatica. Entrambe capaci di mutare sé nel trasformare l’Altro, pur rimanendo coerenti alla propria natura.
Per quanto zia Polly tratti con rigida freddezza la nipote, questa non sembra accorgersene, ché crede in lei, nel suo essere l’amata zia. La quale è una persona che ha quasi scordato, semmai l’avesse mai conosciuto, il significato del verbo amare. Che esiste, ché diversamente Pollyanna, scavando con il suo solito entusiasmo, non lo rinverrebbe. Entusiasta è chi è ispirato da un Dio, dall’Essere Superiore che è covato nel suo Spirito. E che sa risvegliarlo in quello del suo prossimo.
Pollyanna dà alla luce l’amore che alcune persone non riescono a partorire in modo naturale. È un medico che cura lo stesso dottor Chilton che, come gli altri, subito non sa riconoscere il carisma, che in lei è troppo evidente per essere visto. Ma che, a poco a poco…
La prima sensazione che si prova, nel primo contatto con lei, è di sorpresa, poi quasi di fastidio, motivo per cui si distoglie lo sguardo. Poi ci si chiede che sia mai successo. E si comprende che si tratta di un fenomeno raro: l’Altro è una parte notevole di noi, che era sepolta nel nostro imo, come se fosse deceduta alla nascita. No, è viva ancora. Salviamola.
La fortuna di Pollyanna è che il mondo non è composto da persone che si espongono del tutto, come fa lei e da altre che si sforzano, per pudore o per egoismo, a celarsi. Ci sono anche le persone che stanno a metà, come la giovane Nancy, che lavora per la zia, compatendola e disprezzandola per i suoi comportamenti. Lo fa per un bisogno economico, non per altro. Ed è Nancy che capisce per prima che tipetto è questa fatata (donatrice di fato) creatura. S’accorge del pericolo che lei corre in quel mondo borghese, tetramente rivolto verso di sé. E dice al suo amico Timothy: “Immagino che per questa benedetta bambina non sarà affatto divertente, cercare di convivere con quella là; e credo proprio che avrà bisogno di qualcuno che la protegga. Molto bene, quel qualcuno sarò io…”.
La sua funzione sarà dire al momento giusto la cosa necessaria, smuovendo le acque.
Agli occhi della zia, Pollyanna sbaglia sempre un po’, e poi affronta il giusto castigo come se fosse un dono dettato dall’amore. La zia non vuole che lei parli di suo padre, che per la famiglia della madre aveva compiuto il fatale disastro: lui, un ministro di culto squattrinato, aveva sposato una ragazza che poteva interessare a un pretendente ben più ricco.
Il padre, che ha trasmesso a Pollyanna gran parte della sua bontà, le aveva insegnato “il gioco del ‘basta solo essere contenti’…” – che è semplice come meccanismo: non un mero prendere il mondo come viene, ma accogliere l’esito del proprio destino come il migliore dei mondi possibili, forse non nel senso indicato da Leibniz, ma in quanto occorre rinvenire il bello ovunque, anche nella disgrazia. Desideri una bella bambolina e scopri che nella cassa ci sono due stampelle? Ringrazia il cielo, e sii contenta del fatto che non te ne devi servire! Semplice, no? È un gioco che non contempla la sconfitta, nemmeno per ipotesi. Qualcosa di simile lo disse mia cugina Savina ai suoi figli, quando questi si lamentavano che c’era solo quello da mangiare. Al che lei rispondeva: C’è questo!
Pollyanna lo insegna a tutti tranne che alla zia, perché non sa rinunciare alla premessa (che è essenziale): gliel’ha insegnato il suo papà, e zia Molly non vuole che lo si nomini.
La zia vuole il bene per la nipote, per cui le organizza, attimo per attimo, il suo tempo, spiazzandola. Dice Pollyanna: “Ma, zia Polly, zia Polly, non mi hai lasciato nemmeno un minuto solo per… per vivere.” – una condizione esistenziale sconosciuta per quella parente che ha solo un pezzo del suo nome! Anna deriva dall’ebraico Channah, che significa favore, grazia.
Annuncia quella meravigliosa bimbetta: “Soltanto respirare non vuol dire vivere!”
La zia, per miracolo, capisce la richiesta della consanguinea, a cui dona un po’ di tempo tutto per sé, non solo una stanza con dei tappetti e dei quadretti, anziché un’arida soffitta, non solo il vitto e la possibilità di studiare, non solo il mantenimento in vita. Gli dà un’accoglienza ricca di sentimento.
E le permette di uscire, per fare delle commissioni. Pollyanna ama farlo, perché così conosce il mondo e chi lo abita. E può iniziare un discorso d’amore con tutte le persone che incontra, a cui si correla, identificandosi con i loro problemi, i loro drammi, le loro angosce.
“L’aria era meravigliosamente fresca! Pollyanna quasi si mise a ballare per la gioia e inspirò l’aria frizzante a pieni polmoni.” – per fare tutto ciò è stata costretta a evadere in un modo non consentito. Per cui verrà punita. “… e per la terza volta la punizione veniva accolta come una ricompensa speciale. In effetti, non c’era proprio da stupirsi che miss Polly si sentisse spaesata.” – quando una punizione non è vissuta come tale, si corre il rischio di dover rettificare il proprio senso etico dell’esistenza. Una cosa che fa temere il peggio.
