“La grande orchestra” di Giorgio Manacorda: sarà la fine di tutti i viventi?

Leggo le due pagine scritte da Alfonso Berardinelli, che precedono La grande orchestra di Giorgio Manacorda, e mi soffermo sul punto iniziale: “Un poema, sì un poema come non se ne erano mai visti.” – dopo di che colgo altre affermazioni, alcune delle quali sono condivisibili. Altre, non so ancora: non si può sapere tutto, nella vita. Non sono mica un motore di ricerca, io. Ognuno possiede il suo bagaglio culturale, che usa in genere quando erra, quando viaggia, quando sogna.

La grande orchestra di Giorgio Manacorda
La grande orchestra di Giorgio Manacorda

Un poema? Un’opera in versi più ampia del consueto? Anche Une saison en enfer lo è? Anche Illuminations? Ho citato le due opere più estese di Arthur Rimbaud non per caso. È il mio spirito guida (mon guide spirituel) e poi, se mi si chiedesse di dare entro tre decimi di secondo una definizione di quel che ho letto (dopo aver centellinato la silloge, suona già meno eroica, vero?, di Giorgio dal 29 giugno al 10 luglio), direi: poeta simbolista. Tipo Rimbaud? Verlaine? No: tipo Mallarmé. Ad Alfonso, direi: mi ricorda anche Sturloni… Chi è Sturloni? Stefano! Ah! Leggendo il suo Ipoesie ho riscontrato un’analoga ricerca di significati: individuati, e poi scolpiti sulla carta.

Chi mi conosce (chi non mi conosce farebbe fatica) sa che io non amo dare voti. Se mi si chiedesse se è più bravo come attestatore di esperienze Giorgio o Stefano, risponderei dicendo la verità: Non lo so! In che senso, entrambi, Giorgio e Stefano, sono autori di poemi, di sillogi tese a rappresentare uno sforzo epico, eroico? Per entrambi, non vale la possibilità di restare sospesi a rimirarsi mentre naufragano nel mare della vita, come accadeva a Giacomo Leopardi. Loro sono intendono verificare il fenomeno e a circoscriverlo tramite le parole. Così tentò di fare Plinio il Vecchio durante l’eruzione del Vesuvio. Che non s’è capito come sia morto. Era lì ed, essendo uno studioso, non volle perdersi l’occasione di analizzare quel determinato accadimento. Se ne avesse scritto un poema, quello sarebbe stato epico. Ma non fece in tempo. Ci sperò. Ci spirò.

Il poeta è colui che si augura, anche restando a casa, mirando il cortile dalla finestra (come era uso fare Giacomo). Oppure la tivu, ma solo quando è tediato da sé. Oppure parte, dove sa lui. Stefano scrisse le sue Ipoesie andando sotto terra, facendo lo speleologo. In un analogo senso, Giorgio è uno che si spinge lungo lo stretto per allargare l’orizzonte.

Scrive ancora Alfonso nella prefazione de La grande orchestra: “Ogni quantum di energia di energia poetica si è imposto a chi scriveva nell’atto di comporre, creando un effetto di fluidità ondulatoria. Il risultato finale…” – che è ogni volta provvisorio… Né può essere diversamente: Panta Rhei, con la r durissima – “… non poteva che essere difficilmente definibile, e quindi non facilmente leggibile perché caratterizzato da una leggibilità inusitata.”: lessi la Prefazione (ha senso definirla così?) di Alfonso con beneficio d’inventario. Poi assorbii l’opera estesa di Giorgio. Infine affrontai nuovamente, con maggiore attenzione, le due pagine di Alfonso.

La particella, per Niels Bohr, esiste solo allorché è attestata. Diversamente, è soltanto un’onda di probabilità: un quid che difetta in partenza al poeta o al fisico, che è solo in grado d’isolarla dal resto del Kósmos, che vuol dire Ordine, ma che in genere scorre per i fatti suoi, badando ai nostri. Noi siamo parti di quella Eterna Direttiva, eppure possiamo dire (e scrivere) la nostra doxa. È quello che fa Giorgio, che fa Stefano, che faccio io, suo omonimo, e che fa Alfonso. Ognuno ha la propria, Individuale, importanza, che si connette con quella Generale: un gioco di (illimitate) parti.

