“La buona terra” di Pearl S. Buck: un confronto con “La roba” di Giovanni Verga
La buona terra di Pearl S. Buck è uno di quei romanzi perfetti, a cui è quasi impossibile aggiungere qualcosa. Ci proverò, aggrappandomi a quel quasi.

Durante la lettura de La buona terra sovente il mio pensiero è andato alla novella La roba di Giovanni Verga. Ogni volta mi son detto: si tratta di genti e di mondi diversi, pur con qualcosa in comune.
In entrambe le narrazioni il protagonista è un uomo che, faticando come un ciuccio, ha acquisito una certa ricchezza. Il verghiano Mazzarò è sempre più posseduto da essa. Il Wang Lung di Pearl S. Buck la possiede e la sa gestire. Mazzarò è relativamente fermo nel luogo in cui è nato. Wang Lung è in perenne movimento in un immenso continente, diviso fra la terra del nord (dov’è nato) e quella del sud, dove si trasferisce, preso dalla necessità e da cui riesce un giorno a tornare. Mazzaro è e rimane fino all’ultimo un uomo fermo e solo. Wang Lung ha riempito la sua esistenza di bocche da sfamare, da assistere e da cui, alla fine, è assistito. Mazzarò fa compassione al lettore, Wang Lung desta ammirazione, per cui il lettore si immedesima in lui, e a volte si chiede: io che avrei fatto al suo posto? Pensando a Mazzarò, il rischio è dover dire: Ma no ma no ma no! La quale è la peggiore espressione che si possa concepire nel giudicare il prossimo, perché scarta la possibilità di capirlo. Nel caso di Wang Lung il lettore rimane sbigottito da certe sue opinioni e certi suoi atti, arrivando anche a condannarli dentro di sé. Il lettore si pente di tanta severità solo allorché comprende che, in quel luogo e in quel tempo, si ragionava così.
Vivendo in quello specifico ambiente, Wang Lung cerca di compiere la cosa più corretta e onorevole. Mazzarò forse no. Quel forse bisogna donarglielo, perché senza di esso si rischia di doverne condividere la pena. Anche una novella, un romanzo è una roba, da cui occorre saper mantenere la corretta distanza. Wang Lung c’est moi! Mazzarò c’est moi!
Nell’identificazione appassionata con l’Altro si fonda la sua comprensione e nasce la correlazione che è a essa necessaria. Mazzarò disprezza tanta gente, soprattutto se stesso. Wang Lung ce l’ha con vari personaggi, ma sa gestire i suoi sentimenti negativi, riuscendo a utilizzarli. Mazzarò morirà infelice e solo. Wang Lung, da anziano, va ad acquistare la sua cassa da morto. Nel frattempo dà ai familiari le ultime avvertenze su quel che dovrà succedere al suo cadavere.
“Ognuno sta solo sul cuor della terra”, avverte il ragusano Salvatore Quasimodo: verso sublime a cui aggiungerei un poco lirico ma essenziale a modo suo.
Sento che la principale differenza esteriore fra i due agricoltori non sta nella corporatura, nel colore della pelle o nella forma degli occhi, ma nell’espressione che normalmente si coglie in loro quando li si scorge camminare nella loro vasta campagna.
Wang Lung “… comperò circa un chilogrammo di carne di maiale, osservando bene il macellaio mentre l’avvolgeva in una foglia secca di loto…” – quando, da piccolo, andavo con mamma dal budghêr, il bottegaio, o dal pchêr, il beccaio, simile all’inglese butcher e al francese boucher (tutto il mondo è una tragica macelleria!), la carne era avvolta da una liscia carta giallastra. Ognuno usa l’avvolgente che ha.
La storia di Pearl è datata agli anni venti/trenta, quando mia mamma era una contadina piccola piccola, mio padre era un ragazzino che lavorava in fabbrica dall’età di quattordici anni. C’è un aspetto, comune all’epoca in Cina, che ancor oggi tanto mi dà da fare, se penso a mia figlia. Wang Lung fa conoscenza di O-Lan, che diventerà la sua sposa. Di lei apprezza quel poco che c’è, ma si dispiace di un suo difetto: “i piedi di lei non erano stretti nel calzari…” – com’era in uso a quei tempi, in quei luoghi: in tal modo alla donna per bene era impedita la fuga dall’ambito familiare, in quanto deliziosamente zoppicante. Ne parla tanto Han Suyin nei suoi romanzi. Tale consuetudine mi ha sempre provocato un sospiro. Mi ci dovrò abituare, leggendo questo tipo di romanzi.
