“Resisti, cuore” di Alessandro D’Avenia: l’arte di essere mortali

Resisti, cuore di Alessandro D’Avenia rientra nella categoria dei libri imperdibili che non vedi l’ora di aver trangugiato pagina per pagina per poi finalmente infilarlo in uno scaffale e dire: Ohhh! Che libro che è! – il lettore è in tal caso simile a quel tapino che, oppresso da innumerevoli e gravi disagi esistenziali, amava uscire per strada con un paio di scarpe troppo strette e che poi, levandole al rientro a casa, dove l’aspettavano i dolorosi problemi, emetteva ogni volta un sospiro di sollievo. La cultura, per quanto sia bella, è un peso che ogni tanto ci si deve togliere di dosso, appoggiandola all’attaccapanni, assieme al soprabito.

Resisti, cuore di Alessandro D’Avenia
Resisti, cuore di Alessandro D’Avenia

A un dato punto del romanzo Resisti, cuore (ché tale è quest’opera) l’io narrante Alessandro suggerisce la necessità di fermarsi a meditare un po’. Non so ancora se, quando sarà il momento, riporterò le sue esatte parole. La scrittura è un’imprevedibile onda che ogni tanto si materializza. Quando e nel punto che pare a lei.

Ora, per esempio, mi scoccia accendere la luce per cercare il pezzo. Potrei farlo, come mia costumanza, abbassando il monitor o servendomi della luminosità del cellulare, ma c’è tempo per farlo. Quando il sole, in modo discreto, si leverà, forse mi segnerò la pagina. Domani o dopo ne riparleremo. Ora mi sento di descrivere, autobiograficamente (la presente reazione letteraria è una fiction, un mockumentary book), la mia modalità di meditazione.

Cesare Boni, poco prima di lasciare questa vita, istruì Un tipo chiamato me stesso su una forma di rilassamento che assurgeva a preghiera, anche se non si sa tuttora a chi fosse rivolta. Cesare gli disse che, con una pratica di appena sette minuti, da svolgersi di prima mattina, anche un tipo instabile come lui avrebbe realizzato quell’armonia che pareva sempre sfuggirgli. Il primo minuto era destinato alla consapevolezza che il risveglio era avvenuto e che si trattava di un dono, anche se non si individuava il mittente. Nel secondo minuto l’orante rivolgeva a se stesso il proponimento di affrontare la giornata col cuore in mano, in accordo con la natura e, in particolar modo, con l’entità più problematica, l’umana. Gli ultimi cinque minuti erano destinati all’ascolto del proprio respiro e a togliere le croste dall’anima.

Quel tipo fin troppo a me misconosciuto, lo fa da svariati annetti, adeguandolo al suo im-preciso e probabilistico carattere. Egli non bada affatto al cronometro e si limita a rimembrare le persone con cui è venuto a contatto, poco differenziando se esso sia occorso de visu o de cellulare o de che te pare. Importa che sia occorso un entanglement, una correlazione esistenziale. Lo scopo sotteso è di verificare la propria tolleranza all’Altro, questo sconosciuto. E, a questo punto, è doveroso citare il mio stra-amato Arthur Rimbaud: Je est un autre.

Ecco alcune avvertenze di lettura prima di ficcare direttamente il naso nel romanzo Resisti, cuore di Alessandro. Ama gli etimi (anch’io, ma lui di più ancora). Il mio cavallo di battaglia è il sanscrito kam’a, da cui deriva amore, amico e Kāma Sūtra. Il suo è qualsiasi puledro che gli trotti accanto.

Spesso li utilizza, ma non solo quelli!, per giochi di parole esplicativi: tutto per lui lo è, esplicativo, essendo egli un insegnante patentato e immesso in ruolo da alcuni decenni.

Usa identificarsi con Ulisse e altri personaggi minori, citando le proprie avventure biografiche. La qual cosa pare avvenire per una duplice, coincidente ragione: per-donarsi nel donare sé. Espone alcuni concetti assoluti, ossimoricamente accompagnati dai loro opposti, non meno assoluti.

Fa riporti dal poema omerico tramite traduzioni in prosa, cercando di non ometterne la poeticità. Il poema in questione è lOdissea. Utilizza taluni personaggi, per esempio Telemaco e il suo doppelgänger (si fa per dire) femminile, Nausicaa, attribuendo loro il ruolo di simboli esistenziali. La parola esistenziale, specie ov’è sottaciuta, risulta essenziale per comprendere meglio il bel tomo.