Giorgio e Stefano, poeti, la manifestano, dapprima nel privato e poi nel pubblico. Dopo infinite riletture, immagino. Poi toccò ad Alfonso. Poi a me. Poi a qualcun altro.

“che i patti scellerati hanno affogato/ sugli scogli dei sabba che la storia” Una coppia di endecasillabi (la misura scelta dal poeta: in coppia; l’ultimo verso è a volte isolato: dando l’impressione del momentaneamente definitivo).

“nei cieli occultati dagli stalli/ dei nembi e dei cirri di materia” Versi che paiono (che sono) scolpiti e cesellati. Io non sono bravo a contare le sillabe, diversamente da mia figlia Anna, che m’aiuta a farlo: “nostra è la via dell’anestesia” – in cui ci assopiamo. Vi sono regole che noi umani… lasciamo ai poeti. La strofa è corta, quasi trangugiata. Le regole sono le regole: vanno accettate con l’accetta, che sembra deprivare un verso, mozzando l’inutile.

“Ho chiesto tante cose e mi ha risposto/ un muro che ascoltava un altro muro.” Capita allo speleologo che tanti muri di roccia incontra, nel tragitto. Ognuno ha il Tao che si merita, che è lo stesso per tutti, a sentire Zhuang-zi, pur parendo composto dei più svariati materiali.

“appena al largo i galeoni armati/ le pire fiammeggianti sulle onde” che contribuiscono, nel loro piccolo, al riscaldamento globale.

“trovò l’imbuto e nacque la clessidra/ il tempo misurato un cataclisma”Time is an illusion, tenta di spiegare Julian Barbour. Carlo Rovelli assicura i suoi simili che esso non esiste. E che lo spazio è un quid che vortica su di sé, looping.

“accanto ai miei defunti, la classidra/ lapide sepolcrale sulle ceneri” Il tempo scorreva anche prima dell’invenzione dei minuti, primi e secondi. È un granello che scorre senza esistere.

“è solo una puntura rossa il fiore/ la santità chiodata conservata// nel piombo profumata di mitraglia.”

Qualsiasi ente, conservato, mantiene la sua eternità: a thing of beauty is a joy for ever (John Keats). Ieri ho fotografato un cucciolo di passero schiantato da un’auto. La sua immagine mi sopravviverà.

“È la mia blanda forza il mio vigore/ che le rocce non scava ma accarezza” Non serve distruggere quel che è. Semmai lo si trasformi in un verso.

“Cullate il vostro sogno infantile/ d’essere ricchi delle grandi luci” Io sto ancora, per sempre, crescendo. Quando cesserò di farlo, rimbambirò.

“l’estasi è una tortura è un andare/ con la pelle allo strazio delle stelle.” E la follia ci stimola a proseguire.

“cieche falene bozzoli ormai spenti/ bachi senza la seta e senza il volo” Ognuno con la sua immaginazione.

“Sarà la fine di tutti i viventi,/ ma io sono sereno non c’è nulla// di cui preoccuparsi, gli animali/ non avranno il tempo di parlare” … e poi continua…

Ogni tanto penso al dubbio di Hilary Putnam, espresso in Ragione, verità e storia. Quanta certezza abbiamo di esistere e di non essere dei cervelli immersi in una vasca? O si è l’unico natante?

“miei discendenti spenti, è la follia/ di credervi dovunque e per sempre// fonte di ogni vera energia.” Vi sono finte energie? Tutte potrebbero esserlo? Almeno in certi attimi?

“gli altri l’hanno l’Io e il Superio/ che immateriale sembra anche lui Dio” Se Dio non esiste, poveri noi.  La stessa povertà sarebbe illusoria.