Nel rigirare “La zolla”, “Qualche volta, insieme con la terra, essi rivoltavano un frammento di mattone, una scheggia di legno: relitti. In anni passati, in qualche remota età, li erano stati seppelliti cadaveri, o erano sorte case che il tempo inesorabile aveva abbattuto e confuso di nuovo con la terra.” – tutto scorre e poi s’arresta (questa è l’impressione che dà), poi scorre di nuovo (questa è l’impressione che dà ancora).
“L’aria e la terra erano pieni di spiriti maligni, cui la felicità dei mortali, ed in ispecie quella dei poveri, riesce insopportabili.” – essendo le loro creature meno riuscite. Quei tapini non sanno di essere loro le nostre più tetre emanazioni.
“Così l’uomo e la donna trascorrevano il tempo nella loro casa, in pace, anche se i loro conversari erano radi, e parche le parole.” – piuttosto che niente è meglio piuttosto (antico detto reggiano): si pensi ancora una volta al solingo Mazzarò.
A me fan pena i poveri quando si danno un contegno che non è da loro, come pure i ricchi quando s’atteggiano a poveretti: “Wang Lung si sedette con degnazione, accettando pure una tazza di tè, che però lasciò intatta sul tavolo, come se la qualità delle foglie non fosse abbastanza buona per lui.” – un signorotto di mia conoscenza l’avrebbe ingurgitata con piacere, come se non avesse mai gustato niente di più buono (e gratuito).
L’improbabile ma certa presenza degli spiriti maligni costringe Wang Lung a celare “in fretta la testa del bambino contro il suo petto…” – nonché a mentire ad alta voce a proposito del sesso dell’infante, onde distogliere la loro bieca attenzione…
Dice Wang Lung: “… La terra è come la propria carne e il proprio sangue.”
Ogni tanto, egli sa sorridere alla vita. Anche sua moglie, seppure in quel modo che la caratterizza: “… sul volto di O-Lan si disegnò il sorriso che mai giungeva ad illuminare l’opaco sguardo dei piccoli occhi neri. Disse, dopo una lunga pausa: ‘Un anno fa, a quest’ora, in quella casa, io ero schiava.’” – ora non più. La libertà è un concetto provvisorio e relativo.
A proposito delle figlie, le quali “non appartengono ai genitori, ma sono concepite e allevate per altre famiglie…” – la qual teoria, caro Wang Lung, tu stesso riuscirai a falsificare.
Alla prima, immensa, siccità sorge un pensiero: “Mai la verità che le loro vite dipendevano dalla terra, era apparsa in più angosciosa evidenza!” – e occorre partire al più presto in cerca di sopravvivenza!
Il capo sei tu, Wang, ma, come capita in molte famiglie, è la moglie che decide (come insegna anche Woody Allen). O-Lan sa essere perentoria anche quando usa “la sua monotona voce” che “si levò sui clamori degli uomini…” – dicendo cose sagge, che vengono ascoltate e accettate.
In un brano de Il Mestiere di Vivere, diario che lessi tanti anni fa, Cesare Pavese scrive che è giustificata la bestemmia del contadino a cui una tempesta (secca o bagnata che fosse) rovina il raccolto. In linea con tale pensiero, capisco il tuo gridare, amico Wang: “Troppo! È troppo! Malvagio sei, oh tu Vecchiaccio che sei nel Cielo!” – che manco ti sogni di far piovere nemmeno una goccia! In quel momento Giove Pluvio era emigrato al sud della Cina. Pertanto con la famiglia ora anche tu Lo seguirai…
La terra può ancora aiutarvi, ma per poco: “Di questa terra si erano cibati per qualche giorno – dea della terra misericordiosa, la chiamavano – grazie a certe sostanze nutritive che essa conteneva.”: è il passo più commovente del romanzo La buona terra.
Ad alcuni avvoltoi che si presentano per acquistare per pochi denari la terra, la tua per lo più taciturna moglie sa rispondere “con la sua voce atona, come se trattasse un argomento di tutti i giorni.” – riuscendo a volgere la contrattazione verso altri oggetti, in previsione dell’imminente partenza. E tu, capo della famiglia, ti adegui saggiamente alle sue indicazioni.