Si pone di sovente il quesito del perché si legge e si scrive. La scrittura gli pare la banalissima sconosciuta che è. Gli ossimori lo angustiano e al contempo lo deliziano.

Non so se Alessandro sia al corrente del fatto inquietante che arca in ebraico significa anche tevà, parola. Per lui la parola è un quasi tutto che quasi tutto dice (sono parole mie, che ho dedotto dalle sue e che ora sono nostre).

Egli è tante cose, in primis è quel docente-discente che non ho mai avuto. Ho sempre avuto un rapporto critico con la scuola (la crisi era soprattutto mia). Chissà come avrei reagito con un prof come lui.

“Raccolto e raccontano diventano così la stessa cosa, come lo sono coltura e cultura. Noi raccogliamo, da noi stessi, quello che (ci) raccontiamo.” – similmente questa mia reazione al libro altrui è dapprima tutta mia, e poi anche di altri, del raccolto raccontato dall’Altro. Chiamala, se vuoi, correlazione.

“… capiterà anche che io parli di me. Lo scrittore corre sempre due rischi…” – oltre ai due che segnali (il concentrarsi su un punto vuoto, in cui si inserisce la vita sua e quella narrata; il divagare da entrambi) anche quello di incrociarsi con infiniti altri due, che si moltiplicano all’infinito. Mentre si legge, non si scordano gli impegni mondani, tipo recarsi in stazione per ricevere un proprio caro.

Scrivi ne Resisti, cuore: “Voglio nascere, cuore mio…” – …voglio progredire nel mistero dell’esistenza, conduca dove conduca. E lo si sa, dove s’arresterà. Ma non si sa quando, né come…

“… è ‘al cuore’ che si fa sempre ritorno, Itaca, sei tu cuore…” – ognuno ha l’Itaca che si merita.

L’etimo di “odisseo” è così odioso che evito di riportarlo. Chi lo vuole conoscere legga il libro Resisti, cuore. Va detto che ognuno sente l’odissea impostagli dal destino. Ognuno ha il compito di decidere se e quanto deviare da certe odiose istruzioni.

“La mia vocazione, la ragione per cui sono al mondo, è ispirare e difendere la vocazione degli altri, attraverso la bellezza.” – non tutta la scrittura lo è. Oppure ho frainteso, almeno un po’, certe opere del Divino Marchese? E quella di alcuni arroganti divulgatori del proprio banale egoismo?

Caro Alessandro, a pagina 39 de Resisti, cuore elenchi varie opere fenomenali, che tutte lessi tranne una, di un autore che è fra i miei più amati. Io sono uso a far incrociare i destini di amici che fra loro non si conoscono. Dopo di cui la mia amicizia per loro si raddoppia. Non sempre il miracolo s’avvera. Questo vale anche per la letteratura. Ti suggerisco Il forzato di Felix Milani. Vedi tu se immetterlo nel tuo club. Leggendo, ho imparato a capire che non si finisce mai di capire. Dovrei rileggere tutto, come per anni sta tentando di suggerirmi un certo Riccardo. Accadrà, prima o poi, ma nel frattempo voglio leggere tutti i libri del mondo. Il problema è che non cessano mai di scriverne.

Tu parli dei “libri padre” e del “libro madre” – dando loro funzioni e casi diversi. Mater semper certa est, per questo usi per lei il singolare? Perché la individui fin da subito? Sappi che al mondo ci possono essere dei penosi fraintendimenti. Conosci Ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa?

Preferisco affidarmi a scelte riferite non al DNA, ma ai sentimenti amicali, pure non consanguinei. Fra noi e uno scimpanzé i geni sono quasi equivalenti. Coi carciofi in comune abbiamo il 22%. 

Amo la tua metafora del “mattone”: ogni libro lo è. Noi siamo la casa. Il nostro paese è il mondo.

Bello è l’etimo di “spiegare” e di “Semplice” – serve una sola piega o mille? Il tuo discorso ne crea un’enormità. Scusami se ti paio criptico. A me interessa invogliare alla lettura del tuo tomo. In questo siamo simili. Tu sei la mia Odissea. Io sono il tuo Alessandro.

Per una guerra non sua Ulisse dovette partire, ma tornando creò Itaca.” – lo stesso capita a chi viene alienato dai doveri sociali, e che, quando rincasa, se gli va bene, ritrova se stesso.

