Botto e Bruno: la società contemporanea distrugge se stessa?
Il sodalizio di Gianfranco Botto e Roberta Bruno, poliedrici creativi torinesi formatisi all’Accademia Albertina di Belle Arti, dura ormai da molto tempo; la loro ufficializzazione ad alto livello come duo artistico si può datare al 1992.
All’inizio del loro percorso Botto e Bruno si sono concentrati nell’indagare e riprodurre l’abbandono e il degrado degli spazi urbani nelle periferie cittadine, realizzando video e opere complesse; la loro produzione è ricca e numerosi sono i riconoscimenti internazionali.
Nel 2001 partecipano alla Biennale di Venezia con ‘House where nobody lives’, un titolo che riprende una canzone del cantautore e attore statunitense Tom Waits:
“There’s a house on my block that’s abandoned and cold
The folks moved out of it a long time ago
And they took all their things and they never came back
It looks like it’s haunted with the windows all cracked
Everyone calls it the house
The house where nobody lives”
(C’è una casa nel mio isolato che è abbandonata e fredda/ La gente se n’è andata molto tempo fa/ E hanno preso tutte le loro cose e non sono più tornati/ Sembra che sia stregata con le finestre tutte rotte/ Tutti la chiamano la casa/ La casa dove non vive nessuno)
In realtà quelli che vengono presentati sono spazi e case dove qualcuno è presente, vivendo un’esistenza misera, solitaria, randagia e quasi invisibile.
Una delle loro installazioni più famose, ‘The ballad of forgotten places’, dopo essere stata esposta ad Atene, a Lisbona e a Nizza, dal 2020 è proprietà dei Musei Reali di Torino.
L’opera si presenta dall’esterno come modello di una struttura industriale in disuso; all’interno, invece, sulle pareti sono inserite grandi immagini, ritagliate e composte, rappresentanti spazi deserti e rovine di varia provenienza, riunite in un paesaggio reso unico e continuo da un ritocco pittorico che avvolge le cose, così come fa il tempo che scorre, con una velatura omogenea.
Il visitatore entra nella struttura ed è trasportato in un luogo inatteso e sorprendente. Un riuscito capovolgimento scenografico, dove entrare nell’opera corrisponde a uscire in uno spazio aperto. Al centro dell’installazione, collocato su un grande blocco bianco, troviamo un libro di 150 pagine che possono essere sfogliate dal visitatore; all’inizio del volume le pagine presentano fotografie nitide e riconoscibili di strutture e periferie, poi, procedendo, le figure diventano confuse e si disperdono in una sempre più insuperabile opacità. Allo stesso modo le realizzazioni del nostro recente passato e del presente, una volta abbandonate al degrado, sono destinate a essere cancellate dalla nostra memoria.
L’analisi critica di questo nostro mondo moderno, così fiero delle sue opere grandiose ma effimere, ritorna con insistenza nelle visioni di Botto e Bruno. Con i loro sguardi attenti e severi, senza inutili lamenti o sfoghi rabbiosi, ci mostrano che il prossimo futuro si comporterà come se noi non fossimo mai esistiti su questo pianeta, che pure stiamo violando e privando delle sue principali risorse vitali.
Del 2016 è il progetto ‘Society, you’re a crazy breed’, che è stato esposto a Torino alla Fondazione Merz. Si tratta di una grande installazione in tre blocchi distinti eppure collegati da un percorso ideale, che si integrava con la natura stessa della Fondazione, una ex struttura industriale apparentemente destinata al degrado, che era rinata con una nuova funzione di polo culturale.
Una assurda follia spinge la società contemporanea a distruggere se stessa nella foga compulsiva di andare avanti, senza capire che cancellare la propria storia è il modo più sciagurato per non dare basi alla costruzione di un futuro migliore per gli uomini e per il mondo.
Nel 2024, presso la galleria Simóndi, è stato esposto il progetto ‘Orizzonti perduti’. Collage fotografici realizzati da Botto e Bruno con una cura attenta e meticolosa fino alla pignoleria, ritoccati con acquarello, china e matite colorate, si affiancano a un grande wall paper, lungo 16 metri e alto 2,30.
Il visitatore si trova a muoversi in un territorio indefinito, quasi senza dimensioni, dove la testimonianza di una passata presenza umana è scandita da rovine in disfacimento, terreni devastati che la natura riconquista inesorabilmente.
Siamo testimoni di un’epoca che è il presente e al tempo stesso richiama sia il passato sia un futuro in agonia. Una visione fino troppo realistica e al tempo stesso persa nel sogno e nella fantasia.
Si osserva l’opera e ci si sente piccoli uomini, solitari su una Terra di cui abbiamo perso il controllo e di cui non capiamo l’importanza. Davanti a noi si aprono strade e sentieri che non sappiamo percorrere, in un’atmosfera rarefatta dove la luminosità del sole è assorbita in un omogeneo e morente biancore.
Le opere di Botto e Bruno sono dense di riferimenti e suggestioni, citazioni di opere e di artisti del passato e del presente, di luoghi, di tempi, di storie e racconti. Il messaggio è sempre lo stesso: abbiamo tante vestigia del passato da ammirare e non lasceremo nulla di bello e rappresentativo al futuro.
Nel 2018, Silvio Bernelli, scrittore, musicista e istruttore yoga, ha dedicato ai due artisti un romanzo dal titolo: “Il biografo di Botto & Bruno”.
L’opera “The ballad of the forgotten places” nella primavera del 2024 è stata data in prestito dai Musei Reali di Torino alla Città di Saluzzo per un periodo di cinque anni, ed è attualmente presso il Castello di Saluzzo, più noto come “La Castiglia”, conservata nella manica ottocentesca che ospita l'”Esposizione e Collezione Permanente di Arte Contemporanea dell’Istituto Garuzzo per le Arti Visive”.
Written by Marco Salvario
Photo by Marco Salvario