“‘Mangiare si deve’ diceva con la sua voce fessa, espansivo, a quelli che erano pigiati attorno a lui, mentre il carrozzone di fuoco correva sussultando sui binari.” – che gli indiani americani chiamavano il cavallo di ferro.
“Unico a non apparire turbato era il vecchio…” – il tuo quieto padre, che solo a un certo punto del racconto perderà il suo serafico autocontrollo.
Lo dico con parole mie, senza far alcun riporto. Wang è ora al sud, dove la gente guarda i nordici con disprezzo e, quando ode un meridionale parlare di lotta agli stranieri che occupano il paese, crede di essere lui lo straniero in una patria altrui. Il che mi fa capire cosa amo del romanzo di Albert Camus: se Lo straniero Mersault, francese che vive ad Algeri, sa di esserlo e poco gliene ne cale è un uomo libero ma tragicamente condannato. Diversamente rischia di essere un miserabile. Tale mi sentii una mattina, quando, bimbo piccolo, insieme a mio padre, attraversai un ampio spiazzo della mia città dove c’erano tante scritte che auguravano ogni sorta di disgrazie ai democristiani (com’era mio padre). Mi sentii diverso e infelice! Ma entro poche ore quell’orrore cessò in me. Quella sciocca paura mi permise di affrontare il problema, e di superarlo. Questo suggerisce Paolo Escobar in I volti della paura. Il terrore immobilizza. La paura fa novanta, dandoti dinamicità. L’importante è saperla gestire. Ognuno è uno straniero per l’Altro, quel che conta è saper dare e ricevere rispetto.
Se un giorno incontrassi Pearl le chiederei qual è il verbo che ha usato per la frase “trascinarsi a casa all’alba” – è un verbo che usi così spesso!, le direi… Dragging themselves, scrive Allen Ginsberg nel suo Howl. Povera O-Lan, che vita si è trascinata dietro fin dall’infanzia!: “Ancora la donna rispose, con la sua voce sorda: ‘Mi battevano con una correggia di cuoio che serviva di cavezza per i muli, e che tenevano appesa a una parete della cucina’.”– tu, Wang Lung, hai sbagliato spesso con lei, ma le hai voluto bene.
“L’unico a non prendere nulla nella confusione fu Wang Lung. Non si ricordava di aver mai rubato, e neanche questa volta si sentiva di metter mano su roba non sua.” – anche Mazzarò era onesto, a modo suo.
Poi compi un mezzo delitto che ti consente di compiere il tuo scopo di tornare a casa: “Torniamo alla terra – domani torniamo alla terra!” – il che mi fa capire che è sempre nella violenza (minacciata o compiuta) che è covato il diritto a possedere.
Q-Lan “rispose col sorriso che aveva qualche volta sulle labbra, ma mai negli occhi.” – in un altro passo avevo letto un che di simile intorno a questa sua limitata espressività. Più tardi, a una tua risata, lei “rispondeva col suo lento, doloroso sorriso.”
A pagina 147 de La buona terra lei cede a un tuo desiderio: “Mia madre non fece in tempo a legarmeli, i piedi, ché fui venduta troppo giovane. Ma stai certo che legherò i piedi della ragazza più grande, e legherò quelli della più piccola…” – chissà perché sto pensando ora a mia zia Zaira, detta Jolanda, che fu mandata a servire a casa dei padroni che era ancora fanciulla, più o meno in quegli anni, ove solo i suoi piedi erano liberi.
Ora c’è un’alluvione che ostacola il lavoro nei campi. Forse quel Dio forse se l’è presa male e si sta vendicando.
Un probabile disastro mette in pericolo la tua vita. Tutte le sere ti rechi in quella specie di bordello, ove conosci l’amore passionale della tua vita. Tu ami i tuoi figli. Q-Lan dubita dei tuoi sentimenti, non saprei cosa dirle, perché non so capire. Forse neanche tu. La giovane prostituta si chiama “Loto” (anche in cinese?), parola che in greco significa terra bagnata (con lo stesso etimo di lavacro). È lei che ti battezza come amante, insegnandoti le sue arti amatorie. È a lei che pensi con passione assurda per gran parte della tua vita. Non a Q-Lan, che sa accettare che Loto entri in casa e diventi la tua donna.