Tu parli (provando vergogna nel farlo?) di certi accidenti che ti sono capitati. Come ti capisco. A volte capita a me. Vergogna deriva da vereri, riverire, avere rispetto. Il busillis è quel che pensano gli altri. Di certo non daranno lo stesso peso alle mie disgrazie e potrebbero compatirmi con un’ipocrita com-passione. È un rischio non della scrittura ma della pubblicazione. Ci si ritrova nudi e non più re.

Non so se ti farà piacere saperlo, ma sto saltando una sottolineatura con previsione di commento su tre. Il rischio che ho corso leggendoti è che mi stava venendo la tentazione di scrivere un contro-libro, una reazione letteraria lunga una trentina di pagine. Non sia mai!

“… il compito del maestro e risvegliare il maestro interiore…” – e quello dell’alunno è insegnare al maestro. Quanto ho imparato da Charlie, il mio pard amalfitano? Tanto. Quanto gli ho insegnato? Quando l’ho conosciuto andava per i sette anni: era più anziano di me, che ne avevo trentatré (di umani, mentre i suoi erano canini). M’insegnò il teorema della pietra di troppo, che per nessun motivo andava riportata al pard, ma depositata in terrazzo, in attesa di quelle del giorno successivo. Per capire che Charlie non aveva rilevato in essa un valore diverso dalle altre, ma rappresentava il ruolo di pietra estrema della giornata, ci misi degli anni. Un giorno compresi il messaggio che egli m’andava elargendo. Per oggi basta, amico! Questo intendeva dirmi.

Sto saltando sempre più commenti, “con tutti i rischi del caso e del caos.” – ne parleremo se vuoi dal vivo. Non m’intriga l’idea di fare un’esegesi della tua esegesi, né illuminare la mente del lettore del tuo lettore su come quel poema è frazionato, neppure, paradossalmente, su quale sia il suo senso poetico e umano. Tutti questi dati sono inseriti nel tuo libro, che va semplicemente assaporato, inghiottito e digerito: e non vado oltre.

Siamo gli unici esseri viventi che possono coniugare i verbi al futuro.” – non sono d’accordo. Pensa a quel volatile mamma che si finge zoppicante per distrarre la volpe dal suo pargoletto. Lei si prefigura la fine che quello farebbe se lei scappasse via, lasciandolo solo e perduto.

Con consumata arte registica il narratore sposta ora l’inquadratura su Penelope.” – poco fa dicevi che “il poeta possiede l’istinto del tempo e…” – …e, aggiungo io, dello spazio. Vale anche per il musicista e per l’artista figurativo. Istinto o calcolo razionale? O la giusta via di mezzo?

“… sulla spiaggia di Ogigia Ulisse deve scegliere tra essere immortale o vivo.” – e se fosse la stessa cosa? Se non è zuppa è pan bagnato? Mi sto accorgendo che siamo su due diversi livelli d’osservazione, io e te. Tu credi di credere nell’eterno, io sento che m’adatterò, in quell’attimo chissà se eterno, alla bisogna. Ulisse rifiuta l’immortalità che Calipso può donargli. Io ci avrei pensato (e penato) su. Ne avrei alla fine forse scelta una a tempo determinato. Come vedi ti sto imitando. Calipso è un buco nero. Ulisse è la radiazione di Hawking che fugge. Un’omologa radiazione ricadrà nella singolarità. Le due particelle sono entangled, collegate, fino al termine del mandato.

“Provate a farne a meno e scoprirete a che serve una metafora.” – è un ponte che ti porta Altrove, in un luogo surreale che ti fa meglio comprendere dove sei nella realtà.

“… la bellezza, non la sopravvivenza è il fine della vita.”a thing of beauty is… Il resto è sepolto, invisibile solo agli occhi, in quel cimitero romano, presso la Cestia Piramide. Se ci vai, capisci.

Parli tanto di te. Perciò ti voglio bene. Perciò ti sono grato. Lo ripeto: tu per-doni te stesso, donandoti. Ami gli opposti, scorgendo la loro consanguineità: “Itaca è il luogo di tutte le mancanze, di tutta la fragilità della condizione mortale. E allo stesso tempo di tutta la sua grandezza, perché mancanza non è assenza…” – che sia una (vana?) promessa?

“… proprio dall’energia che il racconto acquista, altra invenzione omerica, grazie alla narrazione in prima persona.” – l’Io narrante diventa il catalizzatore. Io sono si definiva quel tale. Intorno a Lui ci sono diverse interpretazioni fra noi due. Assomigli a quel bimbo che ero io, che si dilettava a parlare col suo Dione, che poi dimenticò (senza però scordarlo). È una forma di demenza, la mia? O lo è la tua? Quién sabe?, direbbe Tex Willer.