“dentro quei doloranti quei frammenti/ accanto e dentro questa metafisica// che noi chiamiamo come fisica” Tutto va oltre se stesso, per poi rientrare, al momento, nei ranghi.

“contro il cielo sereno, è la sua scrittura?” questo tuo parzialmente finale verso, come quello di Omero, non è (ancora) giunto fin lassù. Ma t’ha indotto a scriverne. Prima o poi noi e il cielo c’incontreremo. Attendiamo, senza fretta.

“comunque il capidoglio grigio albino/ svanisce in un inchino sotto il mare” Danceur sazio d’umani applausi.

“chi mi tace e mi spegne e strappa il verbo/ attraverso quel vetro nella nera” Cercasi strophic trainer disperatamente!

“in tutte le derive e le rive/ in tutti i flussi e tutti i riflussi” In ognuno di essi, vo galleggiando. Fiero sono “della mia materia aleatoria.” L’importante resta quel fatto: “suona il terraglio suona la poesia.”

La poesia 69 de La grande orchestra canta la quantistica. Leggetela!

Nella 74 de La grande orchestra mi citi, alla fine, grazie! “pioli della mente che mi sente.” E che ti osserva, determinandoti, sereno.
Nella 79 alla fine hai l’acuto: “senza l’amo, è facile, io t’amo.” Esca la poetica esca, allora!

“dov’è l’anima, l’anima? Non so/ se lirica è questo poco d’estasi.” Dov’è Dio? Non so. É forse uscito?

“nella composizione minerale/ in quella sua grande cattedrale” Dove ci troveremo a pregare tu, Stefano, Alfonso e il sottoscritto. Brindando fino all’ebbrezza, poi.

“L’autunno invernale delle foglie/ l’autunno invernale delle voglie// l‘autunno invernale delle soglie,/ nell’autunno invernale delle spoglie,” nell’autunno di chi non ha moglie?

“Saper che le donne sono cave/ come le navi e scavi e non trovi” che la tua disillusione: sei cavo pure tu.

“l’energia magnetica dei poli/ ormai è conseguenza esplosiva” per un attimo ho temuto un refuso: -i-!

“piccolo universo cosmo sogno/ piccolo bisogno degli umani// piccoli asceti piccoli poeti/ piccole invenzioni dei sementi” Per essere poeti occorre non superare i tre metri d’altezza.

Giorgio Manacorda citazioni
Giorgio Manacorda citazioni

“superando il terrore di dio/ assoluto impietoso, la poesia.” Quell’horror vacui

“tutto incappellato e incappucciato/ con il sigaro spento lì di lato”. Il poeta serve a spirare l’inesprimibile. E repetita (saepe) iuvant!

“delle mosse dei refoli del tempo/ flotta la vela su quel sole spento” … diversamente acceso, per il poeta.

“ti serve una lanterna musicale,/ una guida banale eppure eterna”. Che Salvatore Patriarca per sempre elogiò!

“del non pensato solo epifanie/ è la poesia è un velo inconsistente” Mi permetti una piolata? Essa è una Maya-lata.

“nel lago pesci morti rimorenti/ mentre le pietre l’ossa degli umani”: contribuiscono, nel piccolo, all’entropia.

“Ho provato a cantare senza alzare/ la voce dei lamenti, ah le parole” … troppo ambiguamente sconosciute!

“Ma la poesia deve immaginare/ ciò che nel mondo non è mai accaduto.”hic et nunc!

La 130 de La grande orchestra, a cui da seguito un mestamente allegro Epilogo qui, parla di lei, la Decisiva.

“superata la chimica del mondo/ se sarà assente io radicalmente” … sarò presente-assente, come mia costumanza.

Ultimo, cogente, quesito. Perché il tutto è stato somministrato in appena tre Movimenti? Chiedetelo al poeta. È lui il Cosmico Direttore… dell’Orchestra!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Giorgio Manacorda, La grande orchestra, Elliot, 2024

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

OUBLIETTE MAGAZINE
Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.