“Era come un naufrago che muore di sete, e che beve l’acqua del mare, illuso di dissetarsi, mentre il sale non fa che accrescere il suo tormento sino alla follia.” – Q-Lan era quasi insipida ma, col suo atto amoroso, ti toglieva il bisogno di starle vicino, di entrare, di disperderti dentro di lei, e ti donava la sazietà.
Dopo aver conosciuto Loto, ne sprechi di secchi d’acqua per lavarti, per nascondere il puzzo dell’umore sudorifero! E assegni un appartamento tutto per quella finta ragazzina, che, come nota tua cognata, ha più anni di quel che dimostra. A te sembra un fiore che sta sbocciando solo per te.
Dici: “Soltanto il povero beve in una tazza sola.” – e ora tu sei quasi ricco, grazie a quel sudore che ti vai togliendo appena puoi.
Poi, un bel giorno: “La buona terra dei campi guarì Wang Lung del suo amoroso tormento, così come già altra volta, al ritorno della città del Sud, essa lo aveva consolato e sanato.” – ma ormai Loto fa parte dell’arredamento, e non sai rinunciare a lei. Te ne distacchi un po’, quando la terra ti richiama a sé.
“Era quindi naturale che la gente del villaggio guardasse a Wang Lung con crescente rispetto…” – essendo egli proprietario di “una grande casa” – con ampi cortili e stanze su stanze.

Tuo zio, e lo scopri quando egli mostra il suo “emblema”, fa parte “di una banda di briganti”, e non puoi scacciarlo di casa, anche se è davvero indisponente, come pure la moglie e il figlio disgraziato. Però risulta utile: grazie alla sua nefanda presenza, nessuno oserà attaccare la tua casa. Che mondo è quello in cui viviamo! Ove l’ingiustizia della proprietà è causa di infinite altre ingiustizie…
Q-Lan si ammala gravemente, e per guarire (ammesso che sia possibile) si dovrebbe spendere una somma molto alta, per cui ella dice: “No, la mia vita non vale tanto. Per una simile somma si può comperare un buon pezzo di terra.” – amen! Poco tempo dopo dirà anche: “… Devo morire… Un giorno dovrò pur morire. Ma la terra resterà anche dopo che io sarò morta.” – amen di nuovo!
Un fatto ricorre nel romanzo La buona terra. Usualmente si porta a casa la bara che servirà al congiunto, che così potrà morire contento: succede anche per tua moglie: “… ed ella gli fu grata di aver tutto disposto per la sua morte.”
Q-Lan per la prima volta in vita sua detta legge, quando dice che non intende permettere a Loto e alla sua schiava di entrare nella sua camera: “Se lo faranno, farò tornare il mio spirito a maledirvi.” – quello che è giusto è giusto, ed è lei, hic et nunc, a sancirlo.
A pagina 262 de La buona terra, di parla di un quid che non riesco a figurarmi: “Facendo buon viso a cattivo gioco, si sforzarono di abbozzare due verdi sorrisi…” – in che senso, direbbe Carlo (Verdone, appunto)?
Anche tuo padre, che tanto amava inveire contro Loto dicendo “Qui c’è una puttana!”, si reca a La buona terra, seguendo di poco Q-Lan. E anche per lui c’è la bara pronta. A Reggio di uno che è morto si dice che è andato a vedere l’erba dalla parte delle radici.
Tu ora hai una nuova amante, a cui vuoi bene, e che si occuperà della tua figlia maggiore, che la vita ha reso muta e inerte, e che non potrebbe cavarsela da sola.
È con grande serenità che ora vai cercando la tua bara. Presto, ne La buona terra incontrerai il tuo anziano genitore, che ti ha donato tanto, anche la saggezza, e la tua quieta moglie, che ti ha donato tanto, anche la tristezza. Ora hai la contezza dei tuoi tanti errori. E sai accettarli.
Non mi va di dir più niente di questo fantastico e realistico romanzo, se non che, alla fine, mi ferisce non la giusta richiesta che fai ai tuoi due figli maggiori, ma la loro astuta risposta, che pur riesce a donarti una dorata eternità. Per te e per tutti, spero: A thing of death is a joy for ever!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Pearl S. Buck, La buona terra, Mondadori, 1995