A pagina 205 de Resisti, cuore mi fai ricordare che da qualche parte ho La strada di Cormac McCarthy, che citi. Lo cerco fra i cogenti, gli urgenti, i necessari e non lo trovo. Lo scoprirò nel pomeriggio: è fra i vari ed eventuali, in garage. È il prossimo che e-leggerò. Grazie! Ti dirò poi quanto e se ti sarò grato.

“Ulisse, eroe centrifugo e centripeto…” – il tuo libro me l’ha donato mia figlia Anna, studentessa di Lettere Antiche, a cui ricambierò il favore dicendole che è un bene che lo legga (o rilegga) allorché darà un esame mirato ai poemi omerici. Le sarà utile, no, le sarà essenziale per ottenere la lode.

Alcuni esempi delle tue alessandrate: “… tensione tra questi due estremi: pòlemos ed eros, distruzione e fusione…”;Anche noi siamo abitati da questi due po(po)li esistenziali…”; “… ed essi piagnucolano come bambini, regrediti da fanti a infanti.”. Bene. Paragoni le traversie di Ulisse a quel che “accadeva nei passaggi di ‘livello’ dei videogiochi che amavo negli anni Ottanta…” – … anch’io ero un mezzo patito, intorno all’88, quando scoprii quel – mariuolo, il lode runner, che rubacchiava gli ori e che era inseguito da quei cattivoni… Alla fine dell’ultimo canto, detto per ridere, del livello, uscì un avviso destinato al (mio) mondo (interiore): You are a champ!

Ulisse dovette scegliere fratrionfare, dominare, fare bottino, assoggettare il mondo per diventare immortale, invece di accettare la propria mortalità, e far nascere il mondo.” – a noi verrà mai offerta ‘sta chance?

A pagina 230 de Resisti, cuore mi doni l’ennesima banalità (nel senso donatomi da Salvatore Patriarca col suo Elogio della banalità), per cui ti sarò grato per tutta la vita: “… che i Troiani erano greci anche loro e che la guerra di Troia è di fatto una guerra civile (ma poi quale guerra non lo è?).”: penso che se il popolo di ET osservasse il nostro im-mondo mondo (alessandrata-stefanata) si schernirebbe dicendo: ma guarda un po’ sti nativi terrestri come si stanno scannando!

“… preferiamo una quieta disperazione a una inquieta speranza.” – una singolarità a un’entropia? Entrambe sono essenziali e pensa bene a quel che ti dico (e che ho scopiazzato da un libro di cosmologia): in ambito locale le due opposte tendenze, gravitazione e dispersione termodinamica, collaborano, attimo per attimo, al fine di mantenerci in vita, ancora per qualche miliardo di anni.

“… il compimento di un destino…”è quello che Spike tentò di spiegare col film Fa’ la cosa giusta.

“Ecco perché credo a un cristianesimo non regredito a religione.” – che sono quasi le stesse parole che costarono al mio teologo più amato, Padre Aldo Bergamaschi (che un giorno ti farò conoscere, quando con lui, Lassù, saremo seduti a quel ceruleo bistrot) tanta persecuzione da parte della curia reggiana, che gli tolse per anni la possibilità di dire la messa in pubblico. E io (che ero stato trasformato da lui da ateo in ignorante di dio) cessai di andare a messa. Ove tornai quando egli fu graziato. Che parolaccia significativa ho adoperato!

“… ogni azione dell’uomo, anche la più piccola, ha conseguenze su tutto il cosmo…” – che significa ordine, come sai meglio di me; e ogni sua azione mi sta dettando il cammino, simile a un navigatore telematico. Sta a me tenere il volante e i piedi dove voglio, in ogni attimo della mia, della nostra comune corsa.

A pagina 273 de Resisti, cuore usi 5 volte, se ho contato bene, la parola “limite” – utilizzandola per lo più nell’espressione “… non è limite ma richiesta di compimento” – e il tutto è collegato “al destino”.

Sai cosa ho approfondito grazie a te? Quel che (un po’) so da quando sono cosciente d’essere nato. Che occorre saper vivere con sé (e con la propria, a volte infame, spesso penosa, storia).

Alessandro D’Avenia citazioni
Alessandro D’Avenia citazioni

“Negli anni, ho imparato che l’amicizia è sapere ascoltare l’odissea di un altro per dargli l’opportunità di diventare l’eroe della sua vicenda.” – di trasformare il mio sé nel suo Patroclo.