Dice quella monella saltellante e deliziosamente santarella: “… io le adoro, le persone diverse.” – e questo non può che rallegrare il lettore, chiunque egli sia.
La zia talvolta le dice che è “proprio una bambina particolare!” – e questo lo intuisce un uomo che incontra per strada, che è sempre torvo e gravido di problemi irrisolti, ma che è così chiuso in sé che non arriva mai a terminare la frase: “Oh, be’, certo che sei proprio una bambina…” – e le rimanenti parole gli rimangono a metà gola.
Quando è felice, cioè spesso, Pollyanna ama sbattere le porte, e il fatto non va giù alla zietta. Ora tocca a quel frugoletto a dire la sua: “… Sono sicura che se ti fosse venuto da far sbattere porte lo avresti fatto, capisci; mentre se non lo hai fatto, significa che non sei mai stata contenta di niente, altrimenti le avresti fatte sbattere. Non saresti riuscita a farne a meno. E mi dispiace così tanto, che tu non sia mai stata contenta di nulla!” – questo dice, bella e schietta!
Per lei le parole sono quelle che si dicono, non quelle che si dovrebbero dire: “Pollyanna prese fiato ma poi, com’era sua abitudine, rispose alle domande che aveva interpretato alla lettera.” – un limite, senza dubbio, che deve essere ogni volta superato.
“Zia Polly dice che si tratta di ‘imparare a vivere’…” – afferma la nostra eroina, che non è d’accordo e non sente il bisogno di esserlo: è un altro suo limite, che un giorno, bello o brutto, forse supererà.
Uno dei suoi solidali, John Pendleton – che è poi colui che non riusciva a concludere quella frase, la informa di un suo terzo limite: “A volte la tua lingua corre più veloce della tua testa, vero, Pollyanna?” – non so se è poi un limite, nelle parole che escono da noi senza l’imprimatur sancito da chissà chi, o da Chissà Chi, c’è un anelito alla libertà. E qui mi viene in mente la celebre frase tratta da un film di Edoardo De Crescenzo: a libertà a libertà pure o pappavall’addà pruvà!
Il signor Pendleton comincia a voler bene a questa salvifica lentigginosa e le dona “una manciata di prismi” – e non dico altro perché la tua scrittura, Eleanor, merita di essere letta in primo luogo in quel taumaturgico libro e non tanto negli eventuali riporti. Le dice poi quell’uomo, non più torvo grazie a lei: “… secondo me sei tu, Pollyanna, il prisma più prezioso di tutti.”

Il padre della bambina era un tipo simile: “Naturalmente diceva sempre che era contento, ma la maggior parte delle volte aggiungeva anche che non avrebbe fatto il pastore un minuto di più, se non fosse stato per le scritture felici.” – cioè “tutti quei brani che cominciano con ‘rallegratevi nell’Eterno’, oppure “gioite grandemente’, o ‘cantate con gioia’ e così via. Ce ne sono tantissimi. Una volta, quando papà era molto giù di corda, li ha contati. Ne ha trovati ottocento.” – erano anch’esse parole dette più velocemente del pensiero di chi le aveva formulate?
Lo sai cosa mi piace di te, Pollyanna, a parte tutto, compresi i tuoi limiti? Quello che ti accomuna a me, a quel che ero da bimbo e che sono tuttora: ti fai sempre “una caterva di domande” – in questo siamo gemelli (ingiustamente?) separati alla nascita.
Poi ti succede quel problema che sai e che bisogna leggerlo direttamente nel libro di tua mamma Eleanor. Che ti toglie per un po’ della tua capacità di essere contenta della sorte che ti ha sorriso in maniera triste.
Ed è ora quel brighella di Jimmy, che tu hai tolto dalla strada a cui era destinato, che ti aiuterà a rimetterti in piedi. Per un attimo ho sognato di essere al suo posto! È il catalizzatore che ti aiuta ad accedere a quel cammino che t’è al momento impedito.
Grazie a lui (e ai tanti tuoi solidali) riesci a fare “Sei passi totali” – lo dici in quella lettera che conclude il romanzo, e poi ti riprometti: “Domani farò otto passi.” – e poi venti, cento, mille. Poi scalerai la montagna più alta!
Il tuo libro me l’ha suggerito mia figlia, Pioli-Anna. Siete parenti? A entrambe non so se regalare un detto che pare triste solo se vuoi continuare a esserlo. Ma sì dai! Te lo spiattello ora. Tó al bòun quând al vîn e ‘l catîv quând al câpita!: prendi il buono quando viene e il cattivo quando capita!
Un’ultima domanda, prima di lasciarti: l’hai conosciuta quella piccola montanara, anch’essa orfana, di nome Heidi? Che coppia di fantastiche casiniste sareste!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Eleanor H. Porter, Pollyanna, Gribaudo, 2021