Hai letto La canzone di Achille di Madeline Miller? Una sera, in pizzeria, sconvolsi Riccardo, dicendogli che l’Iliade narra della prima partita truccata dalla storia. Con questo non intendevo rinnegare la grandezza di quel poema!

Sono d’accordo con te su quasi tutto quel che dici, in quel quasi c’è Dio: quam se. Un bel dì inviteremo anche Lui a quel bistrot.

“… un co-nascere che diventa un conoscere…” – a volte ti voglio più bene che in altre. Tu insegni a noi pupilli (pupi, pupils) l’etimo di certi nomi dei personaggi del poema: “Antinoo (il suo nome significa ‘mente avversa’, quel nous che ha a che fare con il verbo greco del far ritorno, quindi è l’anti-ritorno e l’anti-riconoscimento…)” – che dirti e darti, se non: ancora tante grazie!

“Resisti, cuore! È la sintesi dell’intero poema. Un’epica del cuore.” – un conoscere e un non più disprezzare la parte oscura di sé, un accettarsi, un amarsi…

“… è un costringersi all’attesa, a prendere le distanze dalle emozioni passeggere, dall’istinto e dall’istante, ad agire e non a reagire.” – ti sei scordato un semplicemente? Io sto re-agendo a te. La mia folle aspirazione è di darti quello che ancora non hai: scrivere e leggere è un mutuo e sacro scambio, come mi parve di capire leggendo Jorge Borges.

Ulisse crea disordine e poi rientra nella singolarità da dove fuggirà, come capitò alla radiazione di cui sopra (e poi anche sotto, lì e fuori da lì). Taccio l’etimo di “con-iuge” – ché porto ancora il solco sul collo.

“La grande letteratura tiene sempre insieme il particolare e il generale.” – anche la piccola, pur essendo talvolta lillipuziana. Essa “è un risveglio alla vita, una iniziazione.” – un ri-formattarsi, per incorporare nuovi dati da inserire nel più hard dei disk!

“Vivere felici e contenti è resistere nel destino, ri-esistere.” – è così.

A pagina 414 de Resisti, cuore mi fai soffrire e gioire: con la mia famiglia, e mi ci portò il mio tcrapanese Tonino, sono stato a Segesta, ma non a Selinunte: c’aggio a ì! Quando?

Ti faccio conoscere sia colui che mi donò la tua e sua (e ora anche mia) Sicilia. Per vendicarmi, lo nominai mio testimone alle nozze. Quando quella mattina suonò al campanello, la zia di colei che sarebbe stata mia moglie, nel vederlo, disse che non avevamo bisogno di nulla. E gli richiuse in faccia il portone. Forse per via degli abiti sgargianti e della pelle non diafana, l’aveva preso per un venditore di tappeti magrebino. Quando Tonino risuonò e fece il mio nome, zi’ Carmelina lo fece tràsì, chiedendogli venia!

A pagina 408 de Resisti, cuore citi la fonte, cioè l’edizione a cui hai fatto riferimento: curata da Maria Grazia Ciani (Marsilio) – e indichi una tua scelta lessicale, motivandola. In ogni tradimento/traduzione è covata la sua specifica ragione.

Tu mi domandi, inconsapevole e incolpevole, a pagina 415: “E vorrei che questo libro fosse il messaggio in bottiglia per te, lettore, a cui va il mio grazie perché lo hai raccolto. E se ora toccasse a te affidare al mare il tuo messaggio, che cosa scriveresti?” – vedi un po’ su, e poi mi dici.

Poco più di 4 pagine e 3.000 parole, temevo peggio! Lo potresti leggere più o meno nel tempo che secondo te è necessario a leggere un canto del poema. Una mezz’oretta a dire molto.

Dopo di cui, ritrovato La strada, inizio a leggerlo. Eppure… sento che… già lo lessi nel 2018! Sul computer in un foglio elettronico ho inseriti i dati di tutti i libri letti. Ma com’era finito in garage? No, era una copia. Che faccio, ora? Inizio ad ascoltare il consiglio del mio nuovo amico (Enten)?  O passo a Pollyanna di Eleanor H. Porter, che m’ha pure consigliato Anna (Eller)? Ho scelto la seconda opzione. Ulisse m’ha educato nel saper scegliere. Resisti, Cormac McCarthy, prima o poi tornerò. Ora vi saluto, ché c’è quella bimbetta che m’aspetta, appesa alla finestra!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Alessandro D’Avenia, Resisti, cuore, Mondadori, 2023

 

Info

“Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese: L’isola, l’addio tra Calipso ed Odisseo